N. 13 - Giugno 2006
IL MONTENEGRO INDIPENDENTE
L'87% degli aventi diritto va alle urne
di
Leila
Tavi
Il referendum del 21 maggio scorso in Montenegro ha
sancito l’indipendenza del nuovo Stato dall’Unione
serbo-montenegrina, costituita nel 2003 e ultimo
retaggio della Jugoslavia dissolta nel 1992.
La consultazione referendaria ha visto una
partecipazione senza precedenti: ha votato l’86,3%
degli aventi diritto, di cui il 55,4% a favore
dell’indipendenza e il 44,6% per il mantenimento
dell’Unione.
Le consultazioni si sono svolte senza scontri o
incidenti sotto il controllo di inviati dell’OSCE.
Secondo una clausola della lex specialis
approvata dal Parlamento di Podgorica, esplicitamente
chiesta dall’inviato dell’UE, Miroslav Lajcak,
il quorum richiesto per la validità del
referendum era stato fissato al 55% degli aventi
diritto.
Lo slovacco Lajcak, ex ambasciatore a Belgrado, è
stato membro della Commissione di Venezia,
organo consultivo sostenuto dall’UE che, in occasione
della sua 65. sessione plenaria, ha stabilito alcuni
standard per la validità del referendum.
La suddetta clausola è stata inserita a garanzia del
più ampio consenso tra la popolazione. Il quorum
fissato è stato ampiamente superato con un’altissima
partecipazione dei Montenegrini.
Il referendum sull’indipendenza è stato appoggiato dai
rappresentanti della minoranza albanese del
Montenegro, l’8% della popolazione in Montenegro,
mentre è stato fortemente contrastato dal Partito
socialista di Predrag Bulatovic
all’opposizione.
La popolazione delle due
repubbliche è stimata intorno a 10.570.000 persone, di
cui solo 680.000 circa risiedono in Montenegro e
1.800.000 circa in Kosovo.
Oltre al quorum di partecipazione non è stata prevista
dalla legge una maggioranza qualificata per la
convalida del referendum.
L’ex Unione di Serbia e Montenegro ha avuto una vita
politica in cui la volontà del governo serbo di non
lasciare ancora più spazio all’autonomismo
montenegrino è stata contrastata senza spargimenti di
sangue dalla ferma determinazione da parte delle
istituzioni montenegrine di ottenere l’indipendenza.
Un fatto rilevante durante i mesi precedenti alla
consultazione referendaria è stato lo scandalo,
denunciato dalla stampa locale, che ha riguardato i
rifornimenti per 300 milioni di euro alle forze armate
e che ha costretto il Ministro della difesa
montenegrino Prvoslav Davinic alle dimissioni
per aver concluso l’accordo di fornitura con un
discusso uomo d’affari serbo, Mile Dragic.
Tra Davinic e Mladjan Dinkic, il Ministro delle
finanze serbo, è stato scontro aperto anche sulla
privatizzazione degli immobili delle forze armate; lo
stesso Presidente dell’Unione SM, Svetozar Marovic,
non è stato risparmiato dalle critiche da parte della
stampa, perché considerato la figura rappresentativa
di un governo, quello dell’Unione, troppo debole e
inefficiente.
Le trattative per l’indipendenza sono iniziate già
dalla fine del 2005, per poter permettere alle due
repubbliche di riorganizzare gli organi costituzionali
senza paralisi dopo il 4 febbraio 2006, data in cui la
Carta costituzionale dell’Unione Serbia e Montenegro
ha cessato di essere in vigore.
Nel 2004 in Serbia l’esecutivo di minoranza del
premier Kustunica serbo ha perso terreno nei confronti
dei partiti d’opposizione: da un lato il Partito
democratico DS di Boris Tadić e dall’altro il
Partito radicale del nazionalista Tomislav Nikolic;
mentre in Montenegro l’ostruzionismo in Parlamento dei
partiti d’opposizione ha de facto lasciato
ampio margine all’esecutivo di Djukanovic, che ha
portato la repubblica al referendum separatista di
questi giorni.
A luglio dello scorso anno il serbo Tadić ha vinto le
presidenziali, un outsider che raccoglie i consensi
dell’elettorato moderato e che è servito come freno
alle spinte nazionalistiche dell’estrema destra dei
radicali di Nikolic.
La Serbia è l’unica delle repubbliche ancora sotto
l’influsso russo: nel 2004 i rapporti diplomatici tra
Mosca e Belgrado sono stati intensi; il 15 novembre
2005 Vladimir Putin ha dichiarato, durante un incontro
con Tadić, d’essere contrario alla disintegrazione dei
Balcani.
Una volta avviata a livello internazionale la “politica
dello scorporo” appoggiata dagli Stati uniti, dopo
i Balcani la prima a farne le spese potrebbe essere
proprio la Russia nel Caucaso settentrionale.
In Serbia e Montenegro vigeva fino al referendum
ancora la costituzione detta “di Milošević”, Stevan
Lilić dell’Università di Belgrado ha definito la
costituzione serba “the main bulwark of the ancient
regime”, costruita su misura per Milošević,
adottata da un Parlamento allora formato da un solo
partito e con un grave deficit di legittimità e
legalità.
Già nel 1989 Milošević abolì lo statuto autonomo delle
province serbe della Vojvodina e del Kosovo, optando
per la centralizzazione del potere a scapito delle
autonomie locali.
Dopo morte dell’ex leader comunista - avvenuta
nel carcere del Tribunale penale internazionale dell’Aja
nel marzo 2006 - la Serbia si trova ad una svolta, in
cui dovrebbe definitivamente lasciare alle sue spalle
quel tormentato “ancient regime”.
Una possibile integrazione della Serbia all’UE sembra
essere ancora lontana proprio a causa del grave
ritardo delle riforme costituzionali.
Dopo il referendum del 21 maggio resta da definire la
“questione kosovara”; all’inizio di maggio 2006
si sono svolti a Vienna i negoziati per la definizione
dello status del Kosovo. Il processo di
democratizzazione in atto in Kosovo sta subendo dei
gravi ritardi a causa dell’instabilità politica, della
crisi economica del dopoguerra e dei conflitti
inter-etnici ancora in corso.
Le sei repubbliche della ex Jugoslavia affrontano
adesso il loro destino ognuna con le proprie forze e
guardano ormai da tempo all’Unione europea.
L’auspicio è quello che l’Unione europea abbandoni la
strategia della “colonizzazione economica” nei
confronti delle repubbliche balcaniche e si prepari ad
accoglierle nel corso dei prossimi dieci anni: in
questo modo la regione balcanica non sarà più una
“periferia dimenticata” ai margini dell’Europa, ma
potrà riconquistare una dignità che la storia le ha
negato per lungo tempo.
Certamente l’allargamento non può essere una soluzione
definitiva per i Balcani, ancora afflitti da povertà e
conflitti inter-etnici, ma la loro integrazione
nell’Unione è una scommessa in cui l’UE mette in gioco
la sua stessa credibilità, sia nei confronti dei
cittadini dei paesi membri che dell’intera comunità
internazionale.
Riferimenti bibliografici:
Les indépendantistes ont officiellement remporté le
référendum au Monténégro,
“Le Monde“, 22.06.2006,
http://www.lemonde.fr/web/article/0,1-0@2-3214,36-774340@51-773400,0.html
consultato il 22.05.2006
Michele Lupi, La questione kosovara: tra passato e
status futuro, “Osservatorio sui Balcani”,
09.05.2006,
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5668/1/45/,
consultato il 15.06.2006
Neil MacDonald, Montenegro votes to end union with
Serbia, “FT.com”, 21.05.2006,
http://news.ft.com/cms/s/083d262a-e8dc-11da-b110-0000779e2340.html,
consultato il 22.05.2006
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“BBC News”, 22.05.2006,
http://news.bbc.co.uk/go/pr/fr/-/2/hi/europe/5003220.stm,
consultato il 22.05.2006
Paolo Panjek, Serbia e Montenegro, “Est-Ovest”,
2005, n. 1, p. 44-49
Paolo Panjek, Slovenia, “Est-Ovest”, 2005, n.
1, p. 17-21
Giuseppe Sarcina, La Slovenia sale sull’euro. Il 16
maggio il primo via libera di Bruxelles per l’ingresso
nel 2007, “Corriere della Sera”, venerdì 5 maggio
2006, p. 33
Leila Tavi, Dieci anni dagli accordi di Dayton. Il
dopoguerra nelle repubbliche della ex Jugoslavia,
n.7 (dicembre 2005), http://www.instoria.it
Die Unabhängigkeit ist offiziell,
“der Standard“, 22.05.2006,
http://derstandard.at/druck/?id=2454020,
consultato il 22.05.2006 |