N. 9 - Settembre 2008
(XL)
montemurlo
un percorso tra le
dimore storiche
di Roberta Franchi
Distante pochi chilometri
da Prato, la zona di Montemurlo fu abitata fin da tempi
remoti, tanto che sono stai rinvenuti antichissimi
reperti litici in diaspro rosso. Dopo la frequentazione
etrusca, sotto la dominazione romana assunse il
carattere di fortificazione che la caratterizza. La
città grazie alle ampie distese pianeggianti che la
caratterizzano, può annoverare molte dimore patrizie,
alcune delle quali vantano illustri testimoni.
è un
documento d’archivio, risalente al 1100, che attesta
la presenza di una «curte et castello». Il soggetto in
questione è rappresentato dalla Rocca, lo splendido
castello situato su una collina, dall’alto della quale
domina tutta la vallata circostante e
raggiungibile con varie strade che si stoccano
dall'antica Montalese, attraversando zone di recente
espansione; dalla via della Rocca si sale al castello
giungendo a Porta Freccioni (detta anche "la
Portaccia"). Essa sorse
nel X secolo su un antica "corte" dei Guidi, ai piedi
della quale si formò un piccolo borgo con chiesa, difeso
in seguito da mura. I conti Guidi proprio per la
posizione strategica del castello, dovettero sostenere
molte lotte contro la città di Prato e Pistoia, finché
nel 1254 decisero di venderlo per la somma di 5000
fiorini a Firenze, con il loro conseguente inurbamento.
I versi di Dante
Alighieri sono i primi a ricordare l’evento, nonché
a documentare nella storia della letteratura il nome di
Montemurlo. Nel XVI canto del Paradiso il sommo poeta,
dopo aver riconosciuto Cacciaguida, gli chiede notizie
dei suoi antenati, dell’epoca della sua nascita, della
popolazione fiorentina e delle famiglie più famose.
Rispondendo a quest’ultima domanda, l’avo dichiara che a
quei tempi non si era ancora verificata quella
mescolanza fra le genti del contado e quelle
originariamente cittadine, «confusion del le persone»
che «principio fu del mal de la cittade» (vv. 67-68);
afferma che, «se la la gente ch’al mondo più traligna /
non fosse stata a Cesare noverca / ma come madre a suo
figlio benigna […] sariesi Montemurlo ancor de’ Conti»
(v. 64). Quasi certamente il poeta fiorentino non ebbe
mai modo di visitare il castello, ma, dimostrando di
essere a conoscenza delle vicissitudini che lo portarono
ad essere struttura fortificata, sotto il dominio del
Comune di Firenze, preannuncia l’importanza strategica e
il ruolo di cui la roccaforte godette nel tempo.
Nel 1274, infatti, gli
esuli ghibellini pratesi si asserragliarono proprio nel
Castello di Montemurlo, per cercare di rientrare nella
propria città, ma la cavalleria guelfa presso le Torri
del Castello dell’Imperatore riuscì a sconfiggerli e
nel 1527 fu nuovamente luogo di rifugio per gli
esponenti dell’oligarchia repubblicana antimedicea,
capeggiati da Filippo Strozzi, anch’essi vinti dalle
truppe mercenarie assoldate dal duca Cosimo I de’ Medici
e guidate da Alessandro Vitelli, nella battaglia
avvenuta a Montemurlo tra il 31 luglio e il 1 agosto.
Alla fine del XII secolo fu costruita una chiesa
dedicata a San Pietro, alla quale passò presto il titolo
di pieve e la dedicazione a San Giovanni Battista. La
facciata dell’edificio. di epoca medievale, è preceduta
da un rustico portico su pilastri in laterizio, forse
quattrocentesco, che prosegue a destra, dov'è l'accesso
al cortile. Dal cortile spicca il campanile, già torre
di guardia delle mura, rialzata agli inizi del '400 con
la cella a bifore e il coronamento di gusto tardogotico.
All'interno della chiesa, tra le pale degli altari
laterali, spiccano a destra la Madonna del Rosario
(1609) di Matteo Rosselli e l'Assunta (1590) del
fiammingo Giovanni Stradano, che presenta sul fondo
un'interessante veduta del castello di Montemurlo.
Eppure, par proprio che
questo stupendo borgo, nonostante siano trascorsi tanti
secoli stia aspettando che qualcuno riesca a
interpretare i segni antichi. Recentemente i riflettori
si sono nuovamente accesi sulle sue pietre, tornate da
vere protagoniste a far parlare di sé. Durante i lavori
di scavo, avviati dall’attività comunale per migliorare
la rete fognaria del luogo, nell’antica piazza del borgo
sembra siano stati ritrovati dei reperti archeologici,
probabilmente dei vasetti di epoca medioevale. Si tratta
soltanto di un piccolo assaggio di quei tesori nascosti
che le antiche piastrelle custodiscono gelosamente e che
contribuiscono a rendere la Rocca e il suo borgo il vero
vanto di Montemurlo.
Situata sulle pendici del Monte Javello, la villa del
Barone, edificata nel `500, oggi in restauro, è la più
importante fra le ville montemurlesi, sia per la sua
posizioni dominante, sia per la sua grandezza maestosa.
Fu fatta costruire da Baccio Valori e ospitò
ripetutamente personaggi celebri, fra i quali i
Granduchi di Toscana. Entro le sue mura fu tramata la
congiura contro i Medici dagli Strozzi e dai Valori.
Se è vero che ogni artista
possiede una dimora privilegiata, questa villa lo è
stata per Cristiano Banti. Nato a Santa Croce
sull’Arno (1824) e morto proprio a Montemurlo (1904),
Banti fu esponente della corrente artistica dei
Macchiaioli, famosa per i suoi contrasti di macchie di
colore e di chiaroscuri, rispetto alla quale però il
pittore toscano preferì raffinati impasti cromatici e
suggestive angolature di luce. Egli trovò nella villa
del Barone una splendida sistemazione. Con le sue 46
stanze, i suoi numerosi oggetti d’epoca, questa
residenza rappresentava una delle classiche tenute
agrarie dell’Ottocento e proprio qui, dopo essersi
trasferito in seguito al matrimonio con Leopolda Redi,
venne alla luce la primogenita Alaide (1855), battezzata
nella pieve di Montemurlo.
Tra il lusso e la calma
che la villa del Barone regalava, il pittore non solo fu
in grado di trovare continui stimoli e soggetti per le
sue tele, ma poté ricreare l’entourage di artisti, che
gravitano allora intorno a Telemaco Signorini e Vincenzo
Casabianca, finendo così col trasformare Montemurlo in
una tappa fondamentale per il movimento macchiaiolo.
Non
si hanno fonti certe sulla proprietà della villa di
Parugiano sino al
trecento, quando la famiglia dei Pazzi si insediò
stabilmente a Montemurlo. Nel 1325 Castruccio Castracani
distrusse la fortificazione, difesa da quaranta
armigeri, da Neri dei Pazzi e da Giovanni di Redice
Adimari. Della torre e del castello già dei Guidi, ad
oggi non rimane traccia visibile.
Questa elegante fattoria
fu, infatti, la residenza estiva di S. Maria
Maddalena de’ Pazzi (1566-1607), ultima canonizzata
tra i santi fiorentini. Fin da bambina, ella si recava
con la sua famiglia alla villa di Parugiano, presso cui
amava soggiornare e insegnare ai contadini del luogo i
primi rudimenti scolastici. Qui, all’età di soli dodici
anni visse «l’eccesso d’amore di Dio», ossia ebbe la sua
prima esperienza mistica e, proprio in ragione delle
continue estasi di cui fu protagonista, la sua figura è
legata a questo luogo da un alone di santità e mistero.
Non pochi sono gli
aneddoti sulla sua infanzia, trascorsa a Parugiano.
Assieme a quello della fontana d’acqua perenne, che la
santa avrebbe fatto scaturire nella vasca del giardino,
il più caratteristico riguarda l’arancio amaro,
piantato secondo la tradizione da Maria Maddalena
stessa, perché avrebbe avuto la facoltà di curare il mal
di testa. In verità, si tratta di un melangolo, ossia un
innesto i cui frutti sono particolarmente amari e le
spine così pungenti, che al solo toccarle la santa
andava in estasi, perché le veniva in mente
l’incoronazione di Gesù Cristo.
Oggi nel luogo in cui ebbe
la sua prima estasi, sul retro dell’antica porta della
sacrestia, si trova un tabernacolo dedicato alla sua
memoria. Un particolare di
rilievo riveste la cappella della villa, che risale alla
metà del `500 ed è interamente affrescata da Giovanni
Stradano.
Non molto lontana da
Montemurlo, merita un accenno anche la villa di Galceto,
ammirata da sempre per la sua bellezza e comodità. Era
l’estate del 1877, quando un ospite di passaggio, pensò
di far qui una breve sosta, con l’intento di salutare
una cara amica; questo viaggiatore era Giosuè
Carducci.
Il poeta ricorda la villa
nella lettera del 2 giugno indirizzata a Lidia: «A Prato
fui per passare una mezza giornata nella villa di
Galceto bellissima [...] In una villa come quella,
proprio classica, del gran gusto signorile del
cinquecento, con tutti i comodi moderni, con tutto quel
che chiamate comfortable, in una posizione come
quella, con quel cielo, con quel piano, con quei colli,
con quella pineta, con quella vigna, scommetto quasi che
diventerei buono e bravo anch’io». In realtà, Carducci
non ebbe il tempo necessario per soffermarvisi a lungo,
in modo da apprezzare a pieno l’amenità del luogo; era
giunto qui per fare una visita alla principessa russa
Caterina Druzkoj, conosciuta quando ella seguiva le sue
lezioni a Bologna, ma, purtroppo, quel giovedì
pomeriggio la nobildonna non era in casa.
Tutte queste nobili e
antiche residenze costituiscono grazie alla loro
presenza un memento: continuano a tramandarci il
fascino della storia e della letteratura che li ha
animati e continua ad animarli. |