N. 22 - Febbraio 2007
LA
MONETAZIONE ‘D’IMPERO’ E ‘D’ALLEANZA’ DI
CROTONE
L’eredità di Sibari - Parte I
di
Antonio Montesanti
Definizione di polis
magnogreca
La natura individualistica delle città
italiote non
riuscì a superare il concetto di
polis, cioè ad
allargare il contenuto della struttura
statale, fino a comprendere più centri urbani
con i loro territori e a creare un organismo
complesso, formato da un’unica città, capace
di inglobare entità minori, affinché si
articolasse quella rete di rapporti politici
ed economici che presiede alla formazione di
uno stato.
Benché non si possa negare alla Magna Grecia
una storia politica coerente, le mancano
organicità e unità; le colonie
italiote
continuarono a vivere l’una indipendente
dall’altra consentendo soltanto
coalizioni
occasionali, dettate da interessi privati o
particolari, o dalla volontà dell’annullamento
di egemonia di una sulle altre, dettato da un
peculiare senso d’indipendenza e di autonomia,
tipica della polis arcaica, che nascondeva una
forma d’egoismo, incapace di uno sviluppo
politico statale.
E quando questa situazione venne a sovvertirsi
in una sorta di
evoluzione politica naturale, gli stessi
Italioti vietarono
all’un l’altro il costituirsi di un grande
stato, in grado di prendere il sopravvento
sugli altri.
Questa gravissima miopia
politicache trova riscontro fino ai
giorni nostri, favorirà, in seguito, la
disintegrazione delle stesse
poleis
sotto l’urto di forze meno evolute, civilmente
e socialmente: la gelosa chiusura che
contrassegnò la vita di queste entità, che è
anche un titolo di nobile distinzione, non
riuscì a difenderle da aggressioni esterne o
da sudditanze altalenanti.
Le uniche strutture che
riusciranno a diversificarsi, secondo
un processo storico prolisso e lunghissimo,
dalle altre città della Magna Grecia, saranno
non a caso le due città poste ai margini
estremi dei confini
megaelladici, Taranto e Siracusa, in
grado di comprendere che la salvaguardia della
loro integrità territoriale era dovuta alla
propria costituzione di una superpotenza
autonoma, subordinata ad una diplomazia
politica super partes,
alla tenacia di un ‘esperto’ ceto dirigente e
ad una fiorentissima attività economica.
Se
la polis
italiota fu realmente una forma di
popolamento dalle caratteristiche ben precise
caratterizzata da un insediamento terriero su
una base alluvionale fluviale o paludosa,
coltivabile a cereali, delimitato da confini
naturali, allora è ovvio che mentre in un
primo periodo questa situazione poteva
soddisfare lo status quo e la sopravvivenza
naturale, in un secondo momento, nacquero
problemi di convivenza tra le stesse entità
politiche greche e quelle non greche.
La base economica, sulla quale il centro
urbano ellenico principale si era il fulcro di
un sistema costellato di centri minori
all’interno della sua
chora, non solo non trovò
mai, al pari dei Tirreni una forma definitiva
di sinecismo, ma
ben presto questa situazione portò ad una
disparità tra la collaborazione quasi servile
degli autoctoni, in genere dispersi nelle
campagne e sottoposti ad un lavoro
subordinato, e i centri urbani; la cui unica
eccezione è data da Elea, tra
l’altro sorta
almeno due secoli dopo le principali
poleis, alla quale
si riconosce un tipo di economia di tipo
marittimo a causa della sterilità del suolo (Strab.
VI 1, 1 252).
Dopottutto
era impensabile, almeno fino alle soglie del
periodo classico, che una polis
potesse sussistere
senza una base agricola, essenziale al
sostentamento degli abitanti. Laddove il tema
che ricorre spesso nelle tradizioni dei motivi
di contesa delle
città italiote, è
quello dei conflitti politici e sociali per il
possesso dei terreni da coltivare”.
Le poleis
magnogreche
tentarono, ma non furono capaci, di costituire
un micro (o macro)
stato ‘supercittadino’, in epoche diverse,
dalle fattezze imperiali, ad iniziare con
Sibari e finendo con Taranto.
Nessuno dei tentativi riuscì a mantenere una
sorta di potere imperiale e la propria
grandezza a lungo: alla nascita di un impero
effimero ne corrispose sempre la morte di un
altro e la convivenza di due imperi contigui
fu raramente possibile senza il totale
annichilimento di uno dei due.
Crollo di Sibari
Lasciano da parte il problema della caduta di
Sibari, già affrontato altrove (s.v.
La fine di Sibari:
InStoria, n. 1 e 2),
è innegabile che prima di addentrarci nella
monetazione cotoniate, si debba
necessariamente analizzare la situazione
monetale sibarita, poiché la polis ionica
oltre a rappresentare il primo tentativo di
costituzione imperialista è anche precursore
della monetazione da cui le varie città
presero in un qualche modo spunto e a cui
Crotone si rifà in modo diretto e al momento
del suo crollo, operata dalla città lacinia
stessa, ne prosegue l’eredità accumulandone ed
emulandone la situazione al momento
dell’acquisizione territoriale.
Indipendentemente dalle cause dagli eventi e
dagli effetti, Sibari, emulando Corinto e
anticipando Atene, partner commerciale di
Mileto e tramite
con l’Etruria,
aveva istituito “un’arte commerciale”
di ampio respiro,
per cui doveva essere necessaria
un’adeguata potenzialità di scambio che si
tradusse in breve tempo in una
iper produzione
monetale (probabilmente la prima dell’Italia
peninsulare) di elevato peso economico,
sociale, storico, politico e… reale!
La monetazione di Sibari
La monetazione di Sibari del periodo anteriore
alla sua distruzione, pur essendo
estremamente
numerosa è estremamente semplice nella
tipologia, che ricalca principalmente il tipo
del simbolo civico.
Il D/ è rappresentato da un possente toro
gradiente verso destra e con testa rivolta a
sinistra, mentre la testa rivolta a destra
viene attribuita
alla Sibari dopo la sua distruzione (post
510 a.C.); il R/ invece
è sempre l’incuso
del dritto. Lo statere in argento riporta
sempre l’iscrizione posta
al di sopra del dorso dell’animale,
quasi sempre al dritto, e, se si esclude un
unico esemplare in cui si legge per esteso
SUBARITAS,
è
sempre “MV”.
Il sistema ponderale utilizzato è quello
acheo-corinzio, i
nominali, statere e dramma (=1/3 di
statere), presentano lo stesso tipo, come del
resto anche l’obolo.
Dal tipo principale derivano quattro
tipi base, di cui i
primi tre rappresentano la classe più numerosa
in assoluto a cui ne seguono altre sei,
numericamente meno importanti:
PRIMA SERIE,
tipi con toro in rilievo al D/ e rovescio
incuso del D/.
Legenda assente
|
I-A |
|
SECONDA SERIE,
tipi con toro in rilievo al D/ e rovescio
incuso del D/.
Legenda singola presente solo
sul D/
|
II-A:
VM al D/ nel campo in alto |
|
II-B:
VM al D/ in esergo
|
|
II-C:
MV al D/ nel campo in alto
|
|
II-D:
MV al D/ in esergo
|
|
TERZA SERIE,
tipi con duplice legenda presente sul D/ e
sul R/
|
III-E:
SUBARITAS (retr.)
al D/ in esergo
VM al R/ nel campo
in alto
|
stateri,
dramme
|
III-F:
VM al D/ e al R/ nel campo in alto
|
Stateri
|
III-G:
VM al D/ e al R/ in esergo
|
Stateri
|
III-H:
MV al D/ nel campo in alto e in esergo
|
Stateri
|
III-I:
MV al D/ in esergo e al R/ nel campo in
alto |
Stateri |
A queste prime due serie, se
ne aggiungono altre
due che appaiono peculiari e differenti e
fondamentali per gli elementi che riportano,
secondo la classificazione operata da A.
Stazio (Atti del
Convegno di Taranto – 1982), che
si distinguono dalle altre per l’iscrizione
che riportano, NIKA l’una e un ramo di alloro,
l’altra.
TERZA SERIE,
tipi con simboli di vittoria sul D/ e sul
R/
|
III-L:
D/ VM in esergo; nel campo in alto: ramo
d’alloro e bordo perlinato in rilievo
R/nel campo in alto: ramo d’alloro
|
statere,
unicum, coll. De
Luynes, 554 |
III-M:
D/ MV in esergo, nel campo in alto
NIKA
R/ MV in esergo, bordo perlinato in
rilievo
|
4 stateri, tutti da unica coppia di coni |
Cronologia
I dati per una successione cronologica hanno
consentito di sistemare ed organizzare le
serie ed i tipi:
- La maggior parte delle monete sibarite,
dunque, si possono raggruppare in due gruppi,
ambedue con la leggenda identificativa
dell’etnico, MV, ma
distinte a seconda della posizione dello
stesso, che questo si trovi nel campo (tipo A)
o in esergo (tipo B).
- L’esemplare n°
90 della collezione
Fabricius, tipo I-B, presenta
l’iscrizione MV ribattuta su VM. La forma
retrograda è presente nel 90% dei casi e non
risulta mai
presente insieme a quella progressiva sulla
stessa moneta, elemento che lascia adito a
poche ipotesi dando una successione
cronologica definita.
- Il Ripostiglio di
Sambiase (IGCH, n. 1872) è un gruppo
di argenti che
vennero sepolti nella seconda metà del VI sec.
a.C. nell’omonima
cittadina calabrese e che era composto da 1
barretta di argento, 56 stateri di Sibari
della classe A e 2 monete di Corinto del primo
periodo Ravel. In
particolare queste ultime due sono
rapportabili, per il periodo più antico, con i
ripostigli di Taranto 1911 (IGCH 1874) e
Selinunte 1985 (ANSMN,
33, 1988, pp. 1 ss.) e ci restituiscono il
termine post
quem per l’inizio della datazione,
e quindi dell’intera monetazione sibarita, del
tipo I-A, poiché i “pegasi”
corinzi sono unanimemente datati tra il 560 e
il
515 a.C.
Da questo ripostiglio proviene anche
l’esemplare n° 52
il quale presenta, oltre al primo VM al D/,
originale di conio, anche un secondo VM
“graffito” in esergo, tipico della classe B
(tipo I-B).
La doppia presenza, del retrogrado o del
progressivo ha fatto pensare o ad una
successione cronologica o due officine
monetarie nella città.
Si possono stilare, a questo punto elementari
considerazioni ed alcuni elementi di
cronologia.
Il dato più attendibile per la localizzazione
cronologica delle monete è il tesoretto di
Sambiase da cui si
ricava la data comunemente accettata per la
nascita della monetazione sibarita e
riferibile alla metà del VI sec.
a.C.,
tuttavia tutte queste considerazioni si basano
su ipotesi e calcoli assolutamente
arbitrari:le monete di Corinto, visto l’ottimo
stato di conservazione, sono datate in un
periodo compreso tra il 570/560 al
515 a.C.,
e quindi all’interno di una forbice comunque
troppo ampia visto che le monete si possono
inquadrare alla metà del periodo indicato,
cioè al
540 a.C.,
con ipotesi sulla data di sepoltura intorno al
520 a.C.
Tra la nascita delle coniazioni sibarite e la
fine della città, si assiste a coniazioni
del tutto regolari e solo
nell’ultimo periodo si vedono delle
variazioni, come ad esempio l’etnico, che
cambia verso da retrogrado a progressivo, e
l’apparire ad es. della legenda NIKA
riferibile al periodo degli scontri con
Crotone o al periodo immediatamente
successivo.
La monetazione ‘imperiale’ di Sibari
Alle tipologie delle serie
base (I-III) si aggiungono alla
monetazione sibarita alcune serie che vengono
definite “imperiali” o
“d’alleanza”. Tra queste, quelle che pare
essere la più antica è
quella incusa
con la serie del toro
retrospiciente e la leggenda
SIRINOS-PUC
e
SIRINOS-PUCOES
(Fig. 1).
Fig.
1
La leggenda sembra porre, i centri presenti
sulle monete, su un piede di parità
tra di loro.
Nessuna comunità si distingue da un’altra nei
riguardi del ricchissimo centro ionico, e non
è possibile, in altre emissioni, poter
distinguere una città rispetto ad un’altra.
Per queste emissioni sembrano potersi
considerare esclusivamente due ipotesi.
Per la maggior parte degli studiosi queste
prime monete, in cui si attesta la presenza di
un doppio etnico (VM e
SIRINOS-PUCOES;
Fig. 2)
,
la sopravvissuta Siri, dopo la distruzione
operata da Sibariti,
Metapontini e
Crotoniati attorno al
560 a.C.,
e ormai ridotta ad un piccolo borgo, sarebbero
state coniate nel momento in cui la città
dominante (Sibari) cadde, rivendicando, quella
dominata (Siri), la propria indipendenza e che
sarebbero state emesse solo dopo la caduta il
crollo del centro ionico ad opera dei
crotoniati; queste
comunità avrebbero costituito così il
tentativo dei centri vicini di affermare la
propria libertà dopo gli avvenimenti del
510 a.C.
Fig.
2
Non mancano però neanche correnti differenti,
e che in parte ci sentiamo di condividere,
secondo cui
Sirinos, città indigena
di imprecisata
posizione ma comunque nei pressi di
Pissunte (attuale
Policastro
Bussentino), ed entrata in contatto o sotto la
sfera d’influenza sibarita, abbia emesso delle
monete contemporanee, incoraggiate dallo
stesso centro acheo per poter gestire
economicamente meglio la regione o il suo
sistema di città federate.
La presenza del toro sibarita, quindi, su
emissioni con leggenda
SIRINOS-PUCOES,
potrebbe essere il segno, il simbolo
indelebile dell’egemonia di Sibari sulle altre
due città. Lo studioso francese
Perret esprimeva
già il parere che, monete di questo tipo, si
dovevano considerare “emissioni d’impero”,
come quella con la leggenda AMI (Fig.
3), abbreviazione di
Aminea (non
lontano da Petilia
Lucana) e quelle a doppio rilievo con la
leggenda
LAI-NOS
o
LAI-MON
(Fig. 4) e quelle
con la leggenda
MO
(per SONTIA; Fig.
5).
Fig.
3
Fig.
4
Fig.
5
Questi esemplari, di cui fa parte anche lo
splendido statere a leggenda
SER
(Fig. 6),
ovviamente accostata all’epigrafe del trattato
tra Sibari e i
SERDAIOI,
sarebbero quindi la
prova del passo di
Strabone, in cui il geografo di
Apamea afferma che
Sibari aveva il dominio su 4
ethne
e 25 città (Strab.
VI 1, 13,
263C) accostando ad
esso i frammenti di
Ecateo di
Mileto (Ecat.,
FGrHist
1 FF 64-71), su alcune città dell’Enotria:
Arynthe,
Artemision,
Erimon,
Ixias,
Menekine,
Kossa,
Kyterion,
Melanios,
Ninaia,
che si suppone egli conoscesse bene visti i
rapporti tra le due città, riportate nel
lessico di Stefano Bizantino.
Fig.
6
È necessario sottolineare
che il passo straboniano
intendesse “…significare che sia le une che le
altre avevano conservato una autonoma identità
politica a differenza di coloro che erano
stati inglobati nella compagine cittadina”.
Le monete a doppia legenda riguardanti Siri
e/o Pissunte
potrebbero avere avuto un tipo di
collocazione
all’interno dell’impero sibarita e servono da
cartina tornasole in quanto elemento di
paragone con il futuro impero
crotoniate.
L’area ionica, compresa tra Sibari e Taranto,
ha sempre costituito un importante punto di
‘contatto’ in grado di richiamare l’attenzione
di popoli diversi, che spesso
entrarono in guerra
tra loro per poterne ottenere i privilegi di
cui per prima usufruì la “ionica” Siri, città
talmente potente da essere alla stregua di
Sibari, come potenza politica ed economica, al
livello di scambi commerciali e che, al
momento della fondazione delle
subcolonie, per
non rimanere esclusa dal ‘commercio’ del
mercato italiota,
che vide implicate tutte le città
magnogreche, abbia
fondato Pissunte.
All’interno della costante storica, che vede
la contrapposizione di due potenze in
espansione culminare con un conflitto aperto,
le enormi potenzialità sibarite
vennero infastidite
e contrastate dalla colonia
sirina nel loro
fiorente commercio.
Solo dopo un processo congetturale di questo
tipo, si può intuire il perché della
distruzione di Siri, da cui solo Sibari e
Metaponto ne
ottennero dei vantaggi, allorquando i primi
invitarono gli Achei a fondare una
colonia nella Siritide
per “potersi spartire quella regione” (Anthioc.
FrgHist
555 F12).
Sibari avrebbe allora coniato delle monete per
indicare, sia la vittoria sugli Ioni di Siri e
sulla sua colonia, sia per
sottolinearne il possesso, cioè per
‘propagandare’ la sua potenza, ed in seguito
per gestirne meglio il territorio. La presenza
dell’etnico diverso sul tipo del toro
sibarita, indica chiaramente una nuova
riorganizzazione di tipo federale, forse una
lega, tra Sibari Metaponto e Crotone, i quali
parteciparono e contribuirono alla distruzione
di Siri, fosse totalmente sottoposta alla
giurisdizione e al potere sibarita, che
ne assumeva
totalmente la guida politica: una lega achea
magnogreca che
ricalcasse le caratteristiche della lega achea
in Ellade.
La
distruzione di Siri, impresa comune
della lega, per lo meno militare, tra
Sibariti, Crotoniati
e Metapontini, a
cui spettò per primi l’iniziativa (Just. XX 2,
3), fu ricca di vantaggi per le due città
confinanti con il territorio della città
lucana, al contrario di Crotone, che
venne sfruttata
solo nell’affiancamento militare delle
consorelle achee in una guerra che sembra
apparentemente priva di vantaggi.
Sibari si assicurava la “presidenza” della
lega, creando, inoltre, un sistema
di alleanze che gli
avrebbe concesse sulle altre città un certo
controllo pur preservandone una certa
autonomia delle stesse rispetto alla propria
centralità.
Con la presenza di un sub-stato cotoniate a
sud in grado di preservare un cuscinetto
territoriale con Locri, nell’occupazione
dell’istmo
scilletico-ipponiate, da parte di
Crotone, Sibari si sarebbe preoccupata di
controllare esclusivamente i confini
settentrionali, una volta in possesso di Siri
della quale aveva
inglobato la
chora, situazione ribadita
dalle emissioni
SIRINOS-PUCOES.
Il tipo di dominio che Sibari tendeva a
crearsi era un tipo legato completamente agli
accordi che le città (ed i popoli) stabilivano
con essa, la cui
tipologia federale è intuibile, e forse
presumibile dagli incusi,
metodo con cui Sibari formalizzò il suo
sistema imperiale che verrà preso da esempio
da molti altre città-stato,
italiote prima ed
italiche successivamente, a cominciare proprio
da Crotone.
Anticipatrice in tutto ‘dell’esperienza
romana’, Sibari
appare come la creatrice di un Impero basato
su una elasticità
pratica di fatto, l’essere padrona e
contemporaneamente guida e riferimento di una
immensa alleanza.
Crotone, anche se va da sé, abbia preso spunto
per quanto riguarda
questo tipo di legittimazione ‘imperiale’ e
che le sue monete avranno proprio lo stesso
valore di quello Sibarita.
L’eredità di Sibari
Monetazione di Crotone ante
510 a.C.
Secondo le teorie più accreditate, la
monetazione di Crotone avrebbe avuto inizio in
un periodo successivo compreso tra i 30 e i 50
anni rispetto a quella di Sibari (540/30 –
520/10 a.C.).
Ultimamente si sta facendo strada l’ipotesi di
collegare il treppiedi cotoniate, non più alla
leggenda ecistica
di fondazione della città, in cui
Miscello avrebbe
preso gli auspici a Delfi bensì con la
vittoria sul Traente e con il grande tripode,
offerto ad apollo nello stesso santuario, come
decima o donario
votivo.
Nel D/ delle primissime coniazioni si trova
uno splendido tripode con disegno uniforme a
tutto campo con tre anelli lungo il bordo del
bacino superiore (tipo
a)
il cui R/ è rappresentato dall’incuso
del dritto. Su un lato del tripode, lungo
uno dei due piedi frontali
è incisa la leggenda abbreviata
%PO.
Lo statere in argento del peso di
8,1 g.
ca. segue il
sistema ponderale acheo-corinzio, risulta
diviso in tre dracme.
La base di tutte le coniazioni
è data dagli
elementi sopraccitati, ma essi saranno
passibili di sviluppi e di evoluzioni più o
meno significativi. Il tondello della prima
monetazione incusa
è di norma largo e piatto,
col passare del tempo esso si farà sempre più
stretto e più spesso, divenendo il preludio
alla monetazione a doppio rilievo. La leggenda
appare a volte più
completa, QPOT, QPOTO, QPOTON, mentre
solo più tardi, alla fine del V sec. a.C.
il Q sarà
sostituito dal K e l’O dalla
W.
Il tripode, nella fase più tarda (fine V -
inizio IV sec. a.C.),
presenterà i tre anelli, disposti lungo il
bordo del bacino nel tipo
a,
disposti su un alto collo emergente dal centro
del bacino (tipo
b).
Nei tipi successivi al primo inizieranno ad
apparire dei simboli fissi sulle monete: il
granchio o l’airone e che a loro volta
verranno affiancati
da simboli variabili: la lira, il delfino,
l’associazione delfino-polpo, l’arco e la
foglia d’edera.
PRIMA SERIE,
tipo con tripode (tipo
a)
e R/ incuso
del D/. Legenda QPO/QPOTO |
I-A |
|
SECONDA SERIE,
tipi con tripode (tipo
a);
R/ incuso del
D/. Legenda QPO/QPOTO |
|
SIMBOLI FISSI |
SIMBOLI VARIABILI |
|
II-A |
Granchio |
- |
|
II-B |
Granchio |
Lira |
|
II-C |
Granchio |
Delfino |
|
II-D |
Granchio |
Delfino-Polpo
|
|
TERZA SERIE,
tipi con tripode (tipo
a-b);
R/ incuso del
D/. Legenda QPO/QPOTO |
|
SIMBOLI FISSI |
SIMBOLI VARIABILI |
|
III-A |
Airone |
|
|
III-B |
Airone |
Arco |
|
III-C |
Airone |
Foglia di Edera |
|
QUARTA SERIE,
tipi con tripode (tipo
a);
R/ incuso del
D/. Legenda QPO/QPOTO |
|
SIMBOLI FISSI |
SIMBOLI VARIABILI |
|
IV-A |
Delfino (incuso) |
|
|
Per la datazione della prima serie della
monetazione di
Crotone sono fondamentali gli studi sulle
riconiazioni,
studiate dal Garraffo.
In particolare viene
utilizzata per questo scopo un esemplare a
tondello largo, senza simbolo (quindi tra le
prime emissioni) che è
riconiato su uno statere di Corinto con
il R/ incuso a
svastica e che figura tra le emissioni più
arcaiche della città ellenica. Datata dal
Ravel in un primo
momento tra il 624-585
a.C.,
attualmente viene definita cronologicamente
dal Bicknell e da
Kraay al 530 ed al
540-535
a.C. dal
Garraffo,
datazione di partenza delle emissioni di
Crotone.
Kraay
sintetizza nei suoi studi un inizio delle
emissioni per Sibari e Metaponto intorno al
550 a.C.,
per Crotone al
530 a.C. e per
Caulonia e
Poseidonia al
525 a.C.;
anche se attualmente molti studiosi non hanno
ancora abbandonato l’ipotesi che tutte e tre
le prime città, unite in una sorta di lega,
abbiano dato inizio alla coniazione
contemporanea delle monete intorno al
530 a.C.,
collegando l’inizio della monetazione
all’arrivo di Pitagora in Magna Grecia, che
fino a pochi anni fa veniva negata dagli
studiosi per questioni di incoerenza
cronologica.
Al periodo compreso tra il 520-510
a.C.,
lo studioso locale, P.
Attianese attribuisce la seconda serie,
quella su cui appaiono i simboli dell’airone e
del Granchio. L’attestazione più importante
risulta dal
riscontro fatto sulla lega del metallo, che
presenta una quantità superiore al 900/1000
d’argento, evidentemente quando la
polis raggiunse una notevole agiatezza
economica normalmente collocata nell’età di
Pitagora. Le monete non sono formate solo da
stateri ma anche da nominali minori e i
simboli, presenti anche su
quest’ultimi, sono
stati interpretati come segni di controllo.
Eppure
non sembra che Crotone abbia ottenuto dei
vantaggi notevoli dopo la presa di Sibari, se
non alcuni vantaggi di tipo
territorial-agrario,
ossia l’aumento del suolo coltivabile.
In effetti la
guerra sarebbe stata inspiegabile, se non
dovuta ad una politica di tipo imperialista
che costrinse Crotone ad una difesa e ad un
contrattacco violentissimo, onde evitare una
rinascita che le avrebbe creato ancora
notevoli problemi.
Fino ad ora abbiamo analizzato quelle
monetazioni che vengono
considerate completamente indipendenti delle
due città e solo in un secondo periodo,
normalmente inquadrato tra il 520 e il
500 a.C.,
sarebbero state coniate monete commemorative
c.d. ‘d’alleanza’,
con altre città limitrofe, sull’esempio di
Sibari, quando i rapporti tra le due città
cambiano radicalmente e che vengono attestati
da uno statere introdotto sul finire del VI
sec a.C.:
D/ Tripode delfico
con piedi leonini, a sin. QPO
R/ Toro stante a
d., retrospiciente,
su base tratteggiata,
incuso, in esergo, MV in rilievo.
(fig. 7)
Fig. 7
Per alcuni questa sarebbe un’emissione che
attesterebbe una qualche forma
di alleanza tra i
centri ionici, mentre secondo uno studio di A.
Stazio, lo statere
sarebbe la dimostrazione provata, vista la
presenza del tripode al D/, dell’avvenuta
sottomissione di Sibari a Crotone e della sua
non totale cancellazione come entità autonoma,
ma come città in grado di mantenere il diritto
di battere moneta, pur essendo ad essa
subordinata.
Sappiamo di alcuni
tentativi di ricostruzione di una seconda e
terza Sibari, senza successo ed in seguito ad
una infruttuosa costruzione di una Sibari sul
Traente. Ancora come altre questioni sibarite,
rimane irrisolta quella di una probabile
ricostruzione o ipotetica sopravvivenza di una
Sibari di stampo
crotoniate, detta ‘Sibari
II’.
Attianese,
pur confermando il fatto
che Crotone strinse un’alleanza con
Sibari II, o meglio con i superstiti della
città, pone prima il dubbio se queste monete
non possano essere realmente state battute
prima della distruzione della città, ipotesi
che però in seguito ad una breve narrazione
storica viene immediatamente accantonata.
Probabilmente la vita sociale dei Sibariti
continuò nella piana del
Crati, con
la Sibari II retta, forse da
un governo fantoccio (forse pitagorico?) in
questo modo i doppi emblemi monetari
“…avrebbero soddisfatto, con la coniazione di
una moneta d’alleanza, la parvenza di
un’autonomia di governo instaurato dai
vincitori”.
Ma non è bene escludere anche altre teorie,
secondo cui la stessa città
pitagorea
appropriandosi dell’esperienza
di Sibari ed in base a ciò, ed anche in base
ai bisogni di commercio, si fa erede, “buona e
liberatrice” del territorio; per sancire
questa eredità, fa battere una moneta con al
dritto il tipo col tripode ed al rovescio il
toro sibarita.
La maggior parte degli studiosi
sono propensi a
vedere in questa ricostruzione la linea
pitagorica di restituzione della
Sibaritide ai
Sibariti ed in particolare alla frangia
aristocratica fuggita dalla politica
antioligarchica di Telys,
nonché ai gruppi
oligarchico-cavallereschi che
disertarono nella battaglia del Traente. |