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> Storia Antica

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N. 22 - Febbraio 2007

LA MONETAZIONE ‘D’IMPERO’ E ‘D’ALLEANZA’ DI CROTONE

L’eredità di Sibari - Parte I

di Antonio Montesanti

 

Definizione di polis magnogreca

 

La natura individualistica delle città italiote non riuscì a superare il concetto di polis, cioè ad allargare il contenuto della struttura statale, fino a comprendere più centri urbani con i loro territori e a creare un organismo complesso, formato da un’unica città, capace di inglobare entità minori, affinché si articolasse quella rete di rapporti politici ed economici che presiede alla formazione di uno stato.

 

Benché non si possa negare alla Magna Grecia una storia politica coerente, le mancano organicità e unità; le colonie italiote continuarono a vivere l’una indipendente dall’altra consentendo soltanto coalizioni occasionali, dettate da interessi privati o particolari, o dalla volontà dell’annullamento di egemonia di una sulle altre, dettato da un peculiare senso d’indipendenza e di autonomia, tipica della polis arcaica, che nascondeva una forma d’egoismo, incapace di uno sviluppo politico statale.

 

E quando questa situazione venne a sovvertirsi in una sorta di evoluzione politica naturale, gli stessi Italioti vietarono all’un l’altro il costituirsi di un grande stato, in grado di prendere il sopravvento sugli altri.

 

Questa gravissima miopia politicache trova riscontro fino ai giorni nostri, favorirà, in seguito, la disintegrazione delle stesse poleis sotto l’urto di forze meno evolute, civilmente e socialmente: la gelosa chiusura che contrassegnò la vita di queste entità, che è anche un titolo di nobile distinzione, non riuscì a difenderle da aggressioni esterne o da sudditanze altalenanti.

 

Le uniche strutture che riusciranno a diversificarsi, secondo un processo storico prolisso e lunghissimo, dalle altre città della Magna Grecia, saranno non a caso le due città poste ai margini estremi dei confini megaelladici, Taranto e Siracusa, in grado di comprendere che la salvaguardia della loro integrità territoriale era dovuta alla propria costituzione di una superpotenza autonoma, subordinata ad una diplomazia politica super partes, alla tenacia di un ‘esperto’ ceto dirigente e ad una fiorentissima attività economica.

 

Se la polis italiota fu realmente una forma di popolamento dalle caratteristiche ben precise caratterizzata da un insediamento terriero su una base alluvionale fluviale o paludosa, coltivabile a cereali, delimitato da confini naturali, allora è ovvio che mentre in un primo periodo questa situazione poteva soddisfare lo status quo e la sopravvivenza naturale, in un secondo momento, nacquero problemi di convivenza tra le stesse entità politiche greche e quelle non greche.

 

La base economica, sulla quale il centro urbano ellenico principale si era il fulcro di un sistema costellato di centri minori all’interno della sua chora, non solo non trovò mai, al pari dei Tirreni una forma definitiva di sinecismo, ma ben presto questa situazione portò ad una disparità tra la collaborazione quasi servile degli autoctoni, in genere dispersi nelle campagne e sottoposti ad un lavoro subordinato, e i centri urbani; la cui unica eccezione è data da Elea, tra l’altro sorta almeno due secoli dopo le principali poleis, alla quale si riconosce un tipo di economia di tipo marittimo a causa della sterilità del suolo (Strab. VI 1, 1 252).

 

Dopottutto era impensabile, almeno fino alle soglie del periodo classico, che una polis potesse sussistere senza una base agricola, essenziale al sostentamento degli abitanti. Laddove il tema che ricorre spesso nelle tradizioni dei motivi di contesa delle città italiote, è quello dei conflitti politici e sociali per il possesso dei terreni da coltivare”.

 

Le poleis magnogreche tentarono, ma non furono capaci, di costituire un micro (o macro) stato ‘supercittadino’, in epoche diverse, dalle fattezze imperiali, ad iniziare con Sibari e finendo con Taranto.

 

Nessuno dei tentativi riuscì a mantenere una sorta di potere imperiale e la propria grandezza a lungo: alla nascita di un impero effimero ne corrispose sempre la morte di un altro e la convivenza di due imperi contigui fu raramente possibile senza il totale annichilimento di uno dei due.

 

Crollo di Sibari

 

Lasciano da parte il problema della caduta di Sibari, già affrontato altrove (s.v. La fine di Sibari: InStoria, n. 1 e 2), è innegabile che prima di addentrarci nella monetazione cotoniate, si debba necessariamente analizzare la situazione monetale sibarita, poiché la polis ionica oltre a rappresentare il primo tentativo di costituzione imperialista è anche precursore della monetazione da cui le varie città presero in un qualche modo spunto e a cui Crotone si rifà in modo diretto e al momento del suo crollo, operata dalla città lacinia stessa, ne prosegue l’eredità accumulandone ed emulandone la situazione al momento dell’acquisizione territoriale.

 

Indipendentemente dalle cause dagli eventi e dagli effetti, Sibari, emulando Corinto e anticipando Atene, partner commerciale di Mileto e tramite con l’Etruria, aveva istituito “un’arte commerciale” di ampio respiro,  per cui doveva essere necessaria un’adeguata potenzialità di scambio che si tradusse in breve tempo in una iper produzione monetale (probabilmente la prima dell’Italia peninsulare) di elevato peso economico, sociale, storico, politico e… reale!

 

La monetazione di Sibari

 

La monetazione di Sibari del periodo anteriore alla sua distruzione, pur essendo estremamente numerosa è estremamente semplice nella tipologia, che ricalca principalmente il tipo del simbolo civico.

 

Il D/ è rappresentato da un possente toro gradiente verso destra e con testa rivolta a sinistra, mentre la testa rivolta a destra viene attribuita alla Sibari dopo la sua distruzione (post 510 a.C.); il R/ invece è sempre l’incuso del dritto. Lo statere in argento riporta sempre l’iscrizione posta al di sopra del dorso dell’animale, quasi sempre al dritto, e, se si esclude un unico esemplare in cui si legge per esteso SUBARITAS, è sempre “MV”.

Il sistema ponderale utilizzato è quello acheo-corinzio, i nominali, statere e dramma (=1/3 di statere), presentano lo stesso tipo, come del resto anche l’obolo.

 

Dal tipo principale derivano quattro tipi base, di cui i primi tre rappresentano la classe più numerosa in assoluto a cui ne seguono altre sei, numericamente meno importanti:

 

PRIMA SERIE, tipi con toro in rilievo al D/ e rovescio incuso del D/.

Legenda assente

 

I-A

 

 

SECONDA SERIE, tipi con toro in rilievo al D/ e rovescio incuso del D/.

Legenda singola presente solo sul D/

 

II-A: VM al D/ nel campo in alto

II-B: VM al D/ in esergo

 

II-C: MV al D/ nel campo in alto

 

II-D: MV al D/ in esergo

 

 

TERZA SERIE, tipi con duplice legenda presente sul D/ e sul R/

 

III-E: SUBARITAS (retr.) al D/ in esergo

   VM al R/ nel campo in alto

 

stateri, dramme

 

III-F: VM al D/ e al R/ nel campo in alto

 

Stateri

 

III-G: VM al D/ e al R/ in esergo

 

Stateri

 

III-H: MV al D/ nel campo in alto e in esergo

 

Stateri

 

III-I: MV al D/ in esergo e al R/ nel campo in alto

Stateri

 

A queste prime due serie, se ne aggiungono altre due che appaiono peculiari e differenti e fondamentali per gli elementi che riportano, secondo la classificazione operata da A. Stazio (Atti del Convegno di Taranto – 1982), che

 

si distinguono dalle altre per l’iscrizione che riportano, NIKA l’una e un ramo di alloro, l’altra.

 

TERZA SERIE, tipi con simboli di vittoria sul D/ e sul R/

 

III-L: D/ VM in esergo; nel campo in alto: ramo d’alloro e bordo perlinato in rilievo

R/nel campo in alto: ramo d’alloro

 

statere, unicum, coll. De Luynes, 554 

III-M: D/ MV in esergo, nel campo in alto NIKA

R/ MV in esergo, bordo perlinato in rilievo

 

4 stateri, tutti da unica coppia di coni 

 

Cronologia

 

I dati per una successione cronologica hanno consentito di sistemare ed organizzare le serie ed i tipi:

 

- La maggior parte delle monete sibarite, dunque, si possono raggruppare in due gruppi, ambedue con la leggenda identificativa dell’etnico, MV, ma distinte a seconda della posizione dello stesso, che questo si trovi nel campo (tipo A) o in esergo (tipo B).

 

- L’esemplare 90 della collezione Fabricius, tipo I-B, presenta l’iscrizione MV ribattuta su VM. La forma retrograda è presente nel 90% dei casi e non risulta mai presente insieme a quella progressiva sulla stessa moneta, elemento che lascia adito a poche ipotesi dando una successione cronologica definita.

 

- Il Ripostiglio di Sambiase (IGCH, n. 1872) è un gruppo di argenti che vennero sepolti nella seconda metà del VI sec. a.C. nell’omonima cittadina calabrese e che era composto da 1 barretta di argento, 56 stateri di Sibari della classe A e 2 monete di Corinto del primo periodo Ravel. In particolare queste ultime due sono rapportabili, per il periodo più antico, con i ripostigli di Taranto 1911 (IGCH 1874) e Selinunte 1985 (ANSMN, 33, 1988, pp. 1 ss.) e ci restituiscono il termine post quem per l’inizio della datazione, e quindi dell’intera monetazione sibarita, del tipo I-A, poiché i “pegasi” corinzi sono unanimemente datati tra il 560 e il 515 a.C.

 

Da questo ripostiglio proviene anche l’esemplare 52 il quale presenta, oltre al primo VM al D/, originale di conio, anche un secondo VM “graffito” in esergo, tipico della classe B (tipo I-B).

 

La doppia presenza, del retrogrado o del progressivo ha fatto pensare o ad una successione cronologica o due officine monetarie nella città.

 

Si possono stilare, a questo punto elementari considerazioni ed alcuni elementi di cronologia.

 

Il dato più attendibile per la localizzazione cronologica delle monete è il tesoretto di Sambiase da cui si ricava la data comunemente accettata per la nascita della monetazione sibarita e riferibile alla metà del VI sec. a.C., tuttavia tutte queste considerazioni si basano su ipotesi e calcoli assolutamente arbitrari:le monete di Corinto, visto l’ottimo stato di conservazione, sono datate in un periodo compreso tra il 570/560 al 515 a.C., e quindi all’interno di una forbice comunque troppo ampia visto che le monete si possono inquadrare alla metà del periodo indicato, cioè al 540 a.C., con ipotesi sulla data di sepoltura intorno al 520 a.C.

 

Tra la nascita delle coniazioni sibarite e la fine della città, si assiste a coniazioni del tutto regolari e solo nell’ultimo periodo si vedono delle variazioni, come ad esempio l’etnico, che cambia verso da retrogrado a progressivo, e l’apparire ad es. della legenda NIKA riferibile al periodo degli scontri con Crotone o al periodo immediatamente successivo.

 

La monetazione ‘imperiale’ di Sibari

 

Alle tipologie delle serie base (I-III) si aggiungono alla monetazione sibarita alcune serie che vengono definite “imperiali” o  “d’alleanza”. Tra queste, quelle che pare essere la più antica è quella incusa con la serie del toro retrospiciente e la leggenda SIRINOS-PUC e SIRINOS-PUCOES (Fig. 1).

 

Fig. 1

 

La leggenda sembra porre, i centri presenti sulle monete, su un piede di parità tra di loro. Nessuna comunità si distingue da un’altra nei riguardi del ricchissimo centro ionico, e non è possibile, in altre emissioni, poter distinguere una città rispetto ad un’altra.

 

Per queste emissioni sembrano potersi considerare esclusivamente due ipotesi.

 

Per la maggior parte degli studiosi queste prime monete, in cui si attesta la presenza di un doppio etnico (VM e SIRINOS-PUCOES; Fig. 2) , la sopravvissuta Siri, dopo la distruzione operata da Sibariti, Metapontini e Crotoniati attorno al 560 a.C., e ormai ridotta ad un piccolo borgo, sarebbero state coniate nel momento in cui la città dominante (Sibari) cadde, rivendicando, quella dominata (Siri), la propria indipendenza e che sarebbero state emesse solo dopo la caduta il crollo del centro ionico ad opera dei crotoniati; queste comunità avrebbero costituito così il tentativo dei centri vicini di affermare la propria libertà dopo gli avvenimenti del 510 a.C.

 

 Fig. 2

 

Non mancano però neanche correnti differenti, e che in parte ci sentiamo di condividere, secondo cui Sirinos, città indigena di imprecisata posizione ma comunque nei pressi di Pissunte (attuale Policastro Bussentino), ed entrata in contatto o sotto la sfera d’influenza sibarita, abbia emesso delle monete contemporanee, incoraggiate dallo stesso centro acheo per poter gestire economicamente meglio la regione o il suo sistema di città federate.

 

La presenza del toro sibarita, quindi, su emissioni con leggenda SIRINOS-PUCOES, potrebbe essere il segno, il simbolo indelebile dell’egemonia di Sibari sulle altre due città. Lo studioso francese Perret esprimeva già il parere che, monete di questo tipo, si dovevano considerare “emissioni d’impero”, come quella con la leggenda AMI (Fig. 3), abbreviazione di Aminea (non lontano da Petilia Lucana) e quelle a doppio rilievo con la leggenda LAI-NOS o LAI-MON (Fig. 4) e quelle con la leggenda MO (per SONTIA; Fig. 5).

 

 Fig. 3

 

 

Fig. 4

 

 

 Fig. 5

 

Questi esemplari, di cui fa parte anche lo splendido statere a leggenda SER (Fig. 6), ovviamente accostata all’epigrafe del trattato tra Sibari e i SERDAIOI, sarebbero quindi la prova del passo di Strabone, in cui il geografo di Apamea afferma che Sibari aveva il dominio su 4 ethne e 25 città (Strab. VI 1, 13, 263C) accostando ad esso i frammenti di Ecateo di Mileto (Ecat., FGrHist 1 FF 64-71), su alcune città dell’Enotria: Arynthe, Artemision, Erimon, Ixias, Menekine, Kossa, Kyterion, Melanios, Ninaia, che si suppone egli conoscesse bene visti i rapporti tra le due città, riportate nel lessico di Stefano Bizantino.

 

 Fig. 6

 

È necessario sottolineare che il passo straboniano intendesse “…significare che sia le une che le altre avevano conservato una autonoma identità politica a differenza di coloro che erano stati inglobati nella compagine cittadina”.

 

Le monete a doppia legenda riguardanti Siri e/o Pissunte potrebbero avere avuto un tipo di collocazione all’interno dell’impero sibarita e servono da cartina tornasole in quanto elemento di paragone con il futuro impero crotoniate.

 

L’area ionica, compresa tra Sibari e Taranto, ha sempre costituito un importante punto di ‘contatto’ in grado di richiamare l’attenzione di popoli diversi, che spesso entrarono in guerra tra loro per poterne ottenere i privilegi di cui per prima usufruì la “ionica” Siri, città talmente potente da essere alla stregua di Sibari, come potenza politica ed economica, al livello di scambi commerciali e che, al momento della fondazione delle subcolonie, per non rimanere esclusa dal ‘commercio’ del mercato italiota, che vide implicate tutte le città magnogreche, abbia fondato Pissunte.

 

All’interno della costante storica, che vede la contrapposizione di due potenze in espansione culminare con un conflitto aperto, le enormi potenzialità sibarite vennero infastidite e contrastate dalla colonia sirina nel loro fiorente commercio.

 

Solo dopo un processo congetturale di questo tipo, si può intuire il perché della distruzione di Siri, da cui solo Sibari e Metaponto ne ottennero dei vantaggi, allorquando i primi  invitarono gli Achei a fondare una colonia nella Siritide per “potersi spartire quella regione” (Anthioc. FrgHist 555 F12). 

 

Sibari avrebbe allora coniato delle monete per indicare, sia la vittoria sugli Ioni di Siri e sulla sua colonia, sia per sottolinearne il possesso, cioè per ‘propagandare’ la sua potenza, ed in seguito per gestirne meglio il territorio. La presenza dell’etnico diverso sul tipo del toro sibarita, indica chiaramente una nuova riorganizzazione di tipo federale, forse una lega, tra Sibari Metaponto e Crotone, i quali parteciparono e contribuirono alla distruzione di Siri, fosse totalmente sottoposta alla giurisdizione e al potere sibarita, che ne assumeva totalmente la guida politica: una lega achea magnogreca che ricalcasse le caratteristiche della lega achea in Ellade.

 

La  distruzione di Siri, impresa comune della lega, per lo meno militare, tra Sibariti, Crotoniati e Metapontini, a cui spettò per primi l’iniziativa (Just. XX 2, 3), fu ricca di vantaggi per le due città confinanti con il territorio della città lucana, al contrario di Crotone, che venne sfruttata solo nell’affiancamento militare delle consorelle achee in una guerra che sembra apparentemente priva di vantaggi.

 

Sibari si assicurava la “presidenza” della lega, creando, inoltre, un sistema di alleanze che gli avrebbe concesse sulle altre città un certo controllo pur preservandone una certa autonomia delle stesse rispetto alla propria centralità.

 

Con la presenza di un sub-stato cotoniate a sud in grado di preservare un cuscinetto territoriale con Locri, nell’occupazione dell’istmo scilletico-ipponiate, da parte di Crotone, Sibari si sarebbe preoccupata di controllare esclusivamente i confini settentrionali, una volta in possesso di Siri della quale aveva inglobato la chora, situazione ribadita dalle emissioni SIRINOS-PUCOES.

 

Il tipo di dominio che Sibari tendeva a crearsi era un tipo legato completamente agli accordi che le città (ed i popoli) stabilivano con essa, la cui tipologia federale è intuibile, e forse presumibile dagli incusi, metodo con cui Sibari formalizzò il suo sistema imperiale che verrà preso da esempio da molti altre città-stato, italiote prima ed italiche successivamente, a cominciare proprio da Crotone.

 

Anticipatrice in tutto ‘dell’esperienza romana’, Sibari appare come la creatrice di un Impero basato su una elasticità pratica di fatto, l’essere padrona e contemporaneamente guida e riferimento di una immensa alleanza.

 

Crotone, anche se va da sé, abbia preso spunto per quanto riguarda questo tipo di legittimazione ‘imperiale’ e che le sue monete avranno proprio lo stesso valore di quello Sibarita.

 

L’eredità di Sibari

 

Monetazione di Crotone ante 510 a.C.

 

Secondo le teorie più accreditate, la monetazione di Crotone avrebbe avuto inizio in un periodo successivo compreso tra i 30 e i 50 anni rispetto a quella di Sibari (540/30 – 520/10 a.C.). Ultimamente si sta facendo strada l’ipotesi di collegare il treppiedi cotoniate, non più alla leggenda ecistica di fondazione della città, in cui Miscello avrebbe preso gli auspici a Delfi bensì con la vittoria sul Traente e con il grande tripode, offerto ad apollo nello stesso santuario, come decima o donario votivo.

 

Nel D/ delle primissime coniazioni si trova uno splendido tripode con disegno uniforme a tutto campo con tre anelli lungo il bordo del bacino superiore (tipo a) il cui R/ è rappresentato dall’incuso del dritto. Su un lato del tripode, lungo uno dei due piedi frontali è incisa la leggenda abbreviata %PO. Lo statere in argento del peso di 8,1 g. ca. segue il sistema ponderale acheo-corinzio, risulta diviso in tre dracme.

 

La base di tutte le coniazioni è data dagli elementi sopraccitati, ma essi saranno passibili di sviluppi e di evoluzioni più o meno significativi. Il tondello della prima monetazione incusa è di norma largo e piatto, col passare del tempo esso si farà sempre più stretto e più spesso, divenendo il preludio alla monetazione a doppio rilievo. La leggenda appare a volte più completa, QPOT, QPOTO, QPOTON, mentre solo più tardi, alla fine del V sec. a.C. il Q sarà sostituito dal K e l’O dalla W.

 

Il tripode, nella fase più tarda (fine V - inizio IV sec. a.C.), presenterà i tre anelli, disposti lungo il bordo del bacino nel tipo a, disposti su un alto collo emergente dal centro del bacino (tipo b).

 

Nei tipi successivi al primo inizieranno ad apparire dei simboli fissi sulle monete: il granchio o l’airone e che a loro volta verranno affiancati da simboli variabili: la lira, il delfino, l’associazione delfino-polpo, l’arco e la foglia d’edera.

 

PRIMA SERIE, tipo con tripode (tipo a) e R/ incuso del D/. Legenda QPO/QPOTO

I-A

SECONDA SERIE, tipi con tripode (tipo a); R/ incuso del D/. Legenda QPO/QPOTO

 

SIMBOLI FISSI

SIMBOLI VARIABILI

 

II-A

Granchio

-

II-B

Granchio

Lira

II-C

Granchio

Delfino

II-D

Granchio

Delfino-Polpo

 

TERZA SERIE, tipi con tripode (tipo a-b); R/ incuso del D/. Legenda QPO/QPOTO

 

SIMBOLI FISSI

SIMBOLI VARIABILI

 

III-A

Airone

 

III-B

Airone

Arco

III-C

Airone

Foglia di Edera

 

QUARTA SERIE, tipi con tripode (tipo a); R/ incuso del D/. Legenda QPO/QPOTO

 

SIMBOLI FISSI

SIMBOLI VARIABILI

 

IV-A

Delfino (incuso)

 

 

Per la datazione della prima serie della monetazione di Crotone sono fondamentali gli studi sulle riconiazioni, studiate dal Garraffo. In particolare viene utilizzata per questo scopo un esemplare a tondello largo, senza simbolo (quindi tra le prime emissioni) che è riconiato su uno statere di Corinto con il R/ incuso a svastica e che figura tra le emissioni più arcaiche della città ellenica. Datata dal Ravel in un primo momento tra il 624-585 a.C., attualmente viene definita cronologicamente dal Bicknell e da Kraay al 530 ed al 540-535 a.C. dal Garraffo, datazione di partenza delle emissioni di Crotone.

 

Kraay sintetizza nei suoi studi un inizio delle emissioni per Sibari e Metaponto intorno al 550 a.C., per Crotone al 530 a.C. e per Caulonia e Poseidonia al 525 a.C.; anche se attualmente molti studiosi non hanno ancora abbandonato l’ipotesi che tutte e tre le prime città, unite in una sorta di lega, abbiano dato inizio alla coniazione contemporanea delle monete intorno al 530 a.C., collegando l’inizio della monetazione all’arrivo di Pitagora in Magna Grecia, che fino a pochi anni fa veniva negata dagli studiosi per questioni di incoerenza cronologica.

 

Al periodo compreso tra il 520-510 a.C., lo studioso locale, P. Attianese attribuisce la seconda serie, quella su cui appaiono i simboli dell’airone e del Granchio. L’attestazione più importante risulta dal riscontro fatto sulla lega del metallo, che presenta una quantità superiore al 900/1000 d’argento, evidentemente quando la polis raggiunse una notevole agiatezza economica normalmente collocata nell’età di Pitagora. Le monete non sono formate solo da stateri ma anche da nominali minori e i simboli, presenti anche su quest’ultimi, sono stati interpretati come segni di controllo.

 

Eppure non sembra che Crotone abbia ottenuto dei vantaggi notevoli dopo la presa di Sibari, se non alcuni vantaggi di tipo territorial-agrario, ossia l’aumento del suolo coltivabile. In effetti la guerra sarebbe stata inspiegabile, se non dovuta ad una politica di tipo imperialista che costrinse Crotone ad una difesa e ad un contrattacco violentissimo, onde evitare una rinascita che le avrebbe creato ancora notevoli problemi.

 

Fino ad ora abbiamo analizzato quelle monetazioni che vengono considerate completamente indipendenti delle due città e solo in un secondo periodo, normalmente inquadrato tra il 520 e il 500 a.C., sarebbero state coniate monete commemorative c.d. ‘d’alleanza’, con altre città limitrofe, sull’esempio di Sibari, quando i rapporti tra le due città cambiano radicalmente e che vengono attestati da uno statere introdotto sul finire del VI sec a.C.:

 

D/ Tripode delfico con piedi leonini, a sin. QPO

R/ Toro stante a d., retrospiciente, su base tratteggiata, incuso, in esergo, MV in rilievo. (fig. 7)

 

Fig. 7

 

Per alcuni questa sarebbe un’emissione che attesterebbe una qualche forma di alleanza tra i centri ionici, mentre secondo uno studio di A. Stazio, lo statere sarebbe la dimostrazione provata, vista la presenza del tripode al D/, dell’avvenuta sottomissione di Sibari a Crotone e della sua non totale cancellazione come entità autonoma, ma come città in grado di mantenere il diritto di battere moneta, pur essendo ad essa subordinata.

 

Sappiamo di alcuni tentativi di ricostruzione di una seconda e terza Sibari, senza successo ed in seguito ad una infruttuosa costruzione di una Sibari sul Traente. Ancora come altre questioni sibarite, rimane irrisolta quella di una probabile ricostruzione o ipotetica sopravvivenza di una Sibari di stampo crotoniate, detta ‘Sibari II’.

 

Attianese, pur confermando il fatto che Crotone strinse un’alleanza con Sibari II, o meglio con i superstiti della città, pone prima il dubbio se queste monete non possano essere realmente state battute prima della distruzione della città, ipotesi che però in seguito ad una breve narrazione storica viene immediatamente accantonata. Probabilmente la vita sociale dei Sibariti continuò nella piana del Crati, con la Sibari II retta, forse da un governo fantoccio (forse pitagorico?) in questo modo i doppi emblemi monetari “…avrebbero soddisfatto, con la coniazione di una moneta d’alleanza, la parvenza di un’autonomia di governo instaurato dai vincitori”.

 

Ma non è bene escludere anche altre teorie, secondo cui la stessa città pitagorea appropriandosi dell’esperienza di Sibari ed in base a ciò, ed anche in base ai bisogni di commercio, si fa erede, “buona e liberatrice” del territorio; per sancire questa eredità, fa battere una moneta con al dritto il tipo col tripode ed al rovescio il toro sibarita.

 

La maggior parte degli studiosi sono propensi a vedere in questa ricostruzione la linea pitagorica di restituzione della Sibaritide ai Sibariti ed in particolare alla frangia aristocratica fuggita dalla politica antioligarchica di Telys, nonché ai gruppi oligarchico-cavallereschi che disertarono nella battaglia del Traente.



 

 

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