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N. 21 - Settembre 2009
(LII)
Un tuffo nell’oro
Storia dei mondiali di sport acquatici - Parte III
di Simone Valtieri
Le
piscine
scoperte
del
parco
“Jean
Drapeu”
di
Montreal,
sull’isola
di
Sant’Elena,
ospitano
nel
2005
la
decima
edizione
dei
mondiali
di
sport
acquatici.
All’ombra
della
famosissima
Biosfera
di
Buckminster-Fuller,
eredità
dell’esposizione
universale
del
1967
e
sfondo
di
mille
imprese
ai
giochi
olimpici
del
1976,
prende
vita
una
battaglia
memorabile
tra
gli
atleti
delle
due
superpotenze
del
nuoto
moderno:
Stati
Uniti
ed
Australia.
I
numeri
dei
mondiali
canadesi
sono
di
poco
inferiori
a
quelli
catalani
di
due
anni
prima,
ma
comunque
consistenti:
1784
atleti,
144
nazioni
rappresentate
e 62
gare
in
programma
tra
tuffi,
nuoto,
pallanuoto,
nuoto
sincronizzato
e in
acque
aperte.
Sono
numeri
che
passano
in
secondo
piano,
però,
visti
i
fatti
avvenuti
pochi
mesi
prima
dei
mondiali:
a
gennaio,
Montreal
si
era
vista
togliere
dalla
Federazione
Internazionale
l’organizzazione
della
rassegna
iridata,
a
causa
di
un
buco
nel
bilancio
di
oltre
10
milioni
di
dollari.
A
febbraio,
dopo
la
garanzia
di
copertura
del
buco
da
parte
del
sindaco,
i
giochi
venivano
riassegnati
alla
città
canadese,
che
era
però
stata
teatro
nel
frattempo
del
suicidio
di
Yvon
DesRochers,
presidente
del
comitato
organizzatore
dei
mondiali,
sparatosi
nella
sua
autovettura
in
una
zona
centrale
della
città.
Il
17
luglio,
giorno
seguente
alla
cerimonia
inaugurale,
si
parte
in
contemporanea
con
le
gare
di
tutte
le
discipline
fatta
eccezione
per
il
nuoto,
a
cui
è
tradizionalmente
riservata
la
ribalta
dell’ultima
settimana
di
gare.
Nel
nuoto
sincronizzato
la
dinamicità
delle
atlete
in
vasca
contrasta
bruscamente
con
la
staticità
dei
risultati
che
vedrebbero
sul
podio
in
tutte
le
gare
le
atlete
di
tre
sole
squadre
(Russia,
Giappone
e
Spagna),
se
non
fosse
per
la
classe
e
l’armonia
sprigionata
da
una
sirena
francese
di
nome
Virginie
Dedieu.
La
Dedieu
rasenta
la
perfezione
nel
programma
libero
della
gara
del
solo
con
99,667
punti,
in
pratica
la
media
del
dieci,
aggiudicandosi
l’oro
davanti
alla
giovane
stella
emergente,
la
russa
Natalia
Ischenko,
e
alla
esplosiva
spagnola
Gemma
Mengual.
Nelle
altre
tre
prove,
come
accennato,
è
sempre
la
Russia
a
farla
da
padrona,
con
le
due
“Anastasie”,
Ermakova
e
Davydova,
a
vincere
l’oro
nel
duo
ed a
trascinare
la
squadra
russa
sul
gradino
più
alto
del
libero
combinato
a
squadre.
Se
nella
piscina
del
sincronizzato
l’unica
ad
intaccare
il
dominio
russo
è la
francese
Dedieu,
in
quella
dei
tuffi
i
maestri
cinesi
tornano
a
casa
col
“misero”
bottino
di
cinque
ori
su
dieci
gare,
messi
a
dura
prova
da
due
atleti
di
casa:
Blythe
Hartley
e
soprattutto
Alexandre
Despatie,
nato
proprio
a
Montreal
venti
anni
prima
dei
mondiali.
Il
giovane
talento
del
Québec
non
ha
rivali
nelle
gare
dal
trampolino,
nelle
quali
si
impone
contro
pronostico.
La
canadese
di
Edmonton
invece,
già
nota
ad
alti
livelli
per
il
titolo
conquistato
a
Fukuoka
nella
gara
da
un
metro,
centra
il
bis
dal
trampolino
del
“Pavillon
des
baigneurs”,
migliorando
il
bronzo
ottenuto
a
Barcellona
2003.
L’impresa
di
sconfiggere
gli
agguerriti
atleti
cinesi
riesce
anche
a
Laura
Ann
Wilkinson,
americana,
dalla
piattaforma
e
alla
coppia
russa
Alexander
Dobroskok
e
Gleb
Galperin.
Ci
prova
anche
una
giovanissima
italiana
figlia
d’arte,
Tania
Cagnotto,
ad
impensierire
le
cinesi,
ma
Guo
Jingjing
e Wu
Minxia
sono
di
un
altro
pianeta
e
dal
trampolino
da
tre
metri
l’atleta
bolzanina,
figlia
del
bronzo
iridato
Giorgio
Cagnotto
di
Berlino
1978,
si
deve
“accontentare”
della
stessa
medaglia
vinta
dal
genitore.
Le
gare
di
nuoto
gran
fondo
si
svolgono
tra
le
acque
calme
del
bacino
olimpico
di
canoa
e
canottaggio,
utilizzato
durante
i
giochi
olimpici
di
Montreal
1976.
L’unica
atleta
a
podio
in
tutte
e
tre
le
gare
cui
partecipa
è la
veterana
olandese
Edith
Van
Dijk,
oro
nei
10
km
davanti
all’italiana
Federica
Vitale,
bronzo
nei
5 km
dietro
alla
fortissima
russa
Larissa
Ilchenko
ed
argento
nella
massacrante
maratona
di
25
km
dietro
alla
tedesca
Britta
Kamrau
e
davanti
all’azzurra
Laura
La
Piana.
Tra
i
maschi,
il
tedesco
Thomas
Lurz
e
l’americano
Chip
Peterson
si
alternano
sui
primi
due
gradini
del
podio
nelle
distanze
più
brevi,
non
partecipando
alla
maratona
vinta
dallo
spagnolo
David
Meca.
Nella
pallanuoto
le
ragazze
canadesi
fanno
sognare
il
pubblico
di
casa
ma
sono
costrette
ad
arrendersi
in
semifinale
per
9-7
alla
fortissima
Ungheria,
poi
campione
sugli
Stati
Uniti.
Non
riesce
il
bis
nel
torneo
maschile
ai
magiari,
che
in
finale
perdono
dalla
fortissima
compagine
di
Serbia
e
Montenegro
(per
l’ultima
volta
sotto
la
stessa
bandiera)
e
che
domina
il
torneo
vincendo
tutte
le
partite
trascinata
dai
ben
26
gol
di
Aleksandar
Šapić,
miglior
giocatore
del
torneo.
E
veniamo
al
nuoto:
Grant
Hackett
o
Michael
Phelps,
chi
è
l’uomo
immagine
di
Montreal
2005?
I
numeri
direbbero
Phelps,
vincitore
di
quattro
ori
contro
i
tre
di
Hackett,
ma
la
qualità
delle
medaglie
ed i
riscontri
cronometrici
assegnano
lo
scettro
del
migliore
all’australiano.
Grant
Hackett,
infatti,
riporta
i
suoi
successi
in
tre
gare
individuali,
sfiorando
il
quarto
oro
proprio
nei
200
stile
libero
conquistati
da
Phelps.
Nelle
distanze
più
lunghe
è un
monologo
del
campione
di
Southport:
primo
nei
400
stile
libero,
primo
con
sensazionale
record
del
mondo
(7’38”65)
negli
800,
ancora
primo
nei
1500.
Il
“kid
di
Baltimora”,
nomignolo
con
cui
inizia
ad
essere
conosciuto
Michael
Phelps,
risponde
con
l’oro
nei
200
stile
e
nei
400
misti
e le
due
affermazioni
con
le
staffette
stile
libero
a
stelle
e
strisce.
Ancora
troppo
poco
per
spodestare
“King”
Hackett,
che
raggiunge
l’ottavo
titolo
mondiale
in
carriera
nella
vasca
canadese.
Nella
gara
regina
del
nuoto
in
corsia,
i
100
metri
stile
libero,
a
quattordici
anni
di
distanza
dal
bronzo
di
Giorgio
Lamberti
a
Perth
1991,
è un
giovane
ragazzo
di
Pesaro
a
diventare
a
sorpresa
campione
del
mondo
per
l’Italia:
Filippo
Magnini.
“Pippo”
appartiene
alla
schiera
di
quei
nuotatori
che
arrivano
tardi
alla
maturazione.
Ai
blocchi
di
partenza
di
Montreal
ha
23
anni;
dotato
di
una
prima
vasca
sorniona
e di
un
ritorno
fulminante,
passa
quarto
a
metà
gara
con
un
ritmo
per
lui
forsennato
e si
proietta
in
un
ritorno
strabiliante,
grazie
al
quale
rimonta
e
supera
negli
ultimi
cinque
metri
i
due
sudafricani
Schoeman
(oro
anche
nei
50
stile
libero
e
nei
50
farfalla)
e
Neethling.
Gli
americani
Aaron
Peirsol
e
Brendan
Hansen
sono
i
protagonisti
delle
gare
a
dorso
e
rana,
dove
realizzano
la
doppietta
100-200
lasciando
le
prove
veloci
sui
50
metri
rispettivamente
al
greco
Grigoriadis
ed
al
tedesco
Warnecke.
Ian
Crocker
manca
la
doppietta
50-100
nella
farfalla
a
causa
di
Schoeman,
ma
va a
comporre
con
gli
altri
due
connazionali
e
con
Jason
Lezak
un
quartetto
per
la
staffetta
mista
che
ha
pochi
uguali.
L’Europa
dell’est
si
aggiudica
le
altre
due
gare
maschili
in
programma:
i
400
misti
con
l’ungherese
Laszlo
Cseh,
argento
nei
200
dietro
Phelps,
davanti
all’italiano
Luca
Marin,
e i
200
farfalla
col
polacco
Pawel
Korzeniowski.
L’Australia
risponde
allo
strapotere
americano
maschile
con
le
sue
tante
stelle
al
femminile:
Lisbeth
Lenton
e
Jodie
Henry
(stile
libero
veloce),
Jade
Edmistone
e
Leisel
Jones
(rana),
Danni
Miatke
e
Jessicah
Schipper
(farfalla),
Giaan
Rooney
(50
dorso)
riportano
titoli
a
valanga,
tra
cui
quello
delle
due
4x100,
lasciando
le
briciole
alle
rivali.
L’unica
che
riesce
a
mettere
dietro
di
sé
un’australiana
è la
polacca
Otylia
Jedrzejczak
che
vince
l’oro
dei
200
farfalla
davanti
alla
Schipper.
Nel
dorso
l’atleta
dello
Zimbabwe
Kirsty
Coventry
risponde
agli
ori
sudafricani
maschili
aggiudicandosi
entrambe
le
prove
classiche
(100
e
200),
mentre
nei
misti
e
nelle
gare
lunghe
dello
stile
libero
(800
e
1500)
sono
le
due
americane
Katie
Hoff,
sedici
anni,
e
Katie
Ziegler
a
fare
man
bassa
(la
Hoff
contribuisce
anche
all’oro
della
4x200).
Resta
da
parlare
di
una
rivalità
agli
albori,
e
che
durerà
il
breve
volgere
di
un
paio
d’anni
fuori
e
dentro
la
vasca,
tra
amori
rubati
e
prestazioni
favolose,
crisi
psicologiche
e
diverse
reazioni
alle
difficoltà:
le
due
protagoniste
sono
il
talento
francese
Laure
Manaudou
e la
giovanissima
italiana
Federica
Pellegrini.
A
Montreal
finisce
1-0
per
la
transalpina,
che
vince
la
gara
dei
400
metri,
mentre
la
diciassettenne
veneta
di
Spinea,
già
argento
olimpico
nel
2004,
ripete
la
prestazione
ateniese
beffata
di
appena
13
centesimi
nei
200
stile
libero
dalla
francese
Solenne
Figues.
La
sfida
è
lanciata.
Nel
2007
in
un
tempio
del
tennis,
la
Rod
Laver
Arena
di
Melbourne,
viene
allestita
una
piscina
provvisoria,
intitolata
alla
fuoriclasse
Susan
O’Neill,
bicampionessa
olimpica
dei
200
stile
libero
e
oro
mondiale
a
Perth
1998.
Dai
comodi
spalti
dell’impianto
coperto
australiano
quindicimila
spettatori
assistono
quotidianamente
alle
prove
dei
migliori
nuotatori
del
mondo
e
sono
testimoni
del
veemente
ritorno
sul
trono
di
Michael
Phelps,
che
riesce
nell’impresa
clamorosa
di
ottenere
sette
titoli
mondiali
in
una
sola
edizione,
eguagliando
il
record
di
Mark
Spitz
alle
olimpiadi
di
Monaco
1972
e
facendo
le
prove
generali
per
Pechino
2008,
dove,
aggiungendo
ai
titoli
di
Melbourne
quello
della
4x100
mista,
riuscirà
a
tornare
in
patria
con
8
ori
al
collo:
un
risultato
da
leggenda.
A
Melbourne
il
“Kid”
vince
i
200
stile
libero,
i
100
e i
200
farfalla,
le
due
gare
miste
e le
due
staffette
a
stile
libero,
stabilendo
nelle
finali
ben
cinque
record
del
mondo.
Gli
altri
non
riescono
ad
avvicinarlo,
in
vasca
sembra
uno
squalo
che
divora
gli
avversari
lasciandoli
a
distacchi
abissali.
L’unico
ad
impensierirlo
è il
suo
compagno
di
squadra
Crocker,
secondo
per
soli
cinque
centesimi
nei
100
farfalla,
mentre
nelle
restanti
gare
non
c’è
storia:
strabilianti
i
record
del
mondo
dei
200
farfalla,
dei
200
stile
libero
e
dei
400
misti.
I
vincitori
degli
argenti
arrivano
con
2-3
secondi
di
ritardo.
Le
gare
senza
il
cannibale
Phelps
sono
quelle
più
aperte:
nello
stile
libero
Filippo
Magnini
bissa
il
titolo
mondiale
di
Montreal,
stavolta
pari
merito
con
il
gigante
canadese
Brent
Hayden
in
una
gara
che
vede
un
parco
partenti
d’eccezione
con
il
terzo
posto
dell’australiano
Eamon
Sullivan,
futuro
recordman
del
mondo,
il
quarto
di
un
giovanissimo
brasiliano,
Cesar
Cielo
Filho,
e il
sesto
dell’ormai
attempato
Pieter
Van
Den
Hoogenband.
L’uomo
più
veloce
in
vasca
è
Benjamin
Wildman-Tobriner
che
si
aggiudica
i 50
metri,
quello
più
resistente
il
polacco
Mateusz
Sawrymowicz
che
trionfa
nei
1500.
Negli
800
il
suo
compagno
di
squadra,
Przemyslaw
Stanczyk,
si
vede
consegnare
l’oro
con
due
mesi
di
ritardo,
a
seguito
della
squalifica
per
doping
del
tunisino
Oussama
Mellouli,
che
aveva
incoscientemente
assunto
un
medicinale
contenente
sostanze
proibite.
In
questa
gara
il
bronzo
finisce
così
al
collo
del
giovane
azzurro
Federico
Colbertaldo,
regolarmente
in
finale
anche
nelle
altre
due
gare
cui
partecipa,
quinto
nei
1500
e
nei
400
vinti
dal
coreano
Park.
Il
dorso
è
sempre
terreno
di
caccia
americano,
con
Aaron
Peirsol
oro
davanti
a
Ryan
Lochte
nei
100
e
posizioni
invertite
nei
200,
entrambi
col
record
del
mondo.
La
rana
è un
duello
tra
Hansen
(oro
nei
100),
il
giapponese
recordman
mondiale
Kosuke
Kitajima
(argento
nei
100
e
oro
nei
200)
e
l’australiano
Brenton
Rickard
(argento
sempre
nei
200
davanti
al
duo
italiano
Loris
Facci
e
Paolo
Bossini).
Le
gare
veloci
di
dorso,
farfalla
e
rana
sono
invece
appannaggio
dei
sud
africani
Zandberg
e
Schoeman
e
dell’ucraino
Oleg
Lisogor.
La
squadra
maschile
australiana,
deludente
in
casa
tra
le
corsie,
si
riscatta
parzialmente
l’ultimo
giorno
vincendo
il
titolo
della
4x100
mista,
approfittando
dell’assenza
degli
imbattibili
statunitensi
eliminati
in
batteria
per
cambio
irregolare:
Matthew
Welsh,
Brenton
Rickard,
Andrew
Lauterstein
ed
Eamon
Sullivan
gli
autori
dell’impresa.
Fortunatamente
per
il
pubblico
di
casa,
le
donne
australiane
sono
di
un’altra
pasta:
Lisbeth
Lenton
fa
tris
con
gli
ori
sui
50 e
100
stile
libero
e
nei
100
farfalla,
Leisel
Jones
domina
100
e
200
rana,
Jessicah
Schipper
è
oro
nei
200
farfalla
e le
due
4x100
australiane
regolano
le
rivali
statunitensi.
Gli
Usa
rispondono
con
il
titolo,
condito
dal
record
del
mondo,
della
4x200
stile
libero,
con
la
conferma
del
predominio
nei
misti
e
nelle
gare
lunghe
di
Katie
Hoff
e
Katie
Ziegler,
entrambe
giovanissime
e
con
quattro
titoli
mondiali
individuali
in
tasca,
e
con
altri
quattro
titoli
individuali
(le
tre
gare
a
dorso
a
Leila
Vaziri,
Natalie
Coughlin
e
Margaret
Hoelzer
ed i
50
rana
a
Jessica
Hardy).
Nei
200
metri
stile
libero
si
rinnova
il
duello
tra
Federica
Pellegrini
e
Laure
Manaudou.
Il
primo
round
è
vinto
dall’italiana,
che
firma
il
record
del
mondo
in
semifinale
togliendolo
al
suo
idolo
Franziska
Van
Almsick.
Il
confronto
totale
è
però
favorevole
alla
francese
che
in
finale
vince
l’oro
togliendole
il
fresco
primato
nei
200
stile
(Federica
arriverà
terza)
in
aggiunta
a
quello
già
conseguito
pochi
giorni
prima
sui
400.
Fuori
dalla
piscina,
nell’oceano
australiano
Russia
e
Germania
si
dividono
i
successi
nel
nuoto
gran
fondo:
l’inossidabile
tedesco
Thomas
Lurz
conferma
il
titolo
nei
5 km
che
gli
appartiene
fin
dai
mondiali
“Open
Water”
di
Dubai
nel
2004
e
che
continuerà
ad
aggiudicarsi
ininterrottamente
fino
a
oggi.
La
sua
compagna
di
squadra
Britta
Kamrau
ribadisce
la
sua
supremazia
nei
25
km,
il
resto
è
russo,
con
gli
ori
di
Larissa
Ilchenko
nelle
prove
femminili,
di
Vladimir
Diattchine
e
Yury
Kudinov
(davanti
a
Marco
Formentini)
in
quelle
maschili.
Nei
tuffi
la
Cina
si
riprende
la
ribalta
con
9
ori
su
10:
He
Zi,
Qin
Kai,
Wang
Xin,
Luo
Yutong,
Guo
Jingjing,
Wu
Minxia,
Yue
Lin,
Liang
Huo,
Tong
Jia,
Wang
Feng
è
l’interminabile
lista
di
fuoriclasse
cinesi
che
monopolizzano
la
scena.
L’unico
senza
occhi
a
mandorla
a
vincere
un
oro
è il
russo
Gleb
Galperin,
che
precede
Luxin
Zhou
e
Yue
Lin
nella
gara
dalla
piattaforma.
L’Italia
sorprende
con
due
bronzi:
Christopher
Sacchin
nel
trampolino
da
un
metro
e
ancora
Tania
Cagnotto
nella
gara
da
tre
metri.
La
pallanuoto
vede
l’affermazione
della
Croazia
in
campo
maschile
e
degli
Stati
Uniti
in
quello
femminile,
mentre
il
nuoto
sincronizzato,
nonostante
abbia
ampliato
il
suo
programma
con
tre
nuove
prove
(in
pratica
da
Melbourne
in
poi
si
assegna
una
medaglia
per
il
programma
tecnico
ed
una
per
quello
libero
in
ognuna
delle
tre
gare),
non
cambia
registro
e
ricalca
il
medagliere
di
Montreal
con
Russia,
Spagna
e
Giappone
quasi
sempre
sul
podio
(con
l’eccezione
degli
Stati
Uniti
bronzo
nel
libero
combinato
dove
non
partecipano
le
nipponiche)
e la
grandissima
Dedieu
al
terzo
oro
nel
singolo,
stavolta
in
gara
soltanto
nel
programma
libero.
Nel
computo
finale
delle
medaglie
gli
Stati
Uniti
quasi
doppiano
Russia,
Australia
e
Cina,
giunte
alle
loro
spalle,
in
un
mondiale
che
ha
visto
ai
nastri
di
partenza
la
partecipazione
record
di
2158
atleti
in
rappresentanza
di
167
paesi.
Ed
eccoci
ai
giorni
nostri.
A
Roma,
dal
17
luglio
al 2
agosto
2009,
ai
tredicesimi
campionati
mondiali
di
sport
acquatici
cadono
tutti
i
record,
e
non
solo
per
Paesi
(185)
e
atleti
partecipanti
(2556)
ma
anche
e
soprattutto
per
ciò
che
accade
in
piscina.
Sono
mondiali
particolari
quelli
romani,
i
primi
(e
probabilmente
gli
ultimi)
influenzati
dalla
cosiddetta
“rivoluzione
dei
costumi”
che
ha
coinvolto
il
nuoto
a
partire
dai
primi
mesi
del
2008.
In
sintesi:
ai
mondiali
in
vasca
corta
di
Manchester
del
marzo
2008,
la
nota
marca
di
costumi
inglese
Speedo,
che
è
anche
sponsor
ufficiale
della
Federazione
internazionale,
propone
un
nuovo
costume,
lo
Speedo
LZR
Racer,
realizzato
con
delle
toppe
in
poliuretano
su
busto
e
gambe
che
permettono
un
migliore
galleggiamento.
I
record
iniziano
a
crollare
a
grappoli
e,
grazie
anche
e
soprattutto
al
costume
dei
miracoli,
le
graduatorie
“all-time”
del
nuoto
vengono
rivoluzionate.
Le
altre
case,
spiazzate
da
quanto
stava
accadendo,
corrono
ai
ripari
proponendo
in
men
che
non
si
dica
costumi
analogamente
concepiti.
La
più
abile
ad
approfittarne
è
una
neonata
azienda
italiana
di
Vigevano,
la
Jacked,
che
inventa
un
costume
interamente
realizzato
in
poliuretano.
La
rincorsa
a
Speedo
e
Jacked
è
ormai
avviata.
Dopo
mille
comunicati,
smentite,
record
annullati
ed
omologati,
la
Fina
decide
di
liberalizzare
i
materiali
fino
al
marzo
del
2010,
data
fissata
per
il
ritorno
ai
vecchi
costumi
in
tessuto,
con
il
rischio
concreto
che
i
primati
stabiliti
nella
vasca
del
Foro
Italico
restino
imbattuti
per
molti
anni.
L’unica
consolazione
è
che
i
mondiali
italiani,
costellati
da
ben
43
record
del
mondo,
si
siano
svolti
ad
armi
pari
tra
i
vari
atleti,
vista
la
delibera
Fina
che
stabiliva
che
ogni
azienda
produttrice
avrebbe
dovuto
concedere
i
propri
costumi
a
qualunque
atleta
li
richiedesse.
Ad
andare
controcorrente,
anche
perché
vincolato
da
contratti
personali,
è il
“Re”
Michael
Phelps,
che
arriva
a
Roma
dopo
uno
scandalo
legato
all’uso
di
marijuana
(una
bravata
costatagli
due
mesi
di
squalifica)
e
che
si
presenta
ai
nastri
di
partenza
con
l’ormai
obsoleto
LZR
Racer.
I
suoi
mondiali
sono
comunque
eccellenti
e
accrescono
la
sua
leggenda.
Debutta
male,
perdendo
la
sfida
diretta
con
l’astro
nascente
dello
stile
libero,
il
tedesco
Paul
Biederman,
fresco
vincitore
del
titolo
sui
400,
che
lo
batte
nettamente
nei
suoi
200
stile
libero,
scippandogli
di
un
solo
centesimo
il
record
del
mondo.
Poi
si
rifà,
vincendo
i
200
farfalla
e
soprattutto
i
100
farfalla
in
una
sfida
epica
col
serbo
Milorad
Cavic.
In
semifinale
il
nuotatore
balcanico,
nativo
di
Anaheim
negli
Usa,
fa
segnare
il
record
del
mondo
e
dichiara:
“Se
quello
lì
vuole
battermi
me
lo
dica,
che
gli
compro
un
costumino
come
il
mio”
(ossia
un’Arena
di
ultima
generazione).
La
reazione
di
Phelps
è
composta,
fino
alla
gara.
Michael
parte
lento,
Milorad
è
una
scheggia,
al
tocco
intermedio
è
avanti
il
serbo
con
un
tempo
(22”69)
di
due
centesimi
inferiore
a
quello
che
gli
era
valso
qualche
giorno
prima
il
titolo
mondiale
dei
50
metri.
Nella
seconda
vasca
Phelps
è
uno
spettacolo:
l’americano
recupera
rabbiosamente
centimetro
dopo
centimetro
e
sorpassa
Cavic,
proprio
come
era
avvenuto
a
Pechino
un
anno
prima
(in
Cina
vinse
Phelps
per
un
solo
centesimo),
negli
ultimi
due
metri.
E’
oro
per
il
“Kid”
di
Baltimora
che
vince
di
13
centesimi
e
che
esplode,
come
mai
in
carriera,
in
un’esultanza
tanto
rabbiosa
quanto
esaltante
per
i
quindicimila
spettatori
presenti
al
Foro
Italico.
Emergono
a
Roma
e
diventano
subito
beniamini
del
pubblico
i
nuotatori
brasiliani,
presenti
in
molte
finali
e
guidati
alla
ribalta
dall’astro
nascente
Cesar
Cielo-Filho,
che
fa
sue
le
prove
veloci
dei
50 e
100
stile
libero
battendo
il
superfavorito,
lo
squalo
francese
Alain
Bernard,
dominatore
nei
crono
degli
ultimi
due
anni
ma
ancora
all’asciutto
di
ori
nelle
manifestazioni
che
contano.
Commoventi
anche
i
suoi
pianti
sul
podio,
superati
in
teatralità
da
quello
del
suo
compagno
Felipe
Franca-Silva
che
addirittura
si
inginocchia
tra
le
lacrime
sul
secondo
gradino
del
podio
dei
50
rana
tra
gli
applausi
del
calorosissimo
pubblico
capitolino.
I
protagonisti
di
Roma
non
sono
finiti
qui:
Oussama
Mellouli,
riabilitato
dopo
la
squalifica
scontata
per
il
suo
caso
di
doping,
si
riscatta
vincendo
l’oro
nei
1500
e
l’argento
negli
800
(dietro
al
sorprendente
cinese
Lin
Zhang)
e
nei
400.
Nel
dorso
i
titoli
vanno
al
velocissimo
britannico
Tancock,
al
piccolissimo
giapponese
Junya
Koga
ed
al
veterano
Peirsol,
che
riscatta,
col
titolo
sui
200,
l’eliminazione
in
batteria
nei
100;
nella
rana
trionfano
il
sudafricano
Cameron
Van
der
Burgh,
l’australiano
Rickard
e
l’ungherese
Daniel
Gyurta;
nei
misti,
assente
Phelps,
gli
ori
vanno
a
Ryan
Lochte,
con
l’interessante
argento
nei
400
del
giovanissimo
connazionale
Scott
Tyler
Clary;
le
staffette
sono
invece
tutte
appannaggio
dello
squadrone
americano,
con
il
fallimento
delle
due
formazioni
a
stile
libero
italiane
che
concludono
quinte
e
seste.
Le
delusioni
italiane
al
maschile
-
Magnini
eliminato
in
semifinale
nei
100,
il
solo
Colbertaldo
a
ridosso
del
podio
nelle
due
gare
lunghe
(800
e
1500)
e
pochi
altri
piazzamenti
in
finale
da
segnalare
-
sono
completamente
oscurate
dai
trionfi
al
femminile:
Federica
Pellegrini,
a
vent’anni
e
dopo
la
consacrazione
olimpica
dell’anno
precedente,
è la
regina
incontrastata
dei
mondiali.
I
suoi
allenamenti
durissimi,
il
suo
impegno,
la
sua
capacità
di
riemergere
da
situazioni
difficili,
l’affiatamento
con
il
suo
allenatore
Alberto
Castagnetti,
il
suo
fidanzato
Luca
Marin
e il
suo
psicologo
Daniele
Popolizio
sono
gli
ingredienti
che
lei
stessa
considera
fondamentali
per
i
suoi
trionfi.
A
Roma
inizia
vincendo
i
400
stile
libero
con
record
del
mondo
per
la
prima
volta
sotto
la
soglia
dei
quattro
minuti,
tenendo
dietro
le
ostiche
britanniche
Jackson
e
Adlington.
Federica
si
sblocca
in
quella
da
lei
considerata
come
la
gara
della
paura,
dopo
la
deludente
prestazione
olimpica,
quinta
con
calo
finale,
dovuto
alle
conseguenze
psicologiche
di
una
lieve
forma
asmatica
emersa
in
una
prova
sugli
800
nei
campionati
italiani,
in
cui,
durante
una
crisi,
aveva
avuto
“paura
di
morire”.
La
sua
gara
è
una
sinfonia:
nei
200
stile
libero
cade
già
in
semifinale
il
record
del
mondo
che
già
le
apparteneva,
per
la
prima
volta
sotto
il
minuto
e 54
secondi.
Non
finisce
qui.
In
finale
lascia
le
altre
a
due
secondi,
marcando
il
tempo
di
1’52’98.
Altro
muro
demolito;
altra
prestazione
alla
Phelps.
E la
Manaudou?
Ritiratasi
dopo
i
giochi
di
Pechino,
tra
cambi
di
allenatore,
disavventure
amorose,
foto
scandalo
e
scarsa
voglia
di
allenarsi,
era
sugli
spalti
a
vedere
le
imprese
della
Pellegrini.
Le
imprese
continuano.
Quello
che
nella
storia
era
riuscito
solo
ad
Alexandre
Despatie
a
Montreal
2005
ed a
Shelley
Taylor-Smith
a
Perth
1991,
cioè
vincere
un
oro
individuale
davanti
al
proprio
pubblico,
nella
città
dove
si è
nati,
cresciuti
e
allenati,
accade
a
Roma
alla
“pupona”
del
nuoto
italiano:
Alessia
Filippi.
Dopo
aver
già
raggiunto
ottimi
riscontri
in
gare
europee,
mondiali
ed
anche
olimpiche,
passando
dai
200
dorso
ai
400
misti,
dai
200
misti
agli
800
stile
libero,
la
Filippi
trova
la
sua
dimensione
definitiva
nei
1500
stile
libero,
dove
vince
la
gara
della
vita
davanti
alla
danese
Lotte
Friis
in
un
tripudio
di
urla
e
bandiere
tricolori.
La
Friis
si
rifarà
scippandole
nell’ultima
delle
sedici
vasche,
l’oro
degli
800
metri,
dove
l’italiana
finirà
terza,
stanchissima
ma
felice,
nella
gara
che
l’aveva
vista
argento
a
Pechino.
Se
non
si
fosse
gareggiato
nella
Città
Eterna,
la
donna
dei
giochi
sarebbe
potuta
essere
anche
Britta
Steffen,
la
tedesca
che
si
aggiudica,
con
record
del
mondo,
50 e
100
stile
libero,
oltre
all’argento
nella
staffetta
veloce
stile
libero.
Altri
nomi
non
se
ne
possono
fare,
anche
perché
ogni
gara
vede
una
vincitrice
differente.
Sorprendenti
le
vittorie
della
serba
Nadia
Higl
nei
200
rana,
davanti
alla
favorita
statunitense
Rebecca
Soni,
che
parte
per
spaccare
il
mondo
e
crolla
clamorosamente
nell’ultima
vasca
(si
rifarà
comunque
vincendo
l’oro
nei
100
rana
e
guadagnando
l’argento
a
soli
due
centesimi
dalla
giovane
russa
Yulia
Efimova
nei
50).
Nel
dorso
le
vittorie
sono
cinesi,
con
Jing
Zhao,
britanniche,
con
Gemma
Spofforth
e
della
piccola
repubblica
africana
dello
Zimbabwe,
con
la
veterana
Kirsty
Coventry.
Nella
farfalla
emergono
l’australiana
Marieke
Guehrer
nella
gara
sprint,
la
giovanissima
svedese
Sarah
Sjostrom
nei
100
e
l’altra
veterana,
Jessicah
Schipper,
che
riscatta
con
l’oro
nei
200
l’argento
dietro
alla
scandinava
nei
100.
I
misti
sono
di
due
giovani
ventenni
emergenti,
l’americana
Ariana
Kukors
e
l’ungherese
Katinka
Hosszu.
Altre
sorprese
arrivano
dalle
staffette,
dove
la
Cina,
memore
dei
trionfi
romani
di
quindici
anni
prima,
vince
con
record
del
mondo
sia
la
4x200
che
la
4x100
mista,
mentre
l’Olanda,
guidata
dalla
velocissima
Marleen
Veldhuis,
si
aggiudica
la
staffetta
veloce.
Nella
piscina
accanto
a
quella
da
50
metri,
si
tuffano
nell’oro
i
soliti
atleti
cinesi:
Qin
Kai
(2
titoli
a
Roma,
quattro
in
totale),
He
Chong,
l’eterna
Guo
Jingjing
(al
decimo
oro
mondiale
in
carriera)
e le
quattro
coppie
del
sincronizzato.
A
negargli
l’en
plein
sono
la
veterana
Yulia
Pakhalina,
perfetta
dal
trampolino
da
un
metro,
la
messicana
Paola
Espinosa,
dalla
piattaforma,
e il
ragazzino
britannico
Thomas
Daley,
che
a
soli
16
anni
scompare
nell’acqua
senza
schizzi
ad
ogni
tuffo
e
riesce
a
mettersi
dietro,
nella
gara
dai
10
metri
più
bella
della
storia,
i
tre
diretti
rivali:
i
cinesi
Qiu
Bo e
Zhou
Luxin
e
l’australiano,
campione
olimpico
in
carica,
Matthew
Mitcham,
tutti
veramente
su
un
altro
pianeta.
L’Italia,
dopo
un
inizio
in
sordina
caratterizzato
da
buone
prestazioni
e da
qualche
quarto
posto
di
troppo
(Cagnotto
nel
trampolino
da
un
metro
con
Maria
Marconi
sesta,
ma
soprattutto
i
fratelli
Nicola
e
Tommaso
Marconi,
medaglie
di
legno
nel
sincronizzato
a
soli
nove
decimi
di
punto
dal
bronzo),
conquista
il
terzo
bronzo
di
fila
con
Tania
Cagnotto
dal
trampolino
di
tre
metri
e
vince
la
medaglia
d’argento
nel
sincronizzato
femminile,
sempre
da
tre
metri,
con
la
coppia
Tania
Cagnotto-Francesca
Dallapé
che
si
classificano
neanche
tanto
lontano
dalle
irraggiungibili
cinesi.
Dalle
acque
agitate
di
Ostia,
sul
litorale
romano,
arriva
la
quarta
medaglia
d’oro
per
l’Italia,
la
prima
conquistata
in
ordine
cronologico,
con
Valerio
Cleri
che
si
impone
nella
maratona
dei
mari,
dopo
aver
assaporato
il
bronzo
(squalifica
poi
rientrata
dello
statunitense
Francis
Crippen)
qualche
giorno
prima
nella
gara
da
10
km.
Thomas
Lurz
si
conferma
come
padrone
incontrastato
del
fondo
mondiale
vincendo
le
due
gare
più
“brevi”
ed
arrivando
all’invidiabile
palmares
di
otto
ori
e
dodici
podi
mondiali,
considerando
anche
i
mondiali
in
acque
aperte
che
dal
2000
si
disputano
ogni
due
anni.
Tra
le
donne
le
favorite
russe
conquistano
solo
tre
argenti
lasciando
le
medaglie
d’oro
all’australiana
Melissa
Gorman,
alla
britannica
Keri-Anne
Payne
ed
alla
tedesca
Angela
Maurer.
Nella
pallanuoto
i
risultati
sono
deludenti
per
le
due
formazioni
italiane
che
non
si
qualificano
neanche
per
i
quarti
di
finale
e
lasciano
il
palcoscenico
dei
due
tornei,
mai
così
equilibrati,
alla
nazionale
serba
maschile,
vincitrice
dell’oro
dopo
una
memorabile
finale
finita
ai
rigori
14-13
contro
la
Spagna,
ed
alle
statunitensi,
che
sconfiggono
il
Canada
per
7-6
e
bissano
l’oro
di
Melbourne.
Nel
nuoto
sincronizzato
arriva
la
prima
storica
medaglia
per
la
squadra
italiana
con
la
giunonica
Beatrice
Adelizzi
che
fa
suo
il
bronzo
nella
prova
libera
del
solo.
Il
resto
del
panorama
non
cambia,
con
le
russe
a
dominare
ovunque
(tranne
nel
libero
combinato
dove
non
partecipano
e
dove
si
impone
la
Spagna
di
Gemma
Mengual
che
dopo
10
argenti
e 7
bronzi
riesce
finalmente
a
conquistare
un
oro)
in
una
disciplina
in
cui
molto
conta
la
bravura
ma
forse
meno
della
tradizione.
Nel
2011
i
mondiali
sbarcheranno
in
Cina,
in
un
avveniristico
impianto
di
Shanghai;
nel
2013
a
Dubai,
in
una
struttura
ancor
più
futuristica
costruita
con
i
petroldollari
arabi.
Gli
anni
passano
nel
nuoto,
forse
anche
troppo
velocemente,
e la
prestazione
con
cui
nel
1973
Jim
Montgomery
vinceva
i
100
stile
libero
(51
secondi
e 70
centesimi)
a
Roma
sarebbe
valsa
il
novantacinquesimo
tempo
in
batteria,
un
centesimo
dietro
ad
un’atleta
estone
e
poco
davanti
ad
un
malese...
Segno
dei
tempi
che
cambiano,
degli
allenamenti
che
si
intensificano,
dei
costumi
che
si
modificano
e
talvolta
di
qualcuno
che
usa
qualche
scorciatoia
di
troppo.
Ma
le
sfide,
quelle
che
esaltano
il
pubblico,
che
rendono
orgogliose
intere
nazioni
del
proprio
atleta,
quelle
che
fanno
entrare
nella
leggenda
dal
portone
principale,
resistono
a
tutto
e si
moltiplicano
diventando
sempre
più
avvincenti
e
spettacolari,
estreme
ed
incerte,
più
ricche
di
contenuti
e
significati,
con
la
speranza
che
in
futuro
siano
sempre
il
talento
e il
sacrificio
a
far
vincere
un
atleta,
e
non
le
magie
e la
tecnologia
di
un
supercostume,
questo
sì,
dopato.
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