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storia & sport


N. 21 - Settembre 2009 (LII)

Un tuffo nell’oro
Storia dei mondiali di sport acquatici - Parte III

di Simone Valtieri

 

Le piscine scoperte del parco “Jean Drapeu” di Montreal, sull’isola di Sant’Elena, ospitano nel 2005 la decima edizione dei mondiali di sport acquatici. All’ombra della famosissima Biosfera di Buckminster-Fuller, eredità dell’esposizione universale del 1967 e sfondo di mille imprese ai giochi olimpici del 1976, prende vita una battaglia memorabile tra gli atleti delle due superpotenze del nuoto moderno: Stati Uniti ed Australia. I numeri dei mondiali canadesi sono di poco inferiori a quelli catalani di due anni prima, ma comunque consistenti: 1784 atleti, 144 nazioni rappresentate e 62 gare in programma tra tuffi, nuoto, pallanuoto, nuoto sincronizzato e in acque aperte.

 

Sono numeri che passano in secondo piano, però, visti i fatti avvenuti pochi mesi prima dei mondiali: a gennaio, Montreal si era vista togliere dalla Federazione Internazionale l’organizzazione della rassegna iridata, a causa di un buco nel bilancio di oltre 10 milioni di dollari. A febbraio, dopo la garanzia di copertura del buco da parte del sindaco, i giochi venivano riassegnati alla città canadese, che era però stata teatro nel frattempo del suicidio di Yvon DesRochers, presidente del comitato organizzatore dei mondiali, sparatosi nella sua autovettura in una zona centrale della città.

Il 17 luglio, giorno seguente alla cerimonia inaugurale, si parte in contemporanea con le gare di tutte le discipline fatta eccezione per il nuoto, a cui è tradizionalmente riservata la ribalta dell’ultima settimana di gare. Nel nuoto sincronizzato la dinamicità delle atlete in vasca contrasta bruscamente con la staticità dei risultati che vedrebbero sul podio in tutte le gare le atlete di tre sole squadre (Russia, Giappone e Spagna), se non fosse per la classe e l’armonia sprigionata da una sirena francese di nome Virginie Dedieu. La Dedieu rasenta la perfezione nel programma libero della gara del solo con 99,667 punti, in pratica la media del dieci, aggiudicandosi l’oro davanti alla giovane stella emergente, la russa Natalia Ischenko, e alla esplosiva spagnola Gemma Mengual. Nelle altre tre prove, come accennato, è sempre la Russia a farla da padrona, con le due “Anastasie”, Ermakova e Davydova, a vincere l’oro nel duo ed a trascinare la squadra russa sul gradino più alto del libero combinato a squadre.

Se nella piscina del sincronizzato l’unica ad intaccare il dominio russo è la francese Dedieu, in quella dei tuffi i maestri cinesi tornano a casa col “misero” bottino di cinque ori su dieci gare, messi a dura prova da due atleti di casa: Blythe Hartley e soprattutto Alexandre Despatie, nato proprio a Montreal venti anni prima dei mondiali. Il giovane talento del Québec non ha rivali nelle gare dal trampolino, nelle quali si impone contro pronostico. La canadese di Edmonton invece, già nota ad alti livelli per il titolo conquistato a Fukuoka nella gara da un metro, centra il bis dal trampolino del “Pavillon des baigneurs”, migliorando il bronzo ottenuto a Barcellona 2003. L’impresa di sconfiggere gli agguerriti atleti cinesi riesce anche a Laura Ann Wilkinson, americana, dalla piattaforma e alla coppia russa Alexander Dobroskok e Gleb Galperin. Ci prova anche una giovanissima italiana figlia d’arte, Tania Cagnotto, ad impensierire le cinesi, ma Guo Jingjing e Wu Minxia sono di un altro pianeta e dal trampolino da tre metri l’atleta bolzanina, figlia del bronzo iridato Giorgio Cagnotto di Berlino 1978, si deve “accontentare” della stessa medaglia vinta dal genitore.

Le gare di nuoto gran fondo si svolgono tra le acque calme del bacino olimpico di canoa e canottaggio, utilizzato durante i giochi olimpici di Montreal 1976. L’unica atleta a podio in tutte e tre le gare cui partecipa è la veterana olandese Edith Van Dijk, oro nei 10 km davanti all’italiana Federica Vitale, bronzo nei 5 km dietro alla fortissima russa Larissa Ilchenko ed argento nella massacrante maratona di 25 km dietro alla tedesca Britta Kamrau e davanti all’azzurra Laura La Piana. Tra i maschi, il tedesco Thomas Lurz e l’americano Chip Peterson si alternano sui primi due gradini del podio nelle distanze più brevi, non partecipando alla maratona vinta dallo spagnolo David Meca. Nella pallanuoto le ragazze canadesi fanno sognare il pubblico di casa ma sono costrette ad arrendersi in semifinale per 9-7 alla fortissima Ungheria, poi campione sugli Stati Uniti. Non riesce il bis nel torneo maschile ai magiari, che in finale perdono dalla fortissima compagine di Serbia e Montenegro (per l’ultima volta sotto la stessa bandiera) e che domina il torneo vincendo tutte le partite trascinata dai ben 26 gol di Aleksandar Šapić, miglior giocatore del torneo.

E veniamo al nuoto: Grant Hackett o Michael Phelps, chi è l’uomo immagine di Montreal 2005? I numeri direbbero Phelps, vincitore di quattro ori contro i tre di Hackett, ma la qualità delle medaglie ed i riscontri cronometrici assegnano lo scettro del migliore all’australiano. Grant Hackett, infatti, riporta i suoi successi in tre gare individuali, sfiorando il quarto oro proprio nei 200 stile libero conquistati da Phelps. Nelle distanze più lunghe è un monologo del campione di Southport: primo nei 400 stile libero, primo con sensazionale record del mondo (7’38”65) negli 800, ancora primo nei 1500. Il “kid di Baltimora”, nomignolo con cui inizia ad essere conosciuto Michael Phelps, risponde con l’oro nei 200 stile e nei 400 misti e le due affermazioni con le staffette stile libero a stelle e strisce. Ancora troppo poco per spodestare “King” Hackett, che raggiunge l’ottavo titolo mondiale in carriera nella vasca canadese. Nella gara regina del nuoto in corsia, i 100 metri stile libero, a quattordici anni di distanza dal bronzo di Giorgio Lamberti a Perth 1991, è un giovane ragazzo di Pesaro a diventare a sorpresa campione del mondo per l’Italia: Filippo Magnini. “Pippo” appartiene alla schiera di quei nuotatori che arrivano tardi alla maturazione.

 

Ai blocchi di partenza di Montreal ha 23 anni; dotato di una prima vasca sorniona e di un ritorno fulminante, passa quarto a metà gara con un ritmo per lui forsennato e si proietta in un ritorno strabiliante, grazie al quale rimonta e supera negli ultimi cinque metri i due sudafricani Schoeman (oro anche nei 50 stile libero e nei 50 farfalla) e Neethling. Gli americani Aaron Peirsol e Brendan Hansen sono i protagonisti delle gare a dorso e rana, dove realizzano la doppietta 100-200 lasciando le prove veloci sui 50 metri rispettivamente al greco Grigoriadis ed al tedesco Warnecke. Ian Crocker manca la doppietta 50-100 nella farfalla a causa di Schoeman, ma va a comporre con gli altri due connazionali e con Jason Lezak un quartetto per la staffetta mista che ha pochi uguali. L’Europa dell’est si aggiudica le altre due gare maschili in programma: i 400 misti con l’ungherese Laszlo Cseh, argento nei 200 dietro Phelps, davanti all’italiano Luca Marin, e i 200 farfalla col polacco Pawel Korzeniowski.

L’Australia risponde allo strapotere americano maschile con le sue tante stelle al femminile: Lisbeth Lenton e Jodie Henry (stile libero veloce), Jade Edmistone e Leisel Jones (rana), Danni Miatke e Jessicah Schipper (farfalla), Giaan Rooney (50 dorso) riportano titoli a valanga, tra cui quello delle due 4x100, lasciando le briciole alle rivali. L’unica che riesce a mettere dietro di sé un’australiana è la polacca Otylia Jedrzejczak che vince l’oro dei 200 farfalla davanti alla Schipper. Nel dorso l’atleta dello Zimbabwe Kirsty Coventry risponde agli ori sudafricani maschili aggiudicandosi entrambe le prove classiche (100 e 200), mentre nei misti e nelle gare lunghe dello stile libero (800 e 1500) sono le due americane Katie Hoff, sedici anni, e Katie Ziegler a fare man bassa (la Hoff contribuisce anche all’oro della 4x200). Resta da parlare di una rivalità agli albori, e che durerà il breve volgere di un paio d’anni fuori e dentro la vasca, tra amori rubati e prestazioni favolose, crisi psicologiche e diverse reazioni alle difficoltà: le due protagoniste sono il talento francese Laure Manaudou e la giovanissima italiana Federica Pellegrini. A Montreal finisce 1-0 per la transalpina, che vince la gara dei 400 metri, mentre la diciassettenne veneta di Spinea, già argento olimpico nel 2004, ripete la prestazione ateniese beffata di appena 13 centesimi nei 200 stile libero dalla francese Solenne Figues. La sfida è lanciata.

Nel 2007 in un tempio del tennis, la Rod Laver Arena di Melbourne, viene allestita una piscina provvisoria, intitolata alla fuoriclasse Susan O’Neill, bicampionessa olimpica dei 200 stile libero e oro mondiale a Perth 1998. Dai comodi spalti dell’impianto coperto australiano quindicimila spettatori assistono quotidianamente alle prove dei migliori nuotatori del mondo e sono testimoni del veemente ritorno sul trono di Michael Phelps, che riesce nell’impresa clamorosa di ottenere sette titoli mondiali in una sola edizione, eguagliando il record di Mark Spitz alle olimpiadi di Monaco 1972 e facendo le prove generali per Pechino 2008, dove, aggiungendo ai titoli di Melbourne quello della 4x100 mista, riuscirà a tornare in patria con 8 ori al collo: un risultato da leggenda. A Melbourne il “Kid” vince i 200 stile libero, i 100 e i 200 farfalla, le due gare miste e le due staffette a stile libero, stabilendo nelle finali ben cinque record del mondo. Gli altri non riescono ad avvicinarlo, in vasca sembra uno squalo che divora gli avversari lasciandoli a distacchi abissali. L’unico ad impensierirlo è il suo compagno di squadra Crocker, secondo per soli cinque centesimi nei 100 farfalla, mentre nelle restanti gare non c’è storia: strabilianti i record del mondo dei 200 farfalla, dei 200 stile libero e dei 400 misti. I vincitori degli argenti arrivano con 2-3 secondi di ritardo.

Le gare senza il cannibale Phelps sono quelle più aperte: nello stile libero Filippo Magnini bissa il titolo mondiale di Montreal, stavolta pari merito con il gigante canadese Brent Hayden in una gara che vede un parco partenti d’eccezione con il terzo posto dell’australiano Eamon Sullivan, futuro recordman del mondo, il quarto di un giovanissimo brasiliano, Cesar Cielo Filho, e il sesto dell’ormai attempato Pieter Van Den Hoogenband. L’uomo più veloce in vasca è Benjamin Wildman-Tobriner che si aggiudica i 50 metri, quello più resistente il polacco Mateusz Sawrymowicz che trionfa nei 1500. Negli 800 il suo compagno di squadra, Przemyslaw Stanczyk, si vede consegnare l’oro con due mesi di ritardo, a seguito della squalifica per doping del tunisino Oussama Mellouli, che aveva incoscientemente assunto un medicinale contenente sostanze proibite. In questa gara il bronzo finisce così al collo del giovane azzurro Federico Colbertaldo, regolarmente in finale anche nelle altre due gare cui partecipa, quinto nei 1500 e nei 400 vinti dal coreano Park.

Il dorso è sempre terreno di caccia americano, con Aaron Peirsol oro davanti a Ryan Lochte nei 100 e posizioni invertite nei 200, entrambi col record del mondo. La rana è un duello tra Hansen (oro nei 100), il giapponese recordman mondiale Kosuke Kitajima (argento nei 100 e oro nei 200) e l’australiano Brenton Rickard (argento sempre nei 200 davanti al duo italiano Loris Facci e Paolo Bossini). Le gare veloci di dorso, farfalla e rana sono invece appannaggio dei sud africani Zandberg e Schoeman e dell’ucraino Oleg Lisogor. La squadra maschile australiana, deludente in casa tra le corsie, si riscatta parzialmente l’ultimo giorno vincendo il titolo della 4x100 mista, approfittando dell’assenza degli imbattibili statunitensi eliminati in batteria per cambio irregolare: Matthew Welsh, Brenton Rickard, Andrew Lauterstein ed Eamon Sullivan gli autori dell’impresa.

Fortunatamente per il pubblico di casa, le donne australiane sono di un’altra pasta: Lisbeth Lenton fa tris con gli ori sui 50 e 100 stile libero e nei 100 farfalla, Leisel Jones domina 100 e 200 rana, Jessicah Schipper è oro nei 200 farfalla e le due 4x100 australiane regolano le rivali statunitensi. Gli Usa rispondono con il titolo, condito dal record del mondo, della 4x200 stile libero, con la conferma del predominio nei misti e nelle gare lunghe di Katie Hoff e Katie Ziegler, entrambe giovanissime e con quattro titoli mondiali individuali in tasca, e con altri quattro titoli individuali (le tre gare a dorso a Leila Vaziri, Natalie Coughlin e Margaret Hoelzer ed i 50 rana a Jessica Hardy). Nei 200 metri stile libero si rinnova il duello tra Federica Pellegrini e Laure Manaudou. Il primo round è vinto dall’italiana, che firma il record del mondo in semifinale togliendolo al suo idolo Franziska Van Almsick. Il confronto totale è però favorevole alla francese che in finale vince l’oro togliendole il fresco primato nei 200 stile (Federica arriverà terza) in aggiunta a quello già conseguito pochi giorni prima sui 400.

Fuori dalla piscina, nell’oceano australiano Russia e Germania si dividono i successi nel nuoto gran fondo: l’inossidabile tedesco Thomas Lurz conferma il titolo nei 5 km che gli appartiene fin dai mondiali “Open Water” di Dubai nel 2004 e che continuerà ad aggiudicarsi ininterrottamente fino a oggi. La sua compagna di squadra Britta Kamrau ribadisce la sua supremazia nei 25 km, il resto è russo, con gli ori di Larissa Ilchenko nelle prove femminili, di Vladimir Diattchine e Yury Kudinov (davanti a Marco Formentini) in quelle maschili. Nei tuffi la Cina si riprende la ribalta con 9 ori su 10: He Zi, Qin Kai, Wang Xin, Luo Yutong, Guo Jingjing, Wu Minxia, Yue Lin, Liang Huo, Tong Jia, Wang Feng è l’interminabile lista di fuoriclasse cinesi che monopolizzano la scena. L’unico senza occhi a mandorla a vincere un oro è il russo Gleb Galperin, che precede Luxin Zhou e Yue Lin nella gara dalla piattaforma. L’Italia sorprende con due bronzi: Christopher Sacchin nel trampolino da un metro e ancora Tania Cagnotto nella gara da tre metri.

La pallanuoto vede l’affermazione della Croazia in campo maschile e degli Stati Uniti in quello femminile, mentre il nuoto sincronizzato, nonostante abbia ampliato il suo programma con tre nuove prove (in pratica da Melbourne in poi si assegna una medaglia per il programma tecnico ed una per quello libero in ognuna delle tre gare), non cambia registro e ricalca il medagliere di Montreal con Russia, Spagna e Giappone quasi sempre sul podio (con l’eccezione degli Stati Uniti bronzo nel libero combinato dove non partecipano le nipponiche) e la grandissima Dedieu al terzo oro nel singolo, stavolta in gara soltanto nel programma libero. Nel computo finale delle medaglie gli Stati Uniti quasi doppiano Russia, Australia e Cina, giunte alle loro spalle, in un mondiale che ha visto ai nastri di partenza la partecipazione record di 2158 atleti in rappresentanza di 167 paesi.

Ed eccoci ai giorni nostri. A Roma, dal 17 luglio al 2 agosto 2009, ai tredicesimi campionati mondiali di sport acquatici cadono tutti i record, e non solo per Paesi (185) e atleti partecipanti (2556) ma anche e soprattutto per ciò che accade in piscina. Sono mondiali particolari quelli romani, i primi (e probabilmente gli ultimi) influenzati dalla cosiddetta “rivoluzione dei costumi” che ha coinvolto il nuoto a partire dai primi mesi del 2008. In sintesi: ai mondiali in vasca corta di Manchester del marzo 2008, la nota marca di costumi inglese Speedo, che è anche sponsor ufficiale della Federazione internazionale, propone un nuovo costume, lo Speedo LZR Racer, realizzato con delle toppe in poliuretano su busto e gambe che permettono un migliore galleggiamento. I record iniziano a crollare a grappoli e, grazie anche e soprattutto al costume dei miracoli, le graduatorie “all-time” del nuoto vengono rivoluzionate.

 

Le altre case, spiazzate da quanto stava accadendo, corrono ai ripari proponendo in men che non si dica costumi analogamente concepiti. La più abile ad approfittarne è una neonata azienda italiana di Vigevano, la Jacked, che inventa un costume interamente realizzato in poliuretano. La rincorsa a Speedo e Jacked è ormai avviata. Dopo mille comunicati, smentite, record annullati ed omologati, la Fina decide di liberalizzare i materiali fino al marzo del 2010, data fissata per il ritorno ai vecchi costumi in tessuto, con il rischio concreto che i primati stabiliti nella vasca del Foro Italico restino imbattuti per molti anni.

L’unica consolazione è che i mondiali italiani, costellati da ben 43 record del mondo, si siano svolti ad armi pari tra i vari atleti, vista la delibera Fina che stabiliva che ogni azienda produttrice avrebbe dovuto concedere i propri costumi a qualunque atleta li richiedesse. Ad andare controcorrente, anche perché vincolato da contratti personali, è il “Re” Michael Phelps, che arriva a Roma dopo uno scandalo legato all’uso di marijuana (una bravata costatagli due mesi di squalifica) e che si presenta ai nastri di partenza con l’ormai obsoleto LZR Racer.

 

I suoi mondiali sono comunque eccellenti e accrescono la sua leggenda. Debutta male, perdendo la sfida diretta con l’astro nascente dello stile libero, il tedesco Paul Biederman, fresco vincitore del titolo sui 400, che lo batte nettamente nei suoi 200 stile libero, scippandogli di un solo centesimo il record del mondo. Poi si rifà, vincendo i 200 farfalla e soprattutto i 100 farfalla in una sfida epica col serbo Milorad Cavic. In semifinale il nuotatore balcanico, nativo di Anaheim negli Usa, fa segnare il record del mondo e dichiara: “Se quello lì vuole battermi me lo dica, che gli compro un costumino come il mio” (ossia un’Arena di ultima generazione). La reazione di Phelps è composta, fino alla gara. Michael parte lento, Milorad è una scheggia, al tocco intermedio è avanti il serbo con un tempo (22”69) di due centesimi inferiore a quello che gli era valso qualche giorno prima il titolo mondiale dei 50 metri. Nella seconda vasca Phelps è uno spettacolo: l’americano recupera rabbiosamente centimetro dopo centimetro e sorpassa Cavic, proprio come era avvenuto a Pechino un anno prima (in Cina vinse Phelps per un solo centesimo), negli ultimi due metri. E’ oro per il “Kid” di Baltimora che vince di 13 centesimi e che esplode, come mai in carriera, in un’esultanza tanto rabbiosa quanto esaltante per i quindicimila spettatori presenti al Foro Italico.

Emergono a Roma e diventano subito beniamini del pubblico i nuotatori brasiliani, presenti in molte finali e guidati alla ribalta dall’astro nascente Cesar Cielo-Filho, che fa sue le prove veloci dei 50 e 100 stile libero battendo il superfavorito, lo squalo francese Alain Bernard, dominatore nei crono degli ultimi due anni ma ancora all’asciutto di ori nelle manifestazioni che contano. Commoventi anche i suoi pianti sul podio, superati in teatralità da quello del suo compagno Felipe Franca-Silva che addirittura si inginocchia tra le lacrime sul secondo gradino del podio dei 50 rana tra gli applausi del calorosissimo pubblico capitolino.

 

I protagonisti di Roma non sono finiti qui: Oussama Mellouli, riabilitato dopo la squalifica scontata per il suo caso di doping, si riscatta vincendo l’oro nei 1500 e l’argento negli 800 (dietro al sorprendente cinese Lin Zhang) e nei 400. Nel dorso i titoli vanno al velocissimo britannico Tancock, al piccolissimo giapponese Junya Koga ed al veterano Peirsol, che riscatta, col titolo sui 200, l’eliminazione in batteria nei 100; nella rana trionfano il sudafricano Cameron Van der Burgh, l’australiano Rickard e l’ungherese Daniel Gyurta; nei misti, assente Phelps, gli ori vanno a Ryan Lochte, con l’interessante argento nei 400 del giovanissimo connazionale Scott Tyler Clary; le staffette sono invece tutte appannaggio dello squadrone americano, con il fallimento delle due formazioni a stile libero italiane che concludono quinte e seste.

Le delusioni italiane al maschile - Magnini eliminato in semifinale nei 100, il solo Colbertaldo a ridosso del podio nelle due gare lunghe (800 e 1500) e pochi altri piazzamenti in finale da segnalare - sono completamente oscurate dai trionfi al femminile: Federica Pellegrini, a vent’anni e dopo la consacrazione olimpica dell’anno precedente, è la regina incontrastata dei mondiali. I suoi allenamenti durissimi, il suo impegno, la sua capacità di riemergere da situazioni difficili, l’affiatamento con il suo allenatore Alberto Castagnetti, il suo fidanzato Luca Marin e il suo psicologo Daniele Popolizio sono gli ingredienti che lei stessa considera fondamentali per i suoi trionfi.

 

A Roma inizia vincendo i 400 stile libero con record del mondo per la prima volta sotto la soglia dei quattro minuti, tenendo dietro le ostiche britanniche Jackson e Adlington. Federica si sblocca in quella da lei considerata come la gara della paura, dopo la deludente prestazione olimpica, quinta con calo finale, dovuto alle conseguenze psicologiche di una lieve forma asmatica emersa in una prova sugli 800 nei campionati italiani, in cui, durante una crisi, aveva avuto “paura di morire”. La sua gara è una sinfonia: nei 200 stile libero cade già in semifinale il record del mondo che già le apparteneva, per la prima volta sotto il minuto e 54 secondi. Non finisce qui. In finale lascia le altre a due secondi, marcando il tempo di 1’52’98. Altro muro demolito; altra prestazione alla Phelps. E la Manaudou? Ritiratasi dopo i giochi di Pechino, tra cambi di allenatore, disavventure amorose, foto scandalo e scarsa voglia di allenarsi, era sugli spalti a vedere le imprese della Pellegrini.

Le imprese continuano. Quello che nella storia era riuscito solo ad Alexandre Despatie a Montreal 2005 ed a Shelley Taylor-Smith a Perth 1991, cioè vincere un oro individuale davanti al proprio pubblico, nella città dove si è nati, cresciuti e allenati, accade a Roma alla “pupona” del nuoto italiano: Alessia Filippi. Dopo aver già raggiunto ottimi riscontri in gare europee, mondiali ed anche olimpiche, passando dai 200 dorso ai 400 misti, dai 200 misti agli 800 stile libero, la Filippi trova la sua dimensione definitiva nei 1500 stile libero, dove vince la gara della vita davanti alla danese Lotte Friis in un tripudio di urla e bandiere tricolori. La Friis si rifarà scippandole nell’ultima delle sedici vasche, l’oro degli 800 metri, dove l’italiana finirà terza, stanchissima ma felice, nella gara che l’aveva vista argento a Pechino.

Se non si fosse gareggiato nella Città Eterna, la donna dei giochi sarebbe potuta essere anche Britta Steffen, la tedesca che si aggiudica, con record del mondo, 50 e 100 stile libero, oltre all’argento nella staffetta veloce stile libero. Altri nomi non se ne possono fare, anche perché ogni gara vede una vincitrice differente. Sorprendenti le vittorie della serba Nadia Higl nei 200 rana, davanti alla favorita statunitense Rebecca Soni, che parte per spaccare il mondo e crolla clamorosamente nell’ultima vasca (si rifarà comunque vincendo l’oro nei 100 rana e guadagnando l’argento a soli due centesimi dalla giovane russa Yulia Efimova nei 50). Nel dorso le vittorie sono cinesi, con Jing Zhao, britanniche, con Gemma Spofforth e della piccola repubblica africana dello Zimbabwe, con la veterana Kirsty Coventry. Nella farfalla emergono l’australiana Marieke Guehrer nella gara sprint, la giovanissima svedese Sarah Sjostrom nei 100 e l’altra veterana, Jessicah Schipper, che riscatta con l’oro nei 200 l’argento dietro alla scandinava nei 100. I misti sono di due giovani ventenni emergenti, l’americana Ariana Kukors e l’ungherese Katinka Hosszu. Altre sorprese arrivano dalle staffette, dove la Cina, memore dei trionfi romani di quindici anni prima, vince con record del mondo sia la 4x200 che la 4x100 mista, mentre l’Olanda, guidata dalla velocissima Marleen Veldhuis, si aggiudica la staffetta veloce.

Nella piscina accanto a quella da 50 metri, si tuffano nell’oro i soliti atleti cinesi: Qin Kai (2 titoli a Roma, quattro in totale), He Chong, l’eterna Guo Jingjing (al decimo oro mondiale in carriera) e le quattro coppie del sincronizzato. A negargli l’en plein sono la veterana Yulia Pakhalina, perfetta dal trampolino da un metro, la messicana Paola Espinosa, dalla piattaforma, e il ragazzino britannico Thomas Daley, che a soli 16 anni scompare nell’acqua senza schizzi ad ogni tuffo e riesce a mettersi dietro, nella gara dai 10 metri più bella della storia, i tre diretti rivali: i cinesi Qiu Bo e Zhou Luxin e l’australiano, campione olimpico in carica, Matthew Mitcham, tutti veramente su un altro pianeta. L’Italia, dopo un inizio in sordina caratterizzato da buone prestazioni e da qualche quarto posto di troppo (Cagnotto nel trampolino da un metro con Maria Marconi sesta, ma soprattutto i fratelli Nicola e Tommaso Marconi, medaglie di legno nel sincronizzato a soli nove decimi di punto dal bronzo), conquista il terzo bronzo di fila con Tania Cagnotto dal trampolino di tre metri e vince la medaglia d’argento nel sincronizzato femminile, sempre da tre metri, con la coppia Tania Cagnotto-Francesca Dallapé che si classificano neanche tanto lontano dalle irraggiungibili cinesi.

Dalle acque agitate di Ostia, sul litorale romano, arriva la quarta medaglia d’oro per l’Italia, la prima conquistata in ordine cronologico, con Valerio Cleri che si impone nella maratona dei mari, dopo aver assaporato il bronzo (squalifica poi rientrata dello statunitense Francis Crippen) qualche giorno prima nella gara da 10 km. Thomas Lurz si conferma come padrone incontrastato del fondo mondiale vincendo le due gare più “brevi” ed arrivando all’invidiabile palmares di otto ori e dodici podi mondiali, considerando anche i mondiali in acque aperte che dal 2000 si disputano ogni due anni. Tra le donne le favorite russe conquistano solo tre argenti lasciando le medaglie d’oro all’australiana Melissa Gorman, alla britannica Keri-Anne Payne ed alla tedesca Angela Maurer. Nella pallanuoto i risultati sono deludenti per le due formazioni italiane che non si qualificano neanche per i quarti di finale e lasciano il palcoscenico dei due tornei, mai così equilibrati, alla nazionale serba maschile, vincitrice dell’oro dopo una memorabile finale finita ai rigori 14-13 contro la Spagna, ed alle statunitensi, che sconfiggono il Canada per 7-6 e bissano l’oro di Melbourne.

 

Nel nuoto sincronizzato arriva la prima storica medaglia per la squadra italiana con la giunonica Beatrice Adelizzi che fa suo il bronzo nella prova libera del solo. Il resto del panorama non cambia, con le russe a dominare ovunque (tranne nel libero combinato dove non partecipano e dove si impone la Spagna di Gemma Mengual che dopo 10 argenti e 7 bronzi riesce finalmente a conquistare un oro) in una disciplina in cui molto conta la bravura ma forse meno della tradizione.

Nel 2011 i mondiali sbarcheranno in Cina, in un avveniristico impianto di Shanghai; nel 2013 a Dubai, in una struttura ancor più futuristica costruita con i petroldollari arabi. Gli anni passano nel nuoto, forse anche troppo velocemente, e la prestazione con cui nel 1973 Jim Montgomery vinceva i 100 stile libero (51 secondi e 70 centesimi) a Roma sarebbe valsa il novantacinquesimo tempo in batteria, un centesimo dietro ad un’atleta estone e poco davanti ad un malese... Segno dei tempi che cambiano, degli allenamenti che si intensificano, dei costumi che si modificano e talvolta di qualcuno che usa qualche scorciatoia di troppo.

 

Ma le sfide, quelle che esaltano il pubblico, che rendono orgogliose intere nazioni del proprio atleta, quelle che fanno entrare nella leggenda dal portone principale, resistono a tutto e si moltiplicano diventando sempre più avvincenti e spettacolari, estreme ed incerte, più ricche di contenuti e significati, con la speranza che in futuro siano sempre il talento e il sacrificio a far vincere un atleta, e non le magie e la tecnologia di un supercostume, questo sì, dopato.



 

 

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