N. 19 - Luglio 2009
(L)
Un tuffo nell’oro
Storia dei mondiali di sport acquatici - Parte I
di Simone
Valtieri
Storia recente, quella dei mondiali di nuoto, o meglio degli sport
acquatici,
inaugurati
nel
1973
a
Belgrado.
Una piccola olimpiade dell’acqua con in programma gare di nuoto,
tuffi,
nuoto
sincronizzato,
pallanuoto
e,
recentemente,
nuoto
in
acque
aperte.
L’idea nasce a Losanna, negli uffici della FINA (Federazione Internazionale
di
Nuoto),
all’inizio
degli
anni
’70
con
lo
scopo
di
ufficializzare
un
titolo,
quello
di
campione
del
mondo,
fino
ad
allora
assegnato
ufficiosamente
ai
vincitori
delle
Olimpiadi.
Nella
piscina
del
Tašmajdan
Sports
Centre
si
ritrovano
così
il
31
agosto
1973
tutti
i
più
forti
nuotatori,
tuffatori
e
pallanotisti
del
mondo
per
contendersi
i
podi
della
prima
edizione
ufficiale
dei
mondiali:
686
atleti
provenienti
da
47
Paesi,
37
medaglie
d’oro
in
palio
in 4
discipline,
29
nel
nuoto,
4
nei
tuffi,
3
nel
nuoto
sincronizzato
ed
una
soltanto
nella
pallanuoto,
considerato
ancora
uno
sport
esclusivamente
maschile.
Questi
i
numeri
del
mondiale
di
Belgrado
che
riscuote
un
discreto
successo
di
pubblico
e
soprattutto
ottimi
riscontri
cronometrici
in
acqua.
Sono
sedici
i
record
del
mondo
che
cadono
tra
le
corsie
della
vasca
slava,
quattro
dei
quali
per
mano,
o
con
lo
zampino,
di
Kornelia
Ender,
una
ragazzina
appena
quattordicenne
che
stupisce
il
mondo
vincendo
quattro
ori
(100
stile
libero,
100
farfalla,
4x100
stile
libero
e
4x100
mista)
e
stabilendo
altrettanti
record
del
mondo
(due
tra
semifinale
e
finale
nei
100
stile
libero).
Lo
squadrone
della
Germania
Est
è
l’unico
ad
avvicinare
lo
strapotere
statunitense
in
corsia,
monopolizzando
le
gare
di
nuoto
femminile
grazie
anche
a
Renate
Voegel
(due
ori
nella
rana),
Rosemarie
Kother,
Andrea
Hubner,
Gudrin
Wegner
e,
in
campo
maschile,
al
grande
dorsista
Roland
Matthes
(anche
lui
due
ori),
imbattuto
in
competizioni
internazionali
dal
1967
al
1974
e
considerato
tra
i
più
grandi
sportivi
tedeschi
di
sempre.
Di
contro
gli
Stati
Uniti,
orfani
del
fuoriclasse
Mark
Spitz,
che
a
soli
22
anni
decide
di
appendere
gli
occhialini
al
chiodo
dopo
i
trionfali
giochi
di
Monaco
1972
(7
ori
e 7
record
del
mondo
per
lui
in
Baviera),
rispondono
con
il
talento
cristallino
di
Jim
Montgomery,
che
conquista
i
titoli
più
nobili
nei
100
e
nei
200
stile
libero,
di
Rick
Demont,
ottimo
mezzofondista,
del
ranista
John
Hencken
e di
Robin
Backhaus
nella
farfalla.
Alla fine dei mondiali, grazie all’ausilio delle “sincronette”,
guidate
dalla
leggiadra
Teresa
Andersen,
e
del
tuffatore
Phil
Boggs,
che
per
appena
tre
punti
di
valutazione
(618,57
a
615,18)
toglie
all’italiano
Klaus
Dibiasi
una
storica
accoppiata
d’oro
piattaforma-trampolino,
gli
americani
hanno
la
meglio
sulla
Germania
Est
nel
medagliere
finale:
15
ori
contro
13 e
tanto
talento
in
vasca
(forse
nel
secondo
caso
non
solo
quello…)
per
le
due
superpotenze
del
nuoto
degli
anni
‘70,
rispetto
al
resto
del
mondo.
Terza nel medagliere l’Italia, grazie a Dibias, e all’oro con record
del
mondo
della
“lieta
Novella”
Calligaris
negli
800
stile
libero.
Con un bronzo in meno dell’Italia lasciano il segno nella prima
edizione
dei
mondiali
anche
l’Ungheria
e la
Svezia:
i
primi
grazie
al
loro
imbattibile
team
di
pallanuoto,
guidato
dalla
stella
Tamás
Faragó,
ed
al
mistista
András
Hargitay,
oro
nei
400
metri;
i
secondi
con
l’altro
forte
mistista,
Gunnar
Larsson,
che
si
impone
nella
distanza
breve,
e
con
la
tuffatrice
Ulrika
Knape,
già
campionessa
olimpica
quattro
anni
prima
a
Monaco.
Dopo i buoni risultati in termini di interesse della prima edizione
dei
mondiali,
si
cerca
di
trovare
una
collocazione
a
questa
nuova
manifestazione
nel
già
fitto
panorama
di
eventi
internazionali.
Per un quarto di secolo le date si alterneranno ogni due, tre, quattro
e,
in
un
caso,
cinque
anni,
prima
di
trovare
la
loro
definitiva
cadenza
biennale
all’inizio
del
nuovo
millennio.
Si giunge così al 1975, quando è Calì, capitale della Colombia, ad
ospitare
le
gare.
Stesso numero di medaglie da assegnare e, praticamente, anche di
atleti
iscritti
(682)
rispetto
a
Belgrado,
ma
meno
nazioni
rappresentate,
39
in
tutto,
per
questa
seconda
esperienza
iridata.
Il copione non cambia e sono sempre gli Stati Uniti e la Germania
Est
a
dettar
legge.
Stelle
assolute
saranno
il
fortissimo
mezzofondista
Tim
Shaw,
capace
di
far
suoi
tre
ori
nei
200,400
e
1500
stile
libero,
e,
ancora
una
volta,
l’ex
bambina
prodigio
Kornelia
Ender,
che
ricalcherà
le
quattro
medaglie
d’oro
della
precedente
edizione,
sfiorando
per
19
centesimi
anche
la
quinta
nei
200
stile
libero
che
saranno
appannaggio
dell’americana
Shirley
Babashoff
(oro
anche
nei
400).
Le atlete della Repubblica Democratica Tedesca, le cosiddette “valchirie”,
non
finiscono
di
stupire
il
mondo
conquistando
dieci
dei
quattordici
ori
in
palio,
grazie
alle
dorsiste
Ulrike
Richter
e
Birgit
Treiber,
alla
ranista
Hannelore
Anke,
alla
potente
farfalla
di
Rosemarie
Kother
e
alla
polivalenza
di
Ulrike
Tauber.
La storia dello sport non sarà però clemente con loro, visto che
diversi
anni
dopo,
con
la
caduta
del
muro
di
Berlino
e la
riunificazione
delle
due
Germanie,
verranno
scoperti
dei
documenti
contenenti
i
nomi
di
oltre
diecimila
atleti
che
avevano
ricevuto
nel
corso
della
loro
carriera
sostanze
dopanti,
anche
contro
la
loro
volontà,
all’interno
di
un
piano
governativo
segreto.
Tale piano consisteva nello scegliere i talenti migliori e nel doparli
sistematicamente
e
sin
dalle
più
tenere
età
(gli
anni
variavano
a
seconda
della
disciplina
sportiva),
per
perseguire
successi
internazionali
da
sfruttare
in
chiave
propagandistica.
All’epoca, sebbene qualcuno avesse avanzato più di un dubbio sulle
“valchirie”,
la
tendenza
era
di
attribuire
il
merito
dei
loro successi esclusivamente ai metodi di allenamento ed al talento.
Dalla piscina emergono o si confermano campioni
del
calibro
di
David
Wilkie,
ranista
inglese
che
monopolizza
la
specialità
con
due
ori,
o di
András
Hargitay
che
nei
misti
aggiunge
un
altro
paio
di
medaglie
(entrambe
d’oro)
a
quella
vinta
due
anni
prima
in
Jugoslavia.
Fuori dalle corsie strette si ripete il dominio
statunitense
nel
sincronizzato
(tre
ori
su
tre
gare
tra
solo,
duo
e
competizione
a
squadre)
come
si
ripete
anche,
e
con
lo
stesso
esito,
l’entusiasmante
duello
nei
tuffi
dal
trampolino
tra
Boggs
e
Dibiasi.
Stavolta sono nove i punti di vantaggio per
l’americano
nei
confronti
del
bicampione
mondiale
della
piattaforma
che
conferma
il
suo
titolo
anche
in
Sud
America.
Tra le donne la sovietica Irina Kalinina fa il
verso
a
Dibiasi
con
un
oro
e un
argento
e i
suoi
connazionali
della
pallanuoto
si
impongono
sui
fortissimi
ungheresi
nel
torneo
maschile.
Terza
l’Italia.
Nel 1978 i mondiali tornano in Europa, a Berlino,
dal
lato
occidentale
del
muro.
I
valori
in
campo
si
ribaltano.
Resta poco dell’imbattibile armata tedesca orientale
vista
a di
Belgrado
e
Calì,
che
a
manifestazione
conclusa
varca
la
porta
di
Brandeburgo
con
il
solo
oro
di
Barbara
Krause
nei
100
stile
libero
e
con
quindici
medaglie
complessive
(ben
dieci
gli
argenti
conquistati).
A farla da padroni, come ormai da tradizione,
gli
Stati
Uniti,
con
ben
ventitrè
medaglie
del
metallo
più
pregiato
sulle
quarantacinque
totali,
sinonimo
di
un
dominio
quasi
incontrastato
in
ogni
disciplina
e
specialità.
Una
sfilza
di
atleti
tornano
in
America
con
l’oro
al
collo:
David
McCagg,
Billy
Forrester,
Bob
Jackson,
Jesse
Vassallo
(due
ori
individuali),
Nick
Nevid,
Joe
Bottom,
Mike
Bruner,
e
tra
le
donne,
Cynthia
Woodhead,
Linda
Jazek,
imbattibile
nel
dorso,
e
soprattutto
la
poliedrica
Tracy
Caulkins,
che
tra
misti,
farfalla
e
staffetta
conquista
ben
cinque
medaglie
d’oro.
Saranno dieci alla fine i record mondiali degli
americani
sui
quattordici
totali
fatti
registrare
durante
la
manifestazione,
a
cui
vanno
aggiunte
la
brillante
medaglia
d’oro,
la
terza
consecutiva,
del
team
di
nuoto
sincronizzato
(nel
solo
e
nel
duo
stavolta
è il
Canada
ad
affermarsi
grazie
al
talento
di
Helen
Vanderburg)
e la
doppietta
Boggs-Louganis
(quest’ultimo
promettente
diciottenne
californiano)
nei
tuffi.
Quelli di Berlino 1978 saranno però anche mondiali positivi per la
nazionale
sovietica,
con
gli
ori
di
Vladimir
Salnikov,
nei
400
e
nei
1500
metri
stile
libero,
delle
due
raniste
Julia
Bogdanova
e
Lina
Kačiušytė
e
con
la
doppietta
della
ormai
affermata
tuffatrice
Kalinina.
L’Australia scopre il talento cristallino della sedicenne Tracey
Wickham,
che
fa
doppietta
nei
400
e
negli
800
metri,
mentre
i
padroni
di
casa
della
Repubblica
Federale
Tedesca
vinceranno
un
solo
oro
con
Walter
Kusch
nei
100
metri
rana.
L’Italia tornerà a casa dalla Germania Ovest con due sole medaglie,
il
bronzo
di
Giorgio
Cagnotto
dal
trampolino
e il
favoloso
oro
della
nazionale
di
pallanuoto,
capace
di
imporsi
su
Urss
e
Jugoslavia
nel
girone
finale
e di
strappare
il
punto
decisivo
all’Ungheria
dopo
un
tiratissimo
e
altalenante
match
finito
in
parità.
Nel 1982 è ancora il Sud America ad ospitare la rassegna mondiale
che
però
stenta
a
decollare.
Sono
ancora
troppo
pochi
i
Paesi
partecipanti,
una
cinquantina,
e
poco
più
di
ottocento
gli
atleti
iscritti.
Ad organizzare le gare questa volta è Guayaquil, cittadina ecuadoregna
che
si
affaccia
sull’oceano
Pacifico,
fondata
dal
celebre
esploratore
e
navigatore
spagnolo
Francisco
de
Orellana
nel
1537.
In vasca si assiste al rinnovarsi dello scontro tra titani che aveva
fin
qui
caratterizzato
le
prime
edizioni
e
sono
ancora
gli
Stati
Uniti
ad
avere
la
meglio
sulla
Germania
Est
per
13
ori
a 12
(34
medaglie
complessive
contro
le
26
dei
tedeschi
orientali).
Il primo posto degli americani è però questa volta merito dei tuffi,
con
l’en
plein
di
quattro
ori
del
giovane
campione
Greg
Louganis
e
delle
bravissime
Megan
Neyer
e
Wendy
Wyland.
Dalle
corsie
arrivano
tre
ori
dalle
staffette
e
poche
individualità
di
spicco
per
gli
statunitensi.
Più di loro impressionano il canadese Victor Davis, oro nei 200
rana
con
tanto
di
record
del
mondo,
e il
tedesco
dell’ovest
Michael
Gross.
L’”albatros”
(sarà
così
soprannominato
per
la
sua
apertura
di
braccia,
misurata
in 2
metri
e 27
centimetri)
vince
a 18
anni
la
prima
delle
sue
quattro
medaglie
d’oro
individuali
mondiali,
centrando
la
vittoria
nei
200
farfalla
e
finendo
per
pochi
centesimi
di
secondo
alle
spalle
dell’americano
Matt
Gribble
nei
100.
Nel mezzofondo è sempre Salnikov a farla da padrone, confermandosi
campione
in
entrambe
le
distanze,
mentre
nei
misti
a
spuntarla
con
il
primato
iridato
è il
brasiliano
Ricardo
Prado.
Nuove “valchirie” crescono in campo femminile: sono Birgit Meineke,
Carmela
Schmidt,
Kristin
Otto,
Cornelia
Sirch,
Ute
Gewinger,
Ines
Geissler
e
Petra
Schneider
a
firmare
il
10-4
con
cui
le
tedesche
dell’est
superano,
in
numero
di
vittorie
il
resto
del
mondo.
Due americane, Kim Linehan e la emergente Mary Terstegge Meagher
(per
tutti
“Mary
T.
Meagher”),
l’olandese
Annemarie
Verstappen
e la
sovietica
Svetlana
Varganova
marcano
i
punti
per
le
non-tedesche.
Nella ritmica vasca del nuoto sincronizzato è la diciannovenne statunitense
di
origini
latine,
Tracie
Ruiz,
che
toglie
lo
“slam”
alle
ragazze
canadesi,
mentre
nella
pallanuoto
è
invece
la
volta
dell’Unione
Sovietica
che
trionfa
davanti
all’Ungheria
e
alla
Germania
Ovest.
Per l’Italia, che torna a casa con il solo bronzo di Giovanni Franceschi
nei
200
rana,
è il
mondiale
più
magro
della
storia.
Nel 1986 in Spagna si tocca il punto più basso in quanto a presenze
di
nazioni
alla
manifestazione:
soltanto
34,
che
iscrivono
però
ben
1119
atleti
complessivi.
La
crisi
paventata
dallo
squadrone
statunitense
del
nuoto
a
Guayaquil
(se
di
crisi
si
può
parlare)
trova
conferma
durante
l’estate
madrilena.
A tenere su la baracca ci pensa la stella Matt Biondi, che vince
l’oro
nei
100
metri
stile
libero,
l’argento
nei
100
farfalla
(battuto
dal
compagno
di
squadra
Pablo
Morales)
e
trascina
alla
vittoria
le
due
staffette
veloci
(4x100
stile
libero
e
mista).
Tom Jager si guadagna, per la prima volta in palio, il titolo di
uomo
più
veloce
del
mondo
in
acqua,
vincendo
in
22
secondi
e 49
centesimi
l’oro
nei
50
metri
stile
libero.
Per il resto tanti piazzamenti dietro a tedeschi (Rainer Henkel è
il
padrone
del
mezzofondo
e
Michael
Gross
dei
200
stile
libero
e
farfalla),
sovietici
(Igor
Polyansky
regale
nel
dorso),
canadesi
(Victor
Davis
si
conferma
dominatore
dei
100
rana)
e
ungheresi
(l’istrione
Tamas
Darnyi
e il
ranista
Jozsef
Szabo
tornano
in
patria
con
tre
titoli).
Tra le donne il nuoto vira sempre più ad est. La ragazza più veloce
del
mondo
è
rumena
e
risponde
al
nome
di
Tamara
Costache,
prima
iridata
nei
50
metri
stile
libero
con
tanto
di
record
assoluto.
Gli altri due ori non conquistati dalle tedesche sono a stelle e
strisce:
Betsy
Mitchell
nel
100
dirso
e
Mary
T.
Maegher
nei
200
farfalla.
Per il resto è un monologo che, comprese anche le medaglie di staffetta,
recita
più
o
meno
così:
Kristin
Otto
e
Heike
Friedrich
quattro
ori,
Astrid
Strauss,
Sulvia
Gerasch,
Kornelia
Gressler
e
Manuela
Stellmach
due
ori,
Silke
Hoerner,
Kathleen
Nord,
Sabine
Schulze,
Nadja
Bergknecht
e
Kathrin
Zimmermann
un
“misero”
oro.
Tutto questo tralasciando argenti, bronzi ed exploit maschili come
quello
della
nuova
4x200
stile
libero.
Sarà l’ultimo mondiale in cui il “doping di stato” del governo tedesco
orientale
frutterà
medaglie
a
ripetizione.
Nel nuoto sincronizzato è il Canada della bravissima Carolyn Waldo
(oro
in
tutte
e
tre
le
prove)
a
dominare
le
competizioni,
mentre
nei
tuffi,
oltre
al
dominio
incontrastato
di
Greg
Louganis,
comincia
ad
emergere
quello
che
sarà
l’imbattibile
squadrone
del
futuro,
quello
cinese,
con
i
due
ori
femminili
di
Gao
Min
e
Chen
Lin,
accompagnati
da
quattro
argenti
e un
bronzo
nel
computo
totale.
Madrid 1986 sarà ricordato dagli italiani per un altro fatto: l’interminabile
e
crudele
finale
del
torneo
di
pallanuoto
maschile
tra
gli
azzurri
e la
Jugoslavia.
Mentre il primo titolo mondiale femminile finisce tranquillamente
in
mano
all’Australia,
che
domina
il
torneo
dalla
prima
all’ultima
giornata
arrivando
davanti
a
Olanda
e
Stati
Uniti,
per
decidere
a
chi
dovessero
andare
l’oro
e
l’argento
di
quello
maschile,
davanti
al
bronzo
sovietico,
c’è
da
assistere
alla
partita
più
lunga
che
la
storia
ricordi:
52
minuti
di
emozioni
rispetto
ai
28
che
normalmente
si
giocano
in
acqua,
con
ben
otto
(!)
tempi
supplementari
di
perfetto
equilibrio
tra
le
due
nazionali.
L’epilogo, dopo un susseguirsi di vantaggi e pareggi da parte di
entrambe
le
squadre,
arriva
a
tre
decimi
di
secondo
dalla
fine,
quando
sul
contropiede
jugoslavo,
dopo
che
l’Italia
aveva
sprecato
due
facilissime
occasioni
davanti
alla
porta
avversaria,
Igor
Milanovic
segna
la
rete
del
definitivo
12-11
lasciando
in
preda
alla
disperazione
e
all’incredulità
l’intero
clan
italiano.
Quel “maledetto” argento sarà l’ultima di tre medaglie dello stesso
metallo
conquistate
dagli
italiani
in
quel
mondiale.
Le
altre
due
sono
opera
del
ranista
Gianni
Minervini
nella
distanza
corta
e
dell’appena
sedicenne
Stefano
Battistelli,
che
la
vince
nei
1500
stile
libero.
Gennaio 1991: il muro di Berlino è caduto da poco più di un anno,
l’impero
Sovietico
si
sta
per
disgregare,
in
Jugoslavia
tira
aria
di
rivoluzione
e a
Perth,
nella
calda
estate
dell’emisfero
australe,
si
fanno
le
prove
generali
per
i
primi
campionati
mondiali
di
sport
acquatici
veramente
globali.
1142 atleti provenienti da 60 nazioni si tuffano in vasca per contendersi
le
45
medaglie
in
palio,
con
le
novità
rappresentate
dal
trampolino
da
un
metro
maschile
e
femminile
(fino
ad
ora
ci
si
era
tuffati
esclusivamente
da
quello
da
tre
metri
e
dalla
piattaforma
da
10
metri)
e
dal
nuoto
in
acque
aperte,
detto
anche
di
gran
fondo,
sulla
massacrante
distanza
di
25
chilometri.
Gli Stati Uniti, come nelle cinque precedenti occasioni, dominano
il
medagliere.
Alle
loro
spalle
si
muove
però
qualcosa
ed
emergono
nuove
nazioni,
come
la
Cina,
o
risalgono
la
china
Paesi
di
vecchia
tradizione
natatoria,
come
l’Australia
e
l’Ungheria.
Gli atleti a stelle e strisce riguadagnano punti nel nuoto. Oltre
alle
conferme
di
Tom
Jager
come
uomo-siluro
e di
Matt
Biondi
nei
100
stile
libero,
arrivano
a
rimpinguare
il
bottino
i
talenti
di
Jeff
Rouse
nel
dorso,
Mike
Barrowman
nella
rana
e
Melvin
Stewart
nella
farfalla,
gli
ultimi
due
con
tempi
da
record
del
mondo
nelle
distanze
lunghe.
L’ex tedesco dell’est Jorg Hoffmann, ora in rappresentanza della
Germania
unita,
si
guadagna
il
trono
di
mezzofondista
principe
centrando
la
doppietta
400-1500
(con
strepitoso
record
del
mondo
ampiamente
sotto
i 15
minuti
nella
distanza
lunga,
battendo
di
mezza
bracciata
l’australiano
Kieren
Perkins
al
termine
di
un
serratissimo
confronto),
mentre
a
vincere
i
200
stile
libero
è un
ragazzo
bresciano
di
quasi
ventun’anni:
Giorgio
Lamberti.
Nei 200 dorso è il forte spagnolo Martin Lopez-Zubero a negare l’oro
a
Stefano
Battistelli,
convertitosi
a
questo
stile
e
vincitore
anche
di
due
bronzi
nei
400
misti
e
nella
4x200,
mentre
nei
rana
ci
vogliono
i
due
detentori
congiunti
del
record
del
mondo,
peraltro
abbassato
in
quest’occasione,
per
relegare
al
terzo
posto
Gianni
Minervini:
primo
l’ungherese
Norbert
Rozsa
e
secondo
il
britannico
Adrian
Moorhouse.
Nei 100 farfalla fa sensazione l’oro di un’atleta proveniente dalla
piccola
repubblica
sudamericana
del
Suriname,
Anthony
Nesty,
che
si
permette
il
lusso
di
bruciare
per
due
soli
centesimi
una
leggenda
vivente
quale
Michael
Gross,
vincitore
nella
terra
dei
canguri
di
due
argenti
individuali
ed
un
oro
di
squadra.
Orfano delle fortissime e gonfiate “valchirie”, il panorama del
nuoto
femminile
si
scopre
più
variegato.
Nel dorso primeggia il talento del “topolino d’Ungheria”, Krisztina
Egerszegi,
sbocciata
a
soli
14
anni
nella
vasca
olimpica
di
Seul,
che
fa
sue
entrambe
le
gare
iridate.
Nei misti spunta la cinese Lin Li, punta dell’iceberg di una nazione
che
si
prepara
a
stupire
il
mondo
tre
anni
più
tardi,
anche
se
con
il
“trucco”.
Nel mezzofondo brilla su tutti la stella di Janet Evans, tra le più
forti
nuotatrici
della
storia.
Bambina
prodigio
(stabiliva
primati
nazionali
sin
dall’età
di
11
anni),
si
presenta
a
Perth
da
favorita
assoluta
e da
detentrice
dei
record
del
mondo
di
tutte
e
tre
le
distanze
lunghe
dello
stile
libero
(400,
800
e
1500),
record
ottenuti
tra
i
sedici
e i
diciassette
anni
di
età.
Vincerà
a
mani
basse
le
due
prove
in
programma
(400
e
800)
e
conserverà
quei
tre
record
per
oltre
un
ventennio
stabilendo,
oltre
ai
primati
in
vasca,
anche
quelli
quasi
imbattibili
di
longevità
delle
prestazioni,
che
resisteranno
a
generazioni
di
nuotatori.
Nel nuoto sincronizzato continua il duello nordamericano tra Canada
e
USA,
stavolta
vinto
delle
statunitensi
per
due
ori
(squadra
e
duo)
a
uno
(Syvlie
Frechette
nel
solo).
Nel debuttante e massacrante nuoto in acque aperte i primi “iron-men”
iridati
sono
l’americano
Chad
Hundeby
(davanti
all’italiano
Sergio
Chiarandini)
e
l’australiana
Shelley
Taylor-Smith,
entrambi
a
mollo
per
oltre
cinque
ore
per
meritarsi
il
titolo.
Nei tuffi avanzano i cinesi, con le prestazioni superbe della squadra
femminile
con
Gao
Min
iridata
dai
trampolini
e Fu
Mingxia
oro
dalla
piattaforma.
Nella pallanuoto si confermano per il terzo anno consecutivo gli
slavi,
davanti
alla
Spagna,
in
campo
maschile,
mentre
vincono
il
loro
primo
titolo
le
ragazze
in
calottina
dell’Olanda.
Nel 1994 il nuoto si apre al mondo e Roma è la città ideale per
accogliere
questo
cambiamento.
I
mondiali
iniziano
sempre
di
più
a
somigliare
a
quella
piccola
olimpiade
acquatica
che
era
nei
sogni
degli
ideatori
del
progetto.
La città eterna ospita al Foro Italico la settima edizione dei campionati,
in
una
suggestiva
cornice
che
accoglierà
1400
atleti
da
102
stati
sparsi
per
i
continenti.
Cambiano le gerarchie e a dominare il medagliere assoluto, grazie
esclusivamente
ai
tuffi
e al
nuoto
femminile,
saranno
gli
atleti
dagli
occhi
a
mandorla
e
dalle
spalle
possenti
della
nazionale
cinese.
Verranno in seguito confermati i tanti sospetti di doping che aleggiavano
già
nei
giorni
di
gara
attorno
alle
incredibili
prestazioni
delle
atlete
cinesi,
ma
intanto
le
medaglie
erano
state
assegnate
e la
federazione,
nell’impossibilità
di
provare
quali
e
quante
prestazioni
andassero
cancellate,
le
ha
lasciate
alle
rispettive
vincitrici.
Sono poche le atlete capaci di tener testa alle orientali. Jingyi
Le
nella
velocità
pura,
Aihua
Yang
nei
400
stile,
He
Cihong
nella
rana,
Limin
Liu
nella
farfalla,
Lu
Bin
e
Dai
Guohong
nei
misti
monopolizzano
il
gradino
più
alto
del
podio
nelle
rispettive
prove,
conquistando
l’oro
anche
nelle
tre
staffette.
I record del mondo e della manifestazione cadono a grappoli, ma
quello
più
sensazionale
è
firmato
da
una
ragazzina
tedesca,
figlia
pulita
della
generazione
delle
“valchirie”.
Il
suo
nome
è
Franziska
Van
Almsick
e il
suo
tempo,
che
reggerà
per
otto
anni
come
record
mondiale
dei
200
stile
libero,
è 1
minuto,
56
secondi
e 78
centesimi.
Nel 2002, dopo un lungo periodo travagliato a causa della troppa
popolarità
ottenuta
dalla
bellissima
nuotatrice
berlinese,
sarà
ancora
lei
a
ritoccarlo,
prima
che
a
scalzarla
definitivamente
dal
libro
dei
primati
ci
pensi
una
giovane
ragazza
veneziana,
Federica
Pellegrini.
Negli 800 si conferma Janet Evans, anche se deve sudare le proverbiali
sette
camicie
per
superare
l’australiana
Hayley
Lewis,
già
campionessa
dei
200
stile
libero
tre
anni
e
mezzo
prima
in
quel
di
Perth.
Un’altra australiana, la bravissima Samantha Riley, si impadronisce
della
rana,
tenendosi
dietro
le
cinesi
e
stabilendo
il
nuovo
record
mondiale
nei
100.
L’unica medaglia italiana in corsia di tutti i mondiali arriva dalla
sorprendente
bolognese
Lorenza
Vigarani,
che
termina
alle
spalle
dell’imbattibile
cinese
di
turno
e
del
“topolino”
Egerszegi
nei
200
metri
dorso.
L’atleta di spicco del nuoto maschile è lo “Zar” russo Alexander
Popov
che
si
guadagna
in
vasca
il
titolo
di
uomo
più
veloce
del
mondo,
battendo
in
entrambe
le
gare
veloci
maschili
(50
e
100
stile
libero)
l’americano
Gary
Hall
Jr.,
figlio
dell’omonimo
campione
degli
anni
‘70.
Nei 200 emerge a sorpresa il finlandese Antti Kasvio, mentre nelle
distanze
più
lunghe
la
fa
da
padrone
Kieren
Perkins,
che
stabilisce
un
sorprendente
record
del
mondo
nei
400,
abbassando
il
precedente
limite
di
oltre
un
secondo,
e
che
fa
sua
anche
la
gara
più
lunga
precedendo
di
tre
secondi
il
connazionale
Kowalski.
La rana è territorio di caccia per il magiaro Norbert Rozsa, che si
aggiudica
entrambe
le
prove,
mentre
nel
dorso
Martin
Lopez-Zubero
conferma
il
titolo
dei
100
ma
deve
piegarsi
nei
200
al
russo
Vladimir
Selkov.
È russo anche l’oro dei 200 farfalla, Denis Pankratov, che nel 100
si
fa
sopravanzare
dal
polacco
Szukala
e
dal
possente
svedese
Lars
Frolander.
Gli squilli più alti arrivano dalle gare in quattro stili, dove il
finlandese
Jani
Sievinen
nei
200
e
l’americano
Tom
Dolan
nella
doppia
distanza,
riscrivono
il
libro
dei
record
dei
misti.
Dalla piscina dei tuffi del Foro Italico l’inno cinese si sente
risuonare
fin
troppe
volte.
Nelle
gare
femminili
Chen
Lixia,
Tan
Shuping
e la
fuoriclasse
Fu
Mingxia
volteggiano
armoniose
prima
di
tuffarsi
senza
schizzi
dentro
la
medaglia
d’oro.
Dalle competizioni maschili arrivano invece le sorprese più grandi,
non
tanto
dal
trampolino
da
tre
metri
o
dalla
piattaforma
(dove
la
sfida
tra
i
cinesi
e il
fuoriclasse
russo
Dmitri
Sautin
termina
in
parità
con
un
oro
a
testa)
quanto
dal
trampolino
da
un
metro.
Ad avere la meglio su Lan Wei (argento) e sull’americano Brian Earley
(bronzo)
è un
sorprendente
tuffatore
proveniente
dal
sud
dell’Africa:
Evan
Stewart
dello
Zimbabwe.
Figlio
d’arte
-
sua
madre
Anthea
Dorine
Stewart
era
stata
oro
olimpico
per
il
suo
stesso
Paese
nell’hockey
su
prato
ai
giochi
di
Mosca
1980
- il
giovane
Evan,
reduce
dall’oro
ai
giochi
del
Commonwealth
conquistato
pochi
giorni
prima
nella
stessa
gara,
esegue
una
serie
di
tuffi
senza
sbavature,
che
gli
permettono
di
sopravanzare
il
cinese
Wei
di
poco
più
di
sei
punti,
tanto
quanto
basta
per
far
gioire
una
nazione
intera.
Nel nuoto gran fondo gli “indistruttibili” di turno sono Greg Streppel,
canadese,
e
Melina
Cunningham,
australiana,
che
a
causa
delle
correnti
avverse,
per
completare
la
“maratona
delle
acque”
impiegano
mezz’ora
in
più
dei
vincitori
del
precedente
mondiale:
cinque
ore
e 35
minuti
lui,
48
lei.
Nel nuoto sincronizzato gli Stati Uniti tornano a dominare, grazie
anche
Becky
Dyroen-Lancer,
che
è
presente
in
tutte
e
tre
le
prove
con
Jill
Sudduth
come
compagna
di
duo.
La pallanuoto femminile premia le ungheresi, vincitrici in semifinale
sulle
emergenti
italiane,
alla
fine
ottime
terze,
mentre
in
quella
maschile
si
assiste
all’incoronazione
di
un
ciclo
leggendario
da
parte
del
“settebello”
azzurro,
capace
di
vincere
le
olimpiadi
di
Barcellona
nel
1992,
gli
europei
di
Sheffield
e la
coppa
del
mondo
di
Atene
nel
1993,
e di
aggiungervi,
nelle
piscine
romane,
il
titolo
iridato
1994,
con
la
schiacciante
vittoria
per
10-5
contro
la
Spagna.