N. 126 - Giugno 2018
(CLVII)
può un palo costare delle vite umane?
argentina-olanda:
finale
dei
mondiali
1978
di Giuseppe
Livraghi
Domanda:
un
palo
metallico
può
costare
delle
vite
umane?
Sì e
no:
dipende
da
vari
fattori,
quali
il
luogo,
il
momento
e il
contesto.
Gli
elementi
sono
i
seguenti:
Estadio
Monumental
di
Buenos
Aires,
domenica
25
giugno
1978,
91°
minuto
della
finale
del
Campionato
Mondiale
di
calcio.
Proprio
in
quel
momento
potrebbe
aver
luogo
l’evento
grazie
al
quale
possono
essere
evitate
altre
morti,
invece
il
fato
decide
il
contrario.
Ma
andiamo
con
ordine.
In
quel
giorno
del
1978
si
disputa
la
finale
del
Campionato
Mondiale
di
calcio,
che
oppone
l’Argentina
padrona
di
casa
all’Olanda,
gli
“arancioni”
giunti
per
la
seconda
edizione
di
fila
all’atto
conclusivo,
ancora
opposti
agli
organizzatori
del
torneo.
I
“tulipani”
dei
Paesi
Bassi
(poiché
in
realtà
il
Paese
si
chiama
“Netherlands”,
cioè
“Paesi
Bassi”,
dei
quali
l’Olanda
è sì
una
parte
importante,
ma
solo
una
parte)
non
sono
più
quelli
del
“calcio
totale”
di
quattro
anni
prima:
privi
del
“profeta
del
goal”
Johan
Cruijff
(ritiratosi
dal
calcio
giocato
proprio
al
termine
della
stagione
1977-’78,
al
quale
tornerà
già
nel
1979),
gli
arancioni
sono
comunque
una
buona
squadra,
che
sopperisce
alle
difficoltà
con
un
grande
affiatamento
e
(se
necessario)
con
tanto
ardore
agonistico.
Già
nella
gara
decisiva
del
girone
di
semifinale
contro
l’Italia,
gli
“olandesi”
riescono
a
ribaltare
lo
0-1
mettendola
sull’agonismo,
venendo
anche
aiutati
dalla
fortuna,
che
fa
sì
che
due
conclusioni
da
fuori
area
(rispettivamente
scagliate
da
Brandts
e da
Haan)
s’infilino
alle
spalle
del
non
del
tutto
incolpevole
Dino
Zoff,
per
il
2-1
finale.
Se
gli
olandesi
possono
ringraziare
anche
(ma
non
solo)
una
buona
dose
di
fortuna,
gli
argentini
arrivano
all’atto
conclusivo
per
vie
traverse:
dopo
aver
concluso
al
secondo
posto
il
girone
valido
quale
primo
turno
(venendo
sconfitti
per
0-1
dall’Italia),
i
bianco-celesti
giungono
alla
finale
vincendo
il
loro
gruppo
della
seconda
fase
solamente
per
la
differenza
reti
nei
confronti
del
Brasile,
ma
su
tale
“impresa”
si
posano
molte
ombre.
In
primis,
gli
argentini
giocano
la
loro
ultima
partita
del
girone
dopo
la
conclusione
di
quella
del
Brasile
(vittorioso
per
3-1
sulla
Polonia),
sapendo
già,
quindi,
il
risultato
necessario
per
accedere
alla
finalissima:
un
4-0
a un
Perù
già
eliminato.
La
gara
con
i
peruviani
termina
addirittura
6-0
e
tanti
sospettano
che
tale
successo
sia
stato
“facilitato”
(o
quantomeno
non
ostacolato
appieno)
dal
portiere
peruviano
Ramón
Quiroga,
che
in
realtà
è
un
argentino
naturalizzato
peruviano,
per
di
più
nato
proprio
a
Rosario,
ossia
dove
va
in
scena
Argentina-Perù.
Non
entriamo
nel
merito
di
ciò:
semplicemente,
diciamo
che
l’Argentina
arriva
in
finale
senza
brillare.
L’Argentina
padrona
di
casa,
certo,
ma
quale
casa?
Il
paese
ove
tuttora
gran
parte
degli
abitanti
vanta
orgogliosamente
origini
italiane
è
una
dittatura
militare
(autodenominatasi
“Processo
di
riorganizzazione
nazionale”)
dal
24
marzo
1976,
quando
un
colpo
di
Stato
ha
messo
fine
al
legittimamente
eletto
governo
di
Isabelita
Perón:
il
potere
è
nelle
mani
della
giunta
militare
presieduta
dal
generale
Jorge
Rafael
Videla.
La
dittatura
è
destinata
a
passare
alla
storia
come
una
delle
più
sanguinarie
e
crudeli
dei
tempi
recenti,
durante
la
quale
i
dissidenti
(veri
o
presunti
tali)
sono
rapiti,
torturati,
seviziati,
umiliati
e
assassinati
dopo
sommari
processi
(e,
a
volte,
senza
neppure
quelli),
per
poi
essere
fatti
sparire
(desaparecidos),
il
più
delle
volte
gettati
in
mare
mediante
i
“voli
della
morte”.
Quindi,
è
facile
immaginare
che
una
dittatura
del
genere
pretenda
assolutamente
che
la
Nazionale
faccia
sua
la
Coppa,
sia
per
orgoglio
nazionalistico,
sia
per
distogliere
l’attenzione
dalla
tragica
situazione
interna
(non
facile
anche
a
livello
economico).
E
qui
arriviamo
al
palo
metallico
che
può
salvare
delle
vite,
che
abbiamo
menzionato
in
apertura.
La
finale
del
Mondiale
1978
è
sull’1-1,
con
gli
olandesi
che,
per
nulla
intimoriti
dal
clima
intimidatorio
e
ostile
venutosi
a
creare,
hanno
recuperato
l’iniziale
vantaggio
argentino
(firmato
al
38'
dal
capocannoniere
Mario
Kempes)
grazie
a un
acuto
di “Dick”
Nanninga
all’82'.
Al
91′,
però,
su
un
lancio
dalla
trequarti
difensiva,
la
sfera
giunge
a
Rob
Rensenbrink
che,
da
posizione
difficile,
ma
non
impossibile,
anticipa
l’uscita
dell’estremo
difensore
locale
Ubaldo
Fillol,
indirizzando
il
pallone
verso
la
porta
sguarnita:
la
palla,
però,
incoccia
contro
il
palo,
tornando
poi
in
campo.
I
tempi
regolamentari
si
chiudono,
perciò,
in
parità:
l’Argentina,
tirato
un
sospiro
di
sollievo,
fa
poi
sua
la
gara
(e,
quindi,
la
Coppa)
nei
tempi
supplementari,
vincendo
per
3-1.
Il
regime
argentino
ha,
dunque,
il
trionfo
che
pretendeva:
la
gente
festeggia
per
le
strade,
non
sapendo
che
in
quella
stessa
notte
altri
“desaparecidos”
stanno
per
essere
aggiunti
alla
già
lunga
lista.
Ma
cosa
sarebbe
successo
se
l'Olanda
avesse
vinto
il
Mondiale
1978?
È
vero
che
con
i
“se”
e
con
i
“ma”
non
si
fa
la
storia,
ma è
più
che
legittimo
ipotizzare
che
se
quel
pallone
calciato
da
Rensenbrink
fosse
terminato
in
rete,
non
avrebbe
solamente
significato
un
meritato
trionfo
olandese:
avrebbe
(fatto
ben
più
importante)
fatto
“saltare”
il
piano
del
regime,
dando
quindi
vigore
agli
oppositori.
Un
regime
che,
invece,
resta
ben
saldo
in
sella
fino
all’inizio
degli
anni
Ottanta,
quando,
nuovamente
con
lo
scopo
di
distogliere
l’attenzione
dalla
situazione
interna
e di
cercare
consenso
(a
fronte
di
una
crisi
economica
devastante),
porta
l’Argentina
alla
guerra
con
il
Regno
Unito,
per
il
possesso
delle
isole
Falkland
(che
gli
argentini
chiamano
Malvinas,
cioè
Malvine).
Tuttavia,
le
Forze
Armate
argentine,
tanto
efficienti
nell’opprimere
civili
inermi,
si
dimostrano
incapaci
al
cospetto
delle
forze
di
Sua
Maestà
Britannica:
la
guerra,
iniziata
il 2
aprile
1982,
termina
il
successivo
14
giugno
con
il
pieno
successo
dei
britannici,
che
riescono
a
difendere
il
loro
possedimento
d’Oltremare.
Ormai
il
regime
è ai
titoli
di
coda:
Leopoldo
Galtieri
(subentrato
a
Carlos
Lacoste
il
22
dicembre
1981,
a
sua
volta
subentrato
a
Roberto
Eduardo
Viola
l’11
dicembre
1981,
a
sua
volta
subentrato
a
Videla
il
29
marzo
dello
stesso
anno)
è
costretto
a
dimettersi,
passando
il
potere
ad
Alfred
Oscar
Saint
Jean,
che
resta
in
sella
(ad
interim)
dal
18
giugno
1982
fino
al
successivo
1°
luglio,
quando
lascia
l’incarico
a
Reynaldo
Bignone,
il
quale,
pressato
dalla
crescente
opposizione,
è
costretto
a
indire
libere
elezioni,
che
hanno
luogo
il
10
dicembre
1983.
Dicembre
1983:
sono
trascorsi
cinque
anni
e
mezzo
da
quel
palo
colpito
da
Rensenbrink,
cinque
anni
e
mezzo
nei
quali,
dopo
quella
di
Videla,
si
susseguono
altre
cinque
giunte
militari,
una
guerra
(quella
delle
Falkland-Malvinas)
e
una
crisi
economica
drammatica.
Nella
guerra
delle
Falkland
si
contano
907
morti
(649
militari
argentini,
255
militari
britannici
e 3
civili
falklandesi)
e
1.845
feriti
(1.068
militari
argentini
e
777
militari
britannici).
Morti
e
feriti
che
vanno
ad
aggiungersi
alle
30mila
persone
uccise
dal
regime
e
alle
50mila
illegalmente
detenute
durante
la
dittatura.
Non
sembra
illogico
ipotizzare
che
se
l’Olanda
avesse
vinto
quella
finale
questi
numeri
sarebbero
stati
diversi,
come
non
è
sbagliato
ipotizzare
che,
senza
il
prestigio
(vero
o
presunto)
derivante
dal
successo
al
Mondiale
1978,
il
regime
avrebbe
ceduto
prima?
Di
sicuro
(o
quasi)
si
sarebbe
evitata
la
guerra
delle
Falkland.
Il
calcio
è
solo
un
gioco?
Può
darsi,
ma
in
questo
caso
è
stato
una
drammatica
cosa
seria.