N. 79 - Luglio 2014
(CX)
Mohammad Mossadeq
L'uomo
dell'anno
1951
di
Elisa
Temellini
Qualche
anno
fa
nelle
sale
cinematografiche
uscì
un
interessante
cartone
animato
firmato
da
un'autrice
iraniana
Marjane
Satrapi
e da
un
disegnatore
francese
Vincent
Paronnaud.
Il
film
d'animazione
chiamato
Persepolis,
in
onore
di
un'antica
città
persiana,
ebbe
molto
successo,
tanto
da
vincere
il
premio
della
giuria
al
Festival
di
Cannes
del
2007.
Le
vicende
della
protagonista
attraversano
gli
anni
recenti
della
storia
iraniana.
Marjane
è
ancora
una
bimba
quando
scoppia
la
rivoluzione
del
1978-79.
La
popolazione
è
contenta
della
fine
del
regno
Pahlavi,
soprattutto
Anouche,
lo
zio
comunista
incarcerato
dalla
dittatura
del
sovrano.
Tutti
sono
sicuri
di
un
futuro
migliore.
Ma
lo
scià
è
sostituito
dalla
repubblica
islamica,
governata
dall'estremista
Ruhollah
Khomeini.
Lo
zio
spiega
il
tragico
momento
come
un
breve
periodo
di
transizione,
motivato
dall'ignoranza
degli
iraniani.
In
realtà
il
breve
periodo
durò
una
decina
di
anni
e il
peggio
doveva
ancora
venire,
non
solo
per
il
rivoluzionario
personaggio
del
cartone
animato
che
verrà
ucciso
dal
nuovo
regime.
Ma
tra
i
Pahlavi
e la
rivoluzione
islamica
ci
fu
un
momento
in
cui
le
cose
avrebbero
potuto
prendere
un'altra
direzione...
Nato
nel
1882
a
Teheran
da
una
famiglia
aristocratica,
Muhammad
Mossadeq
si
trasferì
in
Francia
e in
Svizzera
per
studiare
giurisprudenza.
Una
volta
laureato,
nel
1914,
fece
ritorno
in
Iran
dove
intraprese
la
carriera
politica
ricoprendo
varie
cariche
ma
opponendosi
all'allora
regime
dello
scià
Reza
Pahlavi.
Esiliato
proprio
per
le
sue
dichiarate
posizioni,
si
dedicò
nuovamente
alla
politica
solo
nel
1944,
quando
sul
trono
ormai
sedeva
il
figlio
del
vecchio
sovrano.
Muhammad
Reza
Pahlavi
aveva
un'idea
alquanto
originale
della
democrazia
che
avrebbe
voluto
instaurare
in
Persia.
Se
da
un
lato
cercò
di
accattivarsi
l'appoggio
degli
iraniani
grazie
alla
liberazione
dei
dissidenti
e la
simpatia
dei
religiosi
restituendo
loro
le
terre
requisite
dal
padre,
dall'altra
rafforzò
sempre
più
l'alleanza
con
le
potenze
straniere
dando
vita
nel
1942,
nel
pieno
della
Seconda
Guerra
Mondiale,
all'accordo
tripartito
firmato
anche
da
Gran
Bretagna
ed
URSS,
che
voleva
l'Iran
diviso
in
tre
zone
offrendo
agli
alleati
le
vie
di
comunicazione
utili
alla
strategia
bellica.
In
realtà
questo
si
rivelò
un
passo
sbagliato
in
quanto
la
popolazione,
già
stremata
dalla
miseria,
fu
ulteriormente
colpita
dall'inflazione
e
dall'impossibilità
di
usufruire
di
strade
e
ferrovie
per
la
propria
sussistenza.
Il
malcontento
popolare
aumentò
negli
anni
successivi,
alla
fine
della
guerra,
a
causa
di
un
comportamento
del
sovrano
alquanto
scostante
e un
po'
troppo
filo-occidentale,
senza
parlare
della
leggendaria
condotta
della
famiglia
Pahlavi
a
dir
poco
dispendiosa,
in
una
nazione
ancora
relativamente
povera.
L'opposizione
politica
interna
intanto
si
stava
organizzando
in
tre
grandi
fazioni:
a
destra
i
religiosi
ultra-conservatori,
a
sinistra
il
Tudeh,
il
partito
comunista,
e in
centro
un
misto
di
liberali,
repubblicani
e
nazionalisti
riunitasi
in
un
unico
partito,
il
Fronte
Nazionale,
con
a
capo,
proprio
Muhammad
Mossadeq.
Dopo
l'assassino,
nel
1951,
del
primo
ministro
Ramzara
e le
dimissioni
del
suo
successore
'Ala,
il
sovrano
non
poté
far
altro
che
accettare
la
nomina
a
premier
di
Mossadeq.
Il
giurista
cagiaro
aveva
un
programma
ben
chiaro:
limitare
la
presenza
e
l'ingerenza
degli
stranieri,
e
ridimensionare
il
potere
dello
scià
dal
quale
esigeva
il
rispetto
della
Costituzione.
Nel
1951
appena
nominato,
il
premier
firmò
il
decreto
per
la
nazionalizzazione
del
petrolio.
Per
prima
cosa
bisognava
smantellare
l'AIOC,
l'Anglo-Iranian
Oil
Company
e
sostituirla
con
il
NIOC,
il
Natiolanl
Iranian
Oil
Company.
L'enorme
ricchezza
dei
sottosuoli
persiani
aveva
richiamato
le
potenze
occidentali,
desiderose
di
avere
un
governo
docile,
obbediente
ed
ingenuo
(basta
guardare
i
miseri
tornaconti
delle
concessioni
petrolifere)
da
poter
manovrare
e
sfruttare
a
proprio
piacimento.
E
quando
Mossadeq
iniziò
a
dar
vita
al
proprio
programma
di
nazionalizzazione,
neanche
da
dire,
la
Gran
Bretagna
non
la
prese
benissimo.
Come
prima
risposta
congelò
i
fondi
esteri
iraniani
per
poi
rafforzare
la
propria
presenza
nel
Golfo
Persico
e
concludere
con
l'embargo.
Non
solo,
i
britannici
convinsero
gli
americani
a
non
concedere
prestiti
a
Teheran,
inducendoli
a
trovare
altri
paesi
esportatori
di
petrolio.
Il
problema
iraniano
venne
portato
all'attenzione
dell'ONU.
Mossadeq
si
recò
personalmente
a
New
York
e a
Washington
dove
incontrò
il
presidente
Truman.
Sensibilizzò
l'opinione
pubblica
a
favore
delle
proprie
idee.
Per
il
suo
coraggio
e la
sua
tenacia
Mossadeq,
venne
proclamato
Uomo
dell'anno
1951
dalla
rivista
Time.
Quindi,
con
un
colpo
di
mano,
nel
1952,
il
politico
cagiaro
decise
di
prevaricare
il
sovrano
indicando
il
ministro
della
guerra.
Malgrado
i
contrasti
con
lo
scià
si
acuirono,
il
primo
ministro
proseguì
con
la
delegittimazione
di
Pahlavi
e
con
la
nazionalizzazione
della
compagnia
petrolifera.
Tentò
a
tutti
i
costi
di
diminuire
i
poteri
del
sovrano,
tagliandone
anche
parte
dei
fondi
trasferendoli
al
Ministero
della
Sanità.
Recuperò
(ahimè
solo
in
parte)
i
soldi
persi
dalle
mancate
entrate
britanniche
con
un
gettito
fiscale
più
alto,
soprattutto
dai
benestanti
che
fino
ad
allora
non
avevano
mai
pagato
tasse.
Fu
promulgata
la
riforma
agraria
che
prevedeva
una
distribuzione
del
raccolto:
il
20%
doveva
essere
ceduto
per
metà
ai
contadini
e
l'altra
metà
alle
autorità
locali.
Queste
misure
risultarono
gradite
al
Tudeh
ma
non
ai
conservatori.
Rimostranze
in
parlamento
misero
in
dubbio
l'autorità
di
Mossadeq
che
grazie
a un
referendum
popolare
riuscì
a
dimostrare
di
avere
ancora
la
maggioranza
dei
consensi.
Nel
frattempo
i
nemici
esterni
erano
diventati
tanti.
L'idea
di
perdere
l'approvvigionamento
petrolifero
persiano
preoccupava
sia
la
Gran
Bretagna
che
gli
USA,
i
quali,
nello
scacchiere
del
potere
avevano
ormai
sostituito
l'URSS,
visto
anche
che
le
concessioni
territoriali
concesse
a
Mosca,
a
fine
guerra,
si
rivelarono
prive
di
risorse.
Iniziò
così
l'operazione
Ajax
guidata
da
Eisenhower,
condotta
dai
servizi
segreti
inglesi
e
americani
e
appoggiata
dallo
scià.
Vennero
assoldati
un
gruppo
di
esaltati
provenienti
dalle
classi
più
umili
con
il
compito
di
trasformare
le
manifestazioni
del
Tudeh
in
veri
e
propri
atti
terroristici
finalizzati
a
screditare
la
sinistra
in
generale
e
Mossadeq
in
particolare.
La
folla
scatenata
distrusse
le
statue
di
Reza
Shah
e
attaccò
radio,
televisioni
e
uffici
pubblici.
Il
premier
si
accorse
dell'escalation
di
violenza.
Non
approvò
e
fermò
le
rimostranze
della
folla,
inimicandosi
-
come
progettato
dalle
due
potenze
occidentali
-
anche
l'ultimo
alleato:
il
partito
comunista.
Il
primo
ministro
venne
così
accusato
di
tradimento.
Scontò
tre
anni
di
carcere
e
finì
la
sua
vita,
nel
1967,
agli
arresti
domiciliari.
Pahlavi
nel
frattempo
rientrava
in
Iran
dal
suo
esilio
volontario
(forse
è
meglio
dire
fuga)
a
Roma
e
nominava
un
nuovo
primo
ministro.
Se
solo
in
parte
e a
sprazzi,
USA
e
Gran
Bretagna
appoggiarono
la
dinastia
dei
Pahlavi,
clamorosamente
destituirono
Mossadeq,
diventato
troppo
pericoloso
ed
ingombrante
per
lasciarlo
governare.
E le
ultime
dichiarazioni
della
CIA,
proprio
dell'anno
scorso,
confermano
la
grave
responsabilità
degli
Stati
Uniti
nella
drammatica
questione
iraniana.
Il
colpo
di
stato
del
19
agosto
1953
contro
Muhammed
Mossadeq
è
divenuto
nella
memoria
dei
persiani,
e in
generale
del
mondo
arabo,
una
pietra
miliare.
L'ingerenza
negativa
delle
potenze
occidentali
nel
processo
democratico
di
un
paese
in
via
di
sviluppo
-
colpevole
solo
delle
proprie
ricchezze
petrolifere
-
volutamente
interrotto
per
palesi
interessi
economici,
non
ha
di
certo
riscosso
il
favore
dell'opinione
pubblica
in
Medio
Oriente,
già
turbata
per
ovvie
ragioni:
tutt'altro...
La
storia
successiva
dell'Iran
lo
dimostrerà.
La
colpa
del
fallimento
del
premier,
però,
non
può
essere
fatta
ricadere
unicamente
sull'intervento
di
Londra
e di
Washington.
Innanzitutto
il
primo
ministro
era
molto
intransigente,
soprattutto
in
politica
estera.
Il
passaggio
da
un'economia
basata
sull'estrazione
del
petrolio
effettuata
da
stati
esteri
a
un'economia
nazionalizzata,
dove
ogni
elemento
straniero
(soprattutto
inglese
o
americano)
doveva
essere
cancellato
in
un
batter
d'occhio,
non
fu
dettato
da
un'analisi
lungimirante;
quantomeno
è
stata
una
decisione
dove
la
necessaria
diplomazia
con
nemici
così
abili
e
navigati
non
occupò
il
giusto
rilievo.
Si
può
inoltre
facilmente
immaginare
il
terrore
che
americani
e
inglesi,
nel
bel
mezzo
della
guerra
fredda,
provarono
per
un'eventuale
presa
di
potere
comunista
in
Iran,
paese
essenziale
per
la
loro
economia.
Per
quanto
riguarda
il
fronte
interno,
l'alleanza
con
il
Tudeh
non
venne
ben
accolta
da
tutti.
I
partiti
islamici
conservatori
avevano
paura
di
una
rivoluzione
laica
che
li
avrebbe
spodestati
dal
trono
millenario,
perdendo
tutti
quei
privilegi
di
cui
da
sempre
godevano,
in
uno
stato
in
cui
la
maggior
parte
delle
entrate
fiscali
andava
ai
mullah
e
non
al
governo.
Mossadeq
era
un
idealista
che
desiderava
veramente
modernizzare
e
democratizzare
il
proprio
paese.
Purtroppo
non
si
era
reso
conto
dell'importanza
strategica
sotto
tanti
punti
di
vista
(geografico,
politico,
economico)
che
la
sua
cara
nazione
rivestiva
per
gli
occidentali.
E
forse
non
aveva
ben
chiara
l'ormai
forte
dipendenza
iraniana
dall'estero.
Rimane
il
fatto
che
un
uomo
solo,
per
il
bene
del
proprio
paese,
ha
contrastato
USA
e
Gran
Bretagna.
Una
battaglia
impossibile
dal
risultato
scontato.
Ma
Mossadeq
non
si è
arreso
e ha
continuato
finché
ha
potuto.
Ahimè,
oggi
sono
pochi
quelli
che
lo
ricordano
o lo
conoscono.
E
questa
è la
seconda
sconfitta.
Riferimenti
bibliografici
James
L.
Gelvin,
Storia
del
Medio
Oriente
Moderno,
Einaudi,
Torino
2009;
Farian
Sabahi,
Storia
dell'Iran
1890-2008,
Mondadori,
Milano
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e
Vittorio
Vidotto,
Storia
contemporanea:
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Paronnaud,
Persepolis
(libro
+
DVD),
BUR,
Milano
2008.