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filosofia & religione


N. 21 - Settembre 2009 (LII)

Ammodernare senza tradire
Il Modernismo e la Chiesa Cattolica

di Lawrence M.F. Sudbury

 

Dopo quasi due secoli di relativa calma, la teologia di fine ‘800 – inizio ‘900 fu sconvolta da una grande ondata di rinnovamento che, pur nelle sue composite manifestazioni, passò alla storia con il nome collettivo di “Modernismo”.

A dire il vero, tale termine fu coniato a posteriori e in senso dispregiativo da uno dei maggiori nemici della corrente, quel papa Pio X che, nel 1907, nell’enciclica Pascendi Dominici Gregis, volle con esso indicare ed accomunare, non senza un certo sarcasmo, tutti quei sistemi di pensiero volti a “modernizzare” i dettami di una Chiesa che, secondo lui, dovevano invece essere eterni ed intoccabili, mentre gran parte dei “modernisti” non si videro mai neppure come un gruppo unitario.

Le radici del movimento erano da ricercare tanto nel passato che nel presente del sistema culturale europeo-occidentale.

Per quanto riguarda il passato, le radici ideologiche più remote riposavano certamente in quel substrato ideologico che, con l’Umanesimo pre-rinascimentale e rinascimentale, aveva tentato riportare la visione religiosa su un piano più prossimo alle esigenze quotidiane dei fedeli e, con l’Illuminismo, aveva cercato di razionalizzare numerose istanze teologiche.
Se questi elementi ideologici di fondo formavano il background da cui potevano scaturire i sentimenti relativi alla necessità di un cambiamento del monolitico “magisterium” cattolico, furono, comunque, alcuni dati più prossimi e cogenti, sia di stampo sociale che teologico, che portarono allo sviluppo concreto di una richiesta di ammodernamento.

Dal punto di vista sociale, i teologi di maggior rilievo avevano da tempo cominciato ad interessarsi dei sistemi filosofici contemporanei, abbandonando un interesse esclusivo per la Scolastica: questo passaggio aveva permesso loro di confrontarsi con sistemi di pensiero anche non cattolici. Nel continente americano e in particolare negli Stati Uniti, poi, gli ecclesiastici erano circondati da una cultura fondamentalmente laica e secolare, ammantata, fin dal periodo coloniale, da un certo sentimento anti-cattolico che portava ad una specie di necessità da parte loro di inserirsi nella società, anche a costo di mettere in discussione alcuni elementi del loro credo: così, documenti quali il Sillabo degli Errori, che condannava fermamente la separazione Chiesa - stato, iniziarono ad essere sempre più largamente ignorati, mentre l’inserimento di valori secolari negli insegnamenti religiosi permise un sempre maggior contatto con il popolo, provocando, nel tempo, lo sviluppo di un clero la ci scala di valori aveva connotazioni ampiamente laiciste.

Si andò così diffondendo, in America e, di riflesso, in Europa, l’idea che una “evoluzione del dogma” fosse possibile ed anzi auspicabile e che, conseguentemente, anche la morale cattolica potesse subire aggiornamenti, purché non in contraddizione con alcuni fondamentali nuclei di fede.
Tale atteggiamento ebbe larga presa in particolare nei circoli degli intellettuali cattolici francesi e britannici e, seppur con una minor estensione, anche in quelli italiani.

Indubbiamente, su tale visione, così come sul molte idee che portarono alla nascita del Modernismo ebbe, dal punto di vista teologico, una notevole influenza anche il pensiero di alcuni studiosi protestanti, in particolare degli appartenenti alla cosiddetta “Scuola di Tubinga”. Era questa una scuola esegetica, sorta verso la metà del XIX secolo e diretta da Ferdinand Christian Bauer, che, influenzata dalla dialettica hegeliana, tendeva a mettere fortemente in discussione l’elemento soprannaturale nel Vangeli e ad applicate come criterio filologico di autenticità neotestamentaria la presenza di una presunta conflittualità teologica tra Chiesa ebraica primitiva (o “Chiesa petrina”) e Chiesa dei gentili (o “Chiesa Paolina). Frutto principale delle loro ricerche fu la Vita di Gesù di David Friedrich Strauß (1836) ma, ben presto, criticata da più parti per la rigidità dei suoi metodi, la Scuola perse d’importanza anche in ambito evangelico. Ciò che rimase fu, comunque, l’apertura alla possibilità di una lettura contenutistico – evangelica di stampo materialistico, che, indubbiamente, nonostante alcuni filologi modernisti quali George Tyrrel negassero in seguito di aver tratto ispirazione da tale metodologia, influenzò la revisione storico – critica sviluppata da alcune frange cattoliche.

Se, però, un vero e proprio fondatore del “Modernismo” (che, lo si ripete ancora, non fu comunque una corrente unitaria) deve essere rinvenuto, questi altri non può essere che il sacerdote e (che poi, a seguito di scomunica, abbandonò l’abito) e teologo Alfred Firmin Loisy.
Nato nel 1858 e ordinato nel 1879, egli sviluppò il primo elemento di rottura con l’insegnamento cattolico quando, insegnante di ebraico all’“Institut Catholique” di Parigi, pubblicò (1881) le sue famose (o famigerate) “Cinque Tesi”. In esse egli sosteneva che:
il Pentateuco non fosse stato scritto da Mosè;
i primi cinque capitoli della Genesi non potessero essere in alcun modo ritenuti storici;
il Nuovo ed il Vecchio Testamento non avessero lo stesso valore storico;
vi fosse stato certamente uno sviluppo nella dottrina religiosa all’interno delle Scritture;
le Sacre Scritture avessero alcuni limiti che le accomunano a tutti i testi del mondo antico.

Ovviamente, tali tesi (per altro oggi ormai largamente diffuse anche in ambito cattolico) furono immediatamente osteggiate da parte clericale, tanto Loisy dovette abbandonare l’“Istitut” e andare a lavorare presso istituzioni non ecclesiastiche. Dal 1901 , un’altra querelle segnò definitivamente la sua vita: quella contro il testo di Adolf Von Harnack Das Wesen des Christentum. Von Harnak, aveva sostenuto che l’essenza del Cristianesimo risiedeva nella relazione tra il singolo e Dio, rendendo l’istituzione della Chiesa assolutamente non necessaria.

 

Loisy criticò pesantemente questa affermazione, ma lo fece in modo tale da risultare, quasi paradossalmente, ancor più offensivo dell’autore tedesco nei confronti della Chiesa Cattolica: in una serie di testi scritti tra il 1901 e il 1903 (La Religion d'Israel, Etudes Évangéliques, L'Evangile et L'Eglise, Autour d'un Petit Livre, Le Quatrième Evangile) egli, infatti, in parte rifacendosi alle idee del Cardinal Newman, asseriva che fosse inevitabile per la Chiesa formarsi ma che essa non era affatto nei piani di Gesù (che anzi, probabilmente, non era neppure conscio della propria consustanzialità con il Padre) ed era stata modellata dal Concilio di Nicea, tradendo la visione di Cristo sulla Sua missione di Messia ebraico.

Dopo numerosi moniti vaticani, l’aver ribadito tali idee in un seguente Les Evangiles Synoptiques, gli costò la terribile scomunica “Vitandus”, che pose fine ad ogni sua relazione con la Chiesa.

Non miglior fortuna ebbe, più o meno nello stesso periodo, il pensiero, più strettamente legato all’ambito morale, di un altro sacerdote e teologo cattolico, Lucien Laberthonnière, che, prima come direttore degli “Annales de Philosophie Chrétienne”, poi con il suo Éssais de Philosophie Religieuse (1906), condannato e messo all’Indice dalla Chiesa, tentò di formulare concezioni teologiche che si distaccavano dal Magisterium cattolico del tempo.


Nella sua visione religiosa, certamente influenzata dal Blondel, Laberthonnière intuiva la fede come slegata dalla sottomissione a qualunque autorità ma come esperienza intima della Grazia e partecipazione alla Vita Divina (per altro non allontanandosi di molto da quello che sarà uno dei risultati più importanti del Concilio Vaticano II) . In questo senso, ogni legame alle “auctoritas” dei Padri della Chiesa (primo tra tutti Tommaso d’Aquino, da lui definito “mostruosamente aristotelico” nella sua visione di un Dio egoista e impersonale, cosa che provocherà al teologo francese più di un problema con un Vaticano sostanzialmente in piena restaurazione tomista) era da rigettare in nome di una Rivelazione che va ricercata in se stessi, nell’incontro con Dio e non in una gerarchia ecclesiastica troppo spesso confusa con la Chiesa o in una idolatria con le verità dogmatiche che finiscono per nascondere la virtù cristiana per eccellenza della carità.


Di per sé, non vi era nel so pensiero una vera e propria rottura con i dogmi, ma semplicemente un loro superamento in nome di una riscoperta delle radici fondamentali della fede. Era comunque abbastanza per un’accusa di modernismo e una proibizione del Sant’Uffizio (1913) di ogni ulteriore pubblicazione.

Sul piano politico, il nome di maggior spicco del cosiddetto “Modernismo teologico” fu quello del sacerdote italiano Romolo Murri.
Sacerdote dal 1893 e laureato in teologia alla Pontificia Università Gregoriana, Murri fu uno dei fondatori della Fuci e, nel 1901, insieme a Don Luigi Sturzo, dalla Democrazia Cristiana Italiana, nucleo costituente di un formando partito cattolico.


Certamente, all’interno dell’ “Opera dei Congressi” la Democrazia Cristiana era una corrente di notevole innovatività che, seppur autorizzata da papa Leone XIII, non poteva che essere vista con una certa ostilità dal suo ben più conservatore successore papa Pio X, ma la vera causa di rottura tra Murri e Roma fu il dibattito intrapreso a partire dal 1905, sulle pagine di “Cultura Sociale”, tra il sacerdote e il leader socialista Filippo Turati. Murri, fin da subito, mostrò una grande apertura, auspicando un dialogo tra le parti sulle condizioni dei meno abbienti e, soprattutto, in seguito, sul numero del medesimo giornale, scrisse di un “cammino che si potrebbe fare insieme nelle agitazioni popolari, nelle amministrazioni locali ed eventualmente a Montecitorio”.

 

Pio X, che già nel 1903 aveva rilasciato un “Motu Proprio” dal titolo De Populari Actione Christiana Moderanda, il 28 luglio 1906 emanò l’enciclica Pieni l’Animo, in cui vietava la partecipazione del clero a qualunque attività politica non coordinata per via gerarchica e condannava la Lega Democratica Nazionale di cui Murri era il più importante esponente. Murri venne anche più volte richiamato personalmente, ma, nonostante i suoi numerosi atti di sottomissione, continuò ad occuparsi di politica sociale, cosa che gli valse, a fine 1906, una sospensione “a divinis” e, tre anni dopo, in occasione della sua elezione alla Camera, una scomunica definitiva.

Per terminare questa pur non esaustiva disamina delle maggiori personalità del Modernismo (ma molte altre se ne potrebbero menzionare, da Louis Duchesne a Henri Bremond, da Friedrich von Hügel a Ernesto Buonaiuti, da Salvatore Minocchi a Maude Petre), non possiamo non soffermarci brevemente sulla figura del già menzionato filologo e teologo irlandese George Tyrrell.

Nato anglicano e convertitosi al cattolicesimo nel 1879, Tyrrell divenne gesuita dall’anno seguente e fu ordinato sacerdote nel 1891, ma, praticamente da subito, mostrò di essere una voce fortemente “fuori dal coro”. In sostanza estrema, la teoria di Tyrrell era che i tipici studi biblici, in particolare quelli che si proponevano di svelare il “Gesù storico” altro non fossero che il riflesso delle personalità dei vari studiosi, “come se si attingesse ad un pozzo nella cui acqua è riflessa la propria immagine”. In tutti i suoi testi, in particolare in External Religion: Its Use and Abuse, in Through Scylla and Charybdis: or, The Old Theology and the New e nel più tardo The Church and the Future, Tyrrel si scaglia contro le visioni parziali delle varie correnti filosofico – teologico e, soprattutto, trae le conseguenze estreme del suo pensiero proclamando una assoluta libertà di visione personale della fede cristiana.

 

Una frase in particolare di External Religion, “ogni epoca ha, pertanto, il diritto di adattare la sua espressione storico – filosofica del Cristianesimo al pensiero contemporaneo e, quindi, di porre fine a questo annoso, inutile conflitto tra fede e scienza, che è solo uno spauracchio teologico”, scatenò l’ira di Pio X: nel 1906 Tyrrell fu espulso dall’ordine Gesuita e sospeso da tutti i sacramenti l’anno seguente. L’odio ecclesiastico nei suoi confronti arrivò addirittura, alla sua morte, nel 1909, a far sospendere “a divinis” il vescovo di Southwark Peter Amigo, che aveva “osato” tracciare un segno di croce sulla tomba dell’“eretico”!

Al di là delle singole figure, come detto, in fondo, piuttosto distanti ideologicamente tra loro e unite unicamente dalla volontà di trascendere lo “status quo” ecclesiastico in termini di pensiero religioso, possiamo cercare di enucleare, per grandi linee, alcune delle idee fondamentali che mossero il tentativo di ammodernamento che oggi conosciamo come “Modernismo”.

Quattro appaiono essere i centri tematici di maggior rilievo:


la ricerca di un approccio razionale alla Bibbia. Il razionalismo, che fu certamente un elemento fondamentale del Modernismo, imponeva una visione scettica sui miracoli e sulla storicità dei racconti vetero e neo-testamentari. Inoltre, si tentò di valutare le Scritture basandosi unicamente sui Testi e lasciando da parte le precedenti letture dei Padri della Chiesa e del Magisterium. Si trattava di un metodo di origine chiaramente protestante, legato, per molti versi, al concetto di “Sola Scriptura”, ma fu considerato da numerosi esegeti cattolici il metodo migliore per ottenere una conoscenza di prima mano sulla reale via verso la salvezza;


lo sviluppo di una tendenza secolarista e l’inglobamento di ideali illuministici. Possiamo pensare al “secolarismo” come quella tendenza che vede come via più eticamente lecita per approcciare campi quali la politica e la società quella derivante dalla sintesi dei sistemi morali di più gruppi, anche religiosamente distanti tra loro. L’ovvio corollario di questo stile di giudizio è la necessaria, netta separazione tra stato e Chiesa, con una chiara distinzione tra ideologie politiche e credi religiosi che cozzava apertamente con il sentire dei teologi cattolici coevi riguardo al fatto che ogni azione sociale dovesse essere organizzata tenendo presente il fine ultimo della salvezza. Quelle secolariste erano idee già rinascimentali e legate alla rivoluzione scientifica, ma la loro diffusione era stata particolarmente capillare durante l’illuminismo, in particolare con le varie società segrete: era naturale che fossero circolate anche tra le file ecclesiastiche, portando con sé un ideale che appariva quanto di più lontano dal sistema teocratico: quello di democrazia;


l’innesto, in campo teologico, del pensiero filosofico contemporaneo. Filosofi come Kant e Bergson divennero pietre miliari della costruzione modernista, in particolare in relazione al tentativo di sincretizzare il loro pensiero con quello cattolico, come era avvenuto in passato con il platonismo e l’aristotelismo nella scolastica. Il risultato di sintesi fu lo sviluppo di alcuni punti fermi completamente nuovi, in particolare il concetto che la religione fosse, in fin dei conti, una questione legata soprattutto a emozioni irrazionali e che un suo studio non potesse prescindere dalla contestualizzazione storica della nascita di alcuni insegnamenti poi ritenuti eterni. In questo modo, la teologia perse il suo ruolo “scienza regina”, mentre gli studi si portarono verso posizioni relativistiche basate sulla percezione del sacro del singolo individuo e delle singole società;


infine, e siamo qui al cuore stesso del Modernismo, l’idea che i dogmi potessero evolvere nel tempo. Questo tratto è assolutamente peculiare anche nel panorama della eresie. Fino a quel momento, un eretico avrebbe pensato di essere l’unico depositario di verità eterne e lo scontro la le sue “verità” e quelle, altrettanto eterne, della Chiesa avrebbe portato inequivocabilmente o a uno scisma o a una scomunica, ma con questo nuovo sistema di pensiero, tutto si faceva molto più fluido, relativo al periodo storico e, nella visione della Chiesa, passibile di inglobare qualunque nuova stortura all’interno del Magisterium (non a caso, proprio per questo, Pio X definì il Modernismo “sintesi di ogni eresia”).

Sempre al di là delle prese di posizione contro i singoli esponenti della corrente modernistica, la Chiesa Cattolica da subito prese posizioni molto nette contro qualunque sistema teologico si allontanasse da quella che era ritenuta essere la linea ortodossa.

Nel 1893, Papa Leone XIII, con la enciclica Providentissimus Deus, affermò la legittimità di ogni critica biblica solo fino al punto n cui essa fosse mossa da spirito di fede e, nel 1903, lo stesso Pontefice costituì una “Pontificia Commissione Biblica” proprio per vigilare sugli studi teologico – filosofici ed assicurarsi che essi venissero condotti nel rispetto delle dottrine cattoliche riguardo a ispirazione e interpretazione scritturale.

Il suo successore, Pio X, fu, come visto, il primo a identificare il Modernismo come movimento unitario e a condannarlo ripetutamente sia in relazione ai suoi scopi che alla sue idee. La sua principale fonte di preoccupazione era che gli aderenti al movimento si ritenessero cattolici pur credendo in cose nettamente distanti da quelle insegnate dalla dottrina e fu, inizialmente, proprio questa preoccupazione che portò, nel luglio 1907, il Sant’Uffizio a pubblicare il documento Lamentabili Sane Exitu, in cui si segnalavano ben 65 proposizioni moderniste come insanabilmente eretiche.

Nel settembre dello stesso anno, il Papa promulgò l’enciclica Pascenti Dominici Gregis, in cui la condanna del Modernismo risultò definitiva con l’imposizione di un “Giuramento Obbligatorio contro il Modernismo” a tutti i vescovi, i preti e gli insegnanti cattolici (giuramento che sarà abolito solo nel 1967 da Papa Paolo VI).

Per rendere ancora più rigida la posizione ecclesiastica in questo senso, Monsignor Umberto Benigni organizzò, attraverso una rete di contatti personali con studiosi e teologi, un gruppo (non ufficiale) di censori, chiamato “Sodalitum Pianum”, che riportassero ogni deviazione modernista nell’insegnamento di chicchessia. Tale gruppo, noto in Francia anche come “La Sapinière”, utilizzò ogni metodo (dalla delazione all’ammonimento quasi ricattatorio) per imporre le proprie idee e, probabilmente, fece più male che bene all’immagine della Chiesa Cattolica. Di fatto, comunque, con il regno di Paolo Vi, il termine modernismo cadde largamente in disuso, sostituito, nelle bolle ufficiali, da più precisi riferimenti alle accuse mosse ai singoli testi o ai singoli teologi (secolarismo, relativismo, liberalismo, etc.) ma non è mai scomparso del tutto, tanto da essere ancora usato, a tutto’oggi, come termine spregiativo e accusatorio dai critici più conservatorie tradizionalisti all’interno della Chiesa.
 


Riferimenti bibliografici:

 

I.Biagioli, F. Laplanche, C. Langlois (a cura di), Autour d'un Petit Livre. Alfred Loisy Cent Ans Après, Brepols 2007
F. L. Cross (a cura di), The Oxford Dictionary of the Christian Church, Oxford University Press 2005
G. Fanello Marcucci, Storia della FUCI, Studium 1971
M. Guasco, Modernismo, Ed. Paoline 1995
R.Hales, The Catholic Church in the Modern World, Doubleday 1958
Leone XIII, Providentissimus Deus, Ed. Vaticana, 1893
Loisy, L'Évangile et l'Église, Picard 1902
Loisy, The Gospel and the Church, Fortress 1976
M. O’Connell, Critics on Trial : An Introduction to the Catholic Modernist Crisis, Catholic University of America Press 1994
L. Pazzaglia, Rinnovamento Religioso e Prospettive Educative in Laberthonnière, ISU-UC 2005
Pio X, Pascendi Dominici Gregis, Ed. Vaticana 1907
N. Sagovsky, On God's Side: A Life of George Tyrrell, Clarendon Press 1990


 

 

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