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N. 58 - Ottobre 2012 (LXXXIX)

La lezione dell’europeismo
La comunanza d’interessi economici come base per la pace

di Giuseppe Formisano

 

Partiamo subito da una costatazione: l’Europa è sotto attacco! Non solo dai mercati finanziari, s’intende, che mettono a durissima prova alcuni Stati dell’Europa geografica e politica, anzi, economica. Sì perché quando parliamo di Europa istituzionale, com’è molto noto, si indica l’Europa unita economicamente, non politicamente dove la via unitaria pare sia nascosta o difficile da trovare. L’Europa è sotto attacco anche dagli europei stessi che non credono molto nel progetto comunitario, denigrandolo e ritenendolo anche pericoloso perché implica di mettere insieme interessi di vari Stati e dunque realtà diverse.

Da quando è iniziata la crisi economica-finanziaria e soprattutto da quando si è poi manifestata in tutta la sua forza la supremazia della Germania della UE - essendo lo Stato teutonico quello che più contribuisce con la propria economia al budget dell’Unione e ai progetti degli altri ventisei Stati, ed in particolare degli sedici che con essa condividono la moneta - la politica comunitaria è diventata un argomento a più larga diffusione nell’opinione pubblica del vecchio continente.

Ciò, però, non basta ancora a far sentire europei gli europei come si evince dalla bassa affluenza alle urne nelle elezioni per il Parlamento Europeo che si svolgono ogni cinque anni dal 1979.

C’è disaffezione, soprattutto in Italia, alla politica interna, immaginiamo poi per quella estera-continentale che, proprio per il forte intreccio economico con il quale ogni Stato si è legato ad un altro, è invece molto “interna” nel senso che non è - o non dovrebbe essere - distante da ogni cittadino di un paese membro perché le decisione prese a Bruxelles o dalla BCE condizionano le singole vite.

Forse l’hanno capito bene i greci che stanno provando sulla propria pelle e pagando con il proprio sangue le decisioni prese da questa famigerata e temibile Troika.

Negli ultimi mesi i rapporti tra gli Stati e i cittadini europei non sono stati tra i più aurici; l’idea, per gli Stati del nord, che quelli del sud sono spendaccioni, corrotti (e su questo, per l’Italia soprattutto, hanno pienamente ragione), che non meritino di essere aiutati e inaffidabili; viceversa, quelli del nord sarebbero presuntuosi, soprattutto la Germania che evoca - in particolare per il carattere intransigente dei tedeschi - ricordi di un passato lontano ma non troppo per due guerre mondiali del secolo scorso, entrambe causate dalla furia conquistatrice tedesca.

Spesso si sente dire che l’attuale crisi economica sia la peggiore dal secondo dopoguerra e probabilmente questo è vero; come ormai gli storici hanno potuto appurare, la guerra fredda che seguì quella mondiale del 1939-1945 ha avuto come effetto anche il benessere, soprattutto nell’Europa occidentale sotto l’egidia degli statunitensi che utilizzarono la diffusione dello sfarzoso stile di vita del sogno americano con il suo consumismo come antidoto al comunismo.

Proprio perché è possibile tracciare dei parallelismi con quella condizione passata, bisognerebbe, come fu fatto straordinariamente allora da politici e tecnici, fare un forte sforzo per spegnere il fuoco del nazionalismo e dell’eurofobia.

L’italiano De Gasperi, il tedesco Adenauer (“la vecchia volpe”), i francesi Schuman e Monnet e il belga Spaak, capirono che per creare un’Europa non più in guerra - com’era praticamente dai tempi dei romani - bisognava mettere da parte tutti i malumori e gli odi reciproci che avevano scatenato guerre a fatto scorrere molto sangue, (i paesi del Benelux poteva rinfacciare la Germania di averli invasi, I tedeschi accusare gli italiani di aver lasciato l'alleanza militare come era già avvenuto nel 1915) ma soprattutto, bisognava mettere in comune gli interessi, quelli che sostanzialmente mettono in conflitto gli Stati quando sono divergenti.

è questo che devono ricordare (o forse imparare e capire) gli antieuropei: il progetto di creare un’Europa unita non è perfetto, ha dei difetti e - citando ancora il caso greco - non sempre democratico visto che i cittadini ellenici stanno sopportando pesi non creati da loro che i propri governi, che si sono succeduti in breve tempo, hanno loro imposto, ma che a loro volta sono stati imposti dall’Europa, quindi chi paga non ha deciso per il proprio destino; però, è innegabile, il progetto europeo ha il grandissimo merito di aver portato la pace nel nostro continente che ha creato ben due guerre che hanno poi preso una dimensione mondiale, ma erano guerre europee.

Gli storici hanno il compito di far ricordare cos’è stata la guerra, le improvvise fughe al suono di una sirena, la fame, la morte e la deportazione. Se oggi tutto questo non c’è più lo dobbiamo a chi nella seconda metà negli anni ’40 e negli anni ‘50 ha messo da parte tutto il male recente, dando un’Europa diversa ai propri discendenti.

Da questa situazione si deve trarre un’importante lezione: la comunanza d’interessi,  la comunanza dell’economia porta benefici. Se oggi politicamente siamo uguali tanto da essere un riconoscimento politico messo per iscritto (riconoscimento calpestato spessissimo), lo dobbiamo alla rivoluzione francese, rivoluzione borghese, disse Marx, e infatti è proprio per questo che noi oggi ancora non abbiamo un’uguaglianza economica; è questo il prossimo passo che non l’Europa, ma l’umanità intera, dovrà compiere: imparare a ridistribuire i beni e metterli in comune, così da creare non solo un’Europa con Stati che non più in guerra fra loro, ma un pianeta Terra in pace.

Questo progetto, diciamolo, non è umano; però cent’anni fa chi avrebbe mai detto che l’Europa si sarebbe trovata a questo punto? A differenza di questo progetto, però, bisogna fare in modo non si arrivi a ciò solo dopo altri conflitti distruttivi. 

 



 

 

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