arte
CONQUISTA DELLO SPAZIO E INFLUENZE
SULLA MODA
КОСМИЧЕСКАЯ ГОНКА IN URSS / PARTE
II
di Denisa
Kucik & Leila Tavi
Nel 1962 Pavel Klušancev (Па́вел
Влади́мирович Клуша́нцев, 1910–1999)
ruppe la tradizione del cinema di
fantascienza con finalità educative in
Unione Sovietica con I sette
navigatori dello spazio,
conosciuto anche come Il pianeta
delle tempeste (Планета бурь
/ Planeta bur’), che oltre ad
avere effetti speciali molto sofisticati
per l’epoca, presentava alcuni aspetti
innovativi nella sceneggiatura, con un
approccio umoristico alla storia e con
una morale politica riguardo al
confronto con gli Stati Uniti sulla
corsa allo spazio. Il film è ispirato
all’omonima novella di Aleksandr
Kazancev (Алекса́ндр Петро́вич Каза́нцев,
1906–2002).
Come nel caso di Stazione spaziale
K9 (Небо зовет) del 1959,
uno dei primi film sovietici di successo
sulla space race, per la regia di
Aleksandr Kozyr’ (Александр Фомич
Козырь, 1903-1961) e Michail Karyukov
(Михаи́л Фёдорович Карюко́в, 1905),
Planeta bur’ fu concepito come film
di fantascienza per evitare problemi con
la censura, come sottolineato
dall’inizio del film che inquadra la
filmografia su Venere come frutto
dell'immaginazione, non avendo a
disposizione in quegli anni sufficienti
informazioni scientifiche sul secondo
pianeta del sistema solare. Klušancev
auspicava comunque che gli scienziati
sovietici sarebbero riusciti in breve
tempo a esplorare Venere.
Il film si apre con tre astronavi,
Vega (Вега), Sirius (Сириус)
e Capella (Капелла), che si
dirigono verso Venere in una spedizione
sovietico-statunitense. All’inizio del
film la Capella si distrugge, colpita da
un asteroide, così, la Vega e la Sirius
devono aspettare in orbita intorno a
Venere una nave spaziale sostitutiva, l’Arcturus
(Арктур), perché la missione
richiede tre astronavi: due devono
scendere su Venere, mentre la terza
astronave deve rimanere in orbita per
controllare la situazione. L’Arcturus ha
bisogno di circa due mesi per
raggiungere Venere, allora gli
astronauti rimasti in vita decidono di
esplorare comunque il pianeta.
Vediamo in questa foto di scena come
l’abbigliamento dell’equipaggio non sia
estroso e dai colori sgargianti, ma
riporti alla mente il genere sobrio e
pratico della tuta degli operai in
fabbrica. Tra i partecipanti alla
missione troviamo: Il’ja Veršinin
(Илья Васильевич Вершинин, interpretato
da Владимир Николаевич Емелья́нов /
Vladimir Emel’janov, 1911—1975), il
comandante della Sirius; Roman Bobrov
(Роман Бобров, interpretato da Гео́ргий
Степа́нович Жжёнов / Georgij Žžjonov,
1915-2005), l’ingegnere della Sirius;
John (робот Джон, interpretato da
Борис Александрович Прутковский / Boris
Protkovskij, 1929—1976), il robot dell’austronauta
e ingegnere statunitense Allan Kern
(Аллан Керн, interpretato da Георгий
Николаевич Тейх / Georgij Teich,
1906—1992), a bordo della Vega.
John il robot avrebbe dovuto andare in
perlustrazione da solo su Venere, ma il
radiotelegrafista della Sirius,
Alyoša (Алёша, interpretato da
Геннадий Вернов), insiste per
partecipare all’esplorazione insieme al
geologo che è al comando della Vega,
Ivan Ščerba (Иван Щерба,
interpretato da Ю́рий Дми́триевич Сара́нцев
/ Yuri Sarantsev, 1928—2005).
L’astronauta statunitense, insieme alla
sua invenzione John, sceglie di scendere
su Venere in aliante, mentre i sovietici
utilizzano direttamente la nave spaziale
Sirius. L’unica donna della missione,
Maša Ivanova (Маша Иванова,
interpretata da Кюнна Николаевна
Игнатова / Kjunna Ignatova, 1934—1988)
rimane in orbita nella Vega.
L’abbigliamento dell’unica protagonista
donna rappresenta una delle poche note
di colore, con il giallo caldo del
dolcevita che Maša indossa, che crea una
sensazione di tepore in un’ambientazione
fredda e lunare.
In Occidente il pull a collo alto
rappresentava negli anni Sessanta
l’emancipazione femminile e in Gran
Bretagna la sua diffusione era dovuta al
movimento di scrittori della metà degli
anni Cinquanta soprannominato
Angry Young Men, mentre negli
Stati Uniti era un capo amato dai
rappresentanti della Beat Generation
e del Black Panther Party,
l’organizzazione rivoluzionaria
afroamericana.
Poco dopo il loro atterraggio, Maša
perde il contatto con gli altri
astronauti e, rimasta da sola,
s’interroga se è meglio raggiungere i
compagni su Venere per aiutarli o
attendere in orbita che il contatto si
ristabilizzi.
Su Venere i cosmonauti devono
affrontare creature e un ambiente ostili.
Il pianeta è coperto da una vegetazione
simile alla giungla e da fiumi di lava,
popolato da dinosauri e altre bestie
preistoriche.
La spedizione può essere interpretata
come un'allegoria del popolo
sovietico, che è solidale,
nonostante le avverse forze esterne, ma
allo stesso tempo ha uno spirito
pionieristico. Gli astronauti hanno,
come ufficiali, disobbedito agli ordini
dei superiori di non esplorare Venere
prima dell’arrivo della nave spaziale di
riserva, ma allo stesso tempo scendono a
perlustrare il pianeta mossi dalla
curiosità scientifica.
La scelta stilistica per le tute
spaziali conferma la tendenza
all’utilizzo di tessuti tecnici e comodi
come calzamaglie, funzionali, con la
possibilità di appendere corde per
scalare, a cui però si abbina una parte
rigida simile a uno scafandro di un
palombaro.
I cosmonauti sovietici discutono insieme
prima di correre il rischio di
disobbedire agli ordini imposti dalla
madre patria, in un gesto che sottolinea
nei sovietici la tendenza al
collettivismo, mentre l’astronauta
statunitense prende la sua decisione in
autonomia. Andare alla scoperta di un
pianeta inesplorato sembra ai sovietici
un giusto rischio in nome del progresso
scientifico.
La scelta di non aspettare i rinforzi
dalla Terra, rappresenta la natura
eroica del cosmonauta sovietico, che
è pronto al sacrificio della sua vita
per il progresso a beneficio della
collettività. Questo tratto comune a
molti film di fantascienza sovietici, li
distingue da quelli statunitensi, che
presentano di solito un mostro, un
alieno o un’altra forza esterna da
combattere in ambientazioni
apocalittiche. Un genere distopico che i
registi sovietici associano a una
decadenza morale tipica dell’Occidente.
In Planeta bur’ il conflitto è
rappresentato invece da forze fuori dal
controllo dei cosmonauti: l'asteroide
che distrugge Capella, la flora e la
fauna venusiane, oltre alle difficoltà
tecniche che incontrano. Eppure, a
un’analisi più profonda, l'ambiente
"selvaggio" in cui i protagonisti della
storia sono immersi può rappresentare
una metafora delle potenze occidentali,
il cui capitalismo è visto come una
conseguenza negativa dei primordiali
istinti dell'umanità.
Il progresso tecnologico e
l’emancipazione femminile
sono due temi portanti del film. John il
robot è una semplificazione dell’ampio e
complesso dibattito sulla cibernetica
tra gli scienziati sovietici. Nel film
Allan è designato dall'Associazione
Internazionale degli Scienziati per
testare la sua invenzione, John, durante
la missione su Venere.
Il robot ha una lontana somiglianza con
Der Eisenhans, il
protagonista di una fiaba dei fratelli
Grimm, che nella versione inglese prende
il nome di Iron John; è
simile nell'aspetto a Robby the
Robot del film statunitense
The Forbidden Planet del
1956, diretto da Fred M. Wilcox
(1907–1964). I due robot hanno in comune
una cupola di vetro come il casco e
artigli a tenaglia per le mani, ma a
differenza di Robby, John ha una forma
più spigolosa e presenta degli artigli
come arti inferiori al posto delle
scarpe rotonde di Robby.
Anche nella rappresentazione del robot
notiamo quindi una certa differenza tra
URSS e USA e l’idea un futuro prossimo
caratterizzato da creazioni di
cibernetica.
Negli anni '60 il governo sovietico non
considerava più la cibernetica come "pseudoscienza
borghese", ma in Planeta Bur’
gli scienziati sovietici sono contrari
ad affidare l’esplorazione di Venere a
un automa, mentre sono ben propensi alla
collaborazione e al confronto con il
collega statunitense.
John assiste i cosmonauti in molte
occasioni, ma non è privo di difetti,
insinuando l’idea nello spettatore che i
robot potrebbero non essere così
promettenti come sostengono gli
scienziati in Occidente. Comico e
maldestro nella sua rappresentazione,
in una scena del film i cosmonauti
cercando di comunicare con il robot, che
non reagisce alle loro sollecitazioni e
si chiude in un mutismo, suonando musica
jazz. In un’altra scena un astronauta
sovietico osserva che John risponde ai
comandi soltanto se gli sono formulati
con gentilezza.
Alcuni critici interpretano il robot
John come una metafora degli Stati Uniti,
che agli occhi dei sovietici, secondo la
morale del film, devono essere messi
alla prova come partner nella conquista
dello spazio, anche se alla fine del
film il robot si sacrifica e resta sul
pianeta, perché la Sirius può portare
indietro soltanto cinque astronauti e
l'aliante non può tornare in orbita.
John si sacrifica aiutando Allan e Ivan
il geologo ad attraversare la lava
incandescente per salire a bordo della
Vega.
Per quanto riguarda il ruolo della
donna, durante la loro esplorazione su
Venere, i cosmonauti sentono la voce di
una donna ma non riescono a individuarne
la provenienza. Alyoša possiede una
pietra che ha trovato in fondo al mare
di Venere, che alla fine del film cade
dalla sua borsa e si apre in due. La
pietra si rivela essere una scultura del
viso di una donna dai tratti atipici per
la Terra.
Dopo il decollo, una donna vestita di
bianco emerge dal solco che la nave
spaziale ha lasciato. Non possiamo
vedere il suo viso, solo il riflesso
della figura nell'acqua, ma la figura
femminile alza le mani e canta con
ardore.
Nella scena finale del film una
figura misteriosa si riflette in una
piscina di acqua naturale su Venere,
lasciando intravedere la possibilità di
forme di vita umanoidi fuori dai confini
della Terra. Il costume scelto per la
misteriosa figura femminile è in questo
caso tradizionale, ricorda il peplo
della Grecia classica nella forma e nel
bianco candore.
Come John, anche la protagonista
femminile del film, Maša, si sacrifica
per la buona riuscita della missione.
Sebbene abbia il fondamentale ruolo di
intermediaria tra i suoi colleghi su
Venere e la Terra, non fa parte della
spedizione ed è come se rimanesse
indietro, impossibilitata a vivere
l’esperienza dei suoi compagni di
viaggio, nonostante la sua esperienza in
altre missioni importanti come quella
dello Sputnik.
ll suo sacrificio rappresenta quello di
molte scienziate sovietiche e
occidentali che negli anni Sessanta
ancora avevano un ruolo secondario nella
ricerca, anche se con la morte di Stalin
il culto della domesticità fu superato,
ma la Doppelbelastung era
il peso da pagare per l’emancipazione,
che rispetto a quella delle donne
occidentali non prevedeva una “questione
femminile” da portare all’attenzione del
governo.
Nel film Maša sacrifica il suo desiderio
di essere la prima donna a mettere piede
su Venere, ligia al dovere. L’eroica
cosmonauta incarna i tipici valori
culturali femminili sovietici, quali
lealtà e abnegazione, ma resta relegata
a un ruolo “domestico”, con la Vega che
rappresenta per tutti gli astronauti su
Venere durante tutta la spedizione un
quartier generale, un punto fisso, una
“casa”, con una moderna Penelope,
riflessiva e premurosa che aspetta il
loro ritorno dall’avventura venusiana.
Il regista del film Klušancev mette in
scena queste due figure incomprese e
oppresse in modo non convenzionale
rispetto ai precedenti film sovietici
sulle avventure spaziali,
reinterpretandoli e discutendo allo
stesso tempo, con leggerezza e senso
dell’umorismo, di problemi scientifici e
culturali all’interno della società
sovietica.
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