arte
CONQUISTA DELLO SPAZIO E INFLUENZE
SULLA MODA
КОСМИЧЕСКАЯ ГОНКА IN URSS / PARTE
I
di Denisa
Kucik & Leila Tavi
Il presente
articolo è il primo di una serie in cui
sarà analizzato il rapporto tra moda e
film di fantascienza sovietici nel
periodo dello space race,
ovvero della corsa alla conquista dello
spazio tra U.S.A. e U.R.S.S. La
Космическая гонка (kosmičjeskaja
gonka) in Unione Sovietica era legata a
doppio filo con la propaganda, che ha
contribuito a creare il mito dello
spazio tra i cittadini sovietici,
soprattutto attraverso opere d’arte e
prodotti dell’audiovisivo che avevano
come scopo l’idealizzazione delle gesta
dei cosmonauti.
In una sorta di escapismo, le
rappresentazioni culturali sovietiche
dell’era spaziale erano intrise da un
senso di irrealtà, così come la moda che
allo spazio si ispirava e che prendeva
spunto dai romanzi e dai film di
fantascienza, le cui ambientazioni, in
una realtà lontana e a dimensione
personale, permettevano alla mente di
spaziare al di là del razionalismo, alla
ricerca di se stessi, in una dimensione
priva di un linguaggio autorevole e
statico o di una ricerca della
conoscenza scientifica. Per poter
comprendere questo aspetto originale,
straordinario e diverso dalla
quotidianità, legato alla moda
futuribile e al genere Фанта́стика
(fantástika), è utile analizzare
cosa la moda rappresentasse nella vita
di tutti i giorni nella società
sovietica degli anni Sessanta del XX
secolo.
Lo scrittore Nikolaj Vasil’evič
Verzakov (Николай Васильевич
Верзаков, 1932-2000) si interrogò, in un
articolo pubblicato nel 1962 nel
quotidiano Златоустовский рабочий
(Zlatoustovskij rabočij, che
possiamo tradurre come Il lavoratore
di Zlatoustovsk, una cittadina della
Russia estremo-orientale, situata nella
oblast’ dell’Amur.), se fosse possibile
paragonare il progresso nel campo della
moda al progresso in ambito scientifico
e tecnologico, arrivando alla
conclusione che non bisognasse dare
troppa importanza al taglio di un
pantalone o alla forma di un bottone su
una giacca, poiché la moda doveva essere
razionale, espressione della cultura e
dell’etica di una società. L’opinione di
Verzakov si rifaceva alle principali
teorie sulla moda in voga nell’Unione
Sovietica negli anni Sessanta del secolo
scorso. Né gli stilisti sovietici né la
gente comune avrebbero dovuto seguire
ciecamente la moda del momento,
prediligendo la sobrietà e la semplicità
a qualsiasi tipo di stravaganza e di
capriccio nel modo di abbigliarsi. In
Unione Sovietica si guardava con
sospetto ai repentini cambiamenti nella
moda, perché avrebbero potuto
rappresentare un sovvertimento
dell’ordine costituito.
Dall’altra parte della Cortina di Ferro,
invece, avveniva un cambiamento radicale
negli usi e nei costumi sociali: la
televisione faceva il suo ingresso nelle
case, si diffondeva la musica pop tra i
giovani, che potevano sfruttare i metodi
contraccettivi per prolungare il periodo
di formazione e di spensieratezza prima
di mettere su famiglia. I cambiamenti
sociali in corso in Occidente di
quell’epoca crearono terreno fertile per
le contestazioni giovanili, così una
nuova attenzione alla moda dedicata ai
giovani distinse questo periodo, che
guardavano alla Gran Bretagna come
esempio a cui ispirarsi. Anche i
couturier di Parigi sostituirono il
concetto di “classico” con quello di
“contemporaneo”, che si ispirava alla
conquista dello spazio e
all’abbigliamento del futuro, come i
Go-go boots di André
Courrèges o gli abiti a righe dai
tagli trapezoidali di Pierre Cardin.
Il rapido cambiamento nel gusto di
vestire in Occidente in quegli anni
dimostrò che la moda era un fenomeno
della modernità che non poteva
attecchire nella società socialista, in
assenza di solide norme e standard di
comportamento, perché il cittadino
socialista aveva la possibilità, secondo
i teorici del regime, di esprimere
meglio la sua individualità in altri
campi della vita sociale, meno frivoli
della moda, utilizzata in Occidente per
esprimere un personale diritto
all’autonomia attraverso una serie di
simboli esterni e distintivi. In
controtendenza, i filosofi sovietici che
hanno analizzato il fenomeno della moda
negli anni Sessanta del secolo scorso
non hanno fatto esplicito riferimento al
maggiore grado di uguaglianza tipico del
socialismo, che potrebbe portare a
limitare il bisogno di distinguersi
dagli altri attraverso la moda, come
teorizzato dal sociologo Georg Simmel,
per il quale le donne sarebbero state
più attratte e dipendenti dalla moda
rispetto agli uomini di quel tempo,
perché con meno possibilità di
distinguersi tramite altri mezzi e in
altri ambiti sociali.
Nel volume del 1973 Мода–за и
против (Moda-za i protiv,
tradotto come La moda: i pro e
i contro) pubblicato a Mosca, a cura
di Valentin Ivanovič Tolstȳkh
(Валэнтин Ивановичх Толстй̄kх), il
filosofo non attribuisce una vera
funzione sociale alla moda, nella
convinzione che la società socialista il
rapporto tra l’individuo e la
collettività fosse privo di tensioni o
contrasti, a differenza di quanto,
invece, sosteneva Simmel, per il quale
le tensioni potevano, tuttavia, essere
risolte solo provvisoriamente nella
società moderna, anche attraverso la
funzione che la moda ricopriva
all’interno della società occidentale.
Secondo Simmel una soluzione permanente
per la risoluzione dei conflitti sociali
non era possibile e, quindi, l’individuo
moderno avrebbe dovuto imparare a vivere
con l’ambivalenza della modernità.
Gli anni Sessanta del XX secolo furono
contraddistinti dalla contrapposizione
anche in termini culturali tra comunismo
e capitalismo. In politica
internazionale la costruzione del muro
di Berlino nel 1961 fu la tangibile
espressione della “guerra fredda” tra
Est e Ovest, ma allo stesso tempo la
politica della massive retaliation
nei confronti dell’URSS, inaugurata nel
1954 dal conservatore John Foster
Dulles (1888-1959), fu ammorbidita
già nel 1957 e, quando le tensioni
diplomatiche tra URSS e USA sfociarono
nella crisi dei missili di Cuba del
1962, il presidente statunitense John
F. Kennedy (1917-1963) abbandonò la
politica della rappresaglia massiccia in
favore di una flexible response,
nel tentativo di evitare una guerra
nucleare. Nel 1968 una nuova crisi
diplomatica tra le due superpotenze fu
provocata dall’invasione sovietica della
Cecoslovacchia del 1968.
La competizione tra Stati Uniti
d’America e Unione Sovietica non era
soltanto a livello militare, ma
tecnologica per la conquista dello
spazio. Nel 1961 il cosmonauta sovietico
Jurii Gagarin (Юрий Алексеевич
Гагарин, 1934-1968) riuscì nell’impresa
di orbitare intorno alla terra in un
satellite, diventando il primo uomo
nello spazio. Per un decennio la “corsa
allo spazio” fu uno dei terreni di
scontro tra le due superpotenze, fino a
che la navicella statunitense Apollo 11
effettuò l’allunaggio nel 1969, con
Neil Armstrong (1930-2012) che fu il
primo uomo a posare piede sulla
superficie della Luna. La competizione
tra URSS e USA nella conquista dello
spazio ispirò una serie di film cult di
science-fi, tra cui ricordiamo il
capolavoro di Stanley Kubrick 2001: A
Space Odyssey (1968). Michele
Infante descrive tale Science
Fiction’s imaginary come “able
to create a new mass aesthetic based on
the Benjamin «concept of sex-appeal of
inorganic», that we can call the
cybercamp aesthetic” (Infante, 2015, p.
9).
In Occidente la Science Fiction’s
fashion fu immediatamente
commercializzata e rappresentò negli
anni a venire la base con cui
sottoculture e movimenti artistici
connotarono il loro peculiare modo di
vestirsi. In particolar modo, il
glam rock, gli skinheads,
i rude boys, i
greasers, e i mods
hanno influenzato la moda punk, esplosa
negli anni Settanta e molti stilisti
affermati, tra i quali Vivienne
Westwood e Jean Paul Gaultier,
hanno usato il cyberpunk ed
elementi tecnologici nella loro
produzione, così l’abbigliamento punk,
che era stato proposto per la prima
volta sulle passerelle dell’alta moda e
quindi con un’accurata manifattura,
divenne un prodotto di fast fashion che
si poteva trovare nei mercatini
londinesi o nei negozi di dischi fino a
tutti gli anni Ottanta, grazie anche
alla rilevanza che questo stile
alternativo ebbe nelle riviste di moda e
sui media in generale. |