arte
МОДА БУДУЩЕГО
LA NASCITA DELLA MODA SOVIETICA
ALL'INIZIO DEL XX SECOLO
di Denisa Kucik & Leila Tavi
All’inizio del XX secolo la storia della
moda in Unione Sovietica
iniziò indissolubilmente con l’arte, con
alcune figure di spicco delle
avanguardie russe, che si cimentarono
anche con l’ideazione di tessuti e di
abiti. Grazie alla sperimentazione di
colori, di forme, di tecniche e di
materiali inconsueti, ispirata alle
correnti del Futurismo e del Cubismo, la
creatività degli artisti russi
introdusse un approccio tecnologico, che
ritroveremo negli anni Cinquanta e
Sessanta, quando, per dimenticare gli
orrori e gli stenti della Seconda Guerra
Mondiale, analogamente al contrapposto
Occidente, si ritrovò nuovamente in
arte, e di conseguenza nella moda,
quella voglia pioneristica di
sperimentare, abolendo i confini
spazio-temporali.
Aleksandr Rodčenko
(Александр Михайлович Родченко,
1891-1956) può essere considerato una
figura chiave nella vita culturale
dell’Unione Sovietica di quell’epoca.
Con i produttivisti, il primo nucleo di
artisti del movimento del
Costruttivismo (Конструктиви́зм),
Rodčenko cercò di incorporare il design
nella vita quotidiana nella nuova
società, creando tute che chiamava
“abbigliamento da produzione”. Ha anche
creato disegni tessili che incorporano
motivi geometrici e guilloché
intrecciati, che si ripetono con un moto
ondulatorio.
Le donne ebbero un ruolo importante
nella storia della moda durante i primi
anni del socialismo russo,
contrassegnati da ideali utopici, che
hanno fortemente influenzato le designer
dell’epoca. Ricordiamo Ljubov’ Popova
(Любовь Сергеевна Попова, 1889-1924),
appartenente al movimento artistico del
Costruttivismo, che oltre ad aver
dipinto molti quadri, ideò tessuti,
costumi teatrali e capi d’abbigliamento.
I motivi più ricorrenti nella sua
produzione erano grandi quadrati di
tessuto, ripetuti in un semplice schema,
che riproducevano l’estetica del
Costruttivismo. Secondo i dettami di
questa corrente artistica,
l’abbigliamento come forma d’arte
avrebbe dovuto avere un impatto diretto
sulle masse (Cole & Deihl, 2015).
3
2
Tre modelli di Ljubov’ Popova, 1923-1924
Tra le pittrici e che si cimentarono nel
fashion design va annoverata
anche la moglie di Rodčenko, Varvara
Stepanova (Варва́ра Фёдоровна Степа́нова,
1894-1958), che aveva nella creazione di
moda un approccio simile a quello di
Coco Chanel, si preoccupò principalmente
dell’armonia tra struttura e forma
nell’ideazione dei suoi capi,
giustapponendo i valori rivoluzionari
alla tradizione estetica di stampo
occidentale che aveva caratterizzato la
moda fino ad allora in Russia. Come
Popova, la consorte di Rodčenko aveva
privilegiato dal 1921 la creazione di
abbigliamento utilitaristico e design
tessile (English, 2013).
2
Обложка журнала «Леф» № 2 (6) за 1924
год
Prima ancora dei Costruttivisti russi,
il futurista Giacomo Balla era
convinto che il vestito fosse in grado
influenzare la psiche di chi lo indossa.
Nel manifesto che pubblica il 20 maggio
del 1914 dal titolo Le vêtement
masculin futuriste. Manifeste
utilizza le sue creazioni per rendere le
persone più allegre e gli abiti più
fantasiosi; teorizza anche il Vestito
Trasformabile, un abito che si può
trasformare attraverso l’applicazione di
stoffe di forme e colori diversi, con
bottoni pneumatici. Il pittore descrive
questa nuovo abito maschile come:
“Dinamico, aggressivo, urtante,
volitivo, violento, volante, agilizzante,
gioioso, illuminante, fosforescente”.
3 Disegni e studi pubblicati nel
Manifesto di Giacomo Balla del 1814
Nella seconda edizione pubblicata in
lingua italiana ampliata dell’11
settembre 1914 con il titolo Il
vestito antineutrale. Manifesto
futurista in cui la spinta
interventista per entrare nel conflitto
mondiale da parte dei Futuristi si fa
più pressante, Balla immaginava che i
vestiti potessero essere usati per
preparare psicologicamente gli uomini
alla guerra.
2
Prima pagina del Manifesto del dicembre
1914
2
Seconda pagina del Manifesto del
dicembre 1914
Nonostante all’inizio degli anni Venti
la produzione industriale in Unione
Sovietica fosse a un terzo dei livelli
prebellici, anche causa della grave
situazione economica dovuta al conflitto
mondiale, alla rivoluzione e alla guerra
civile che ne era seguita, la creazione
di un modello standardizzato fu
facilitata, perché artisti come
Stepanova utilizzavano tecniche e
strumenti semplici per la progettazione,
come un compasso e un righello per
realizzare modelli bicolori basati su
forme quali cerchio, triangolo e
rettangolo.
“This form of reductionist,
formalistic art reflected the universal
rhythms found not only in the organics
of nature, but also in the systematic
workings of well-oiled machines”
(English, 2013, p. 50-51).
Popova e Stepanova introdussero il
concetto di прозодежда,
abbigliamento in serie, di
спецодежда, abbigliamento
specializzato che designava vestiti
protettivi necessari ai chirurghi, ai
piloti, ai vigili del fuoco, ai
lavoratori delle fabbriche chimiche o
agli esploratori artici.
Sebbene l’idea di un abito specializzato
fosse già stata sviluppata da Henry
van de Velde (1863-1957), che
parlava della necessità di diversi tipi
di abiti specifici per andare in
bicicletta, guidare l’auto o lavorare in
fabbrica, la prozodezhda si
distingueva per il suo anti-estetismo.
L’elemento decisivo nel suo design non
era la dimensione estetica, quindi, ma
il suo impatto sociale. Per sottolineare
l’aspetto funzionale e razionale
dell’abito “specializzato” Popova e
Stepanova, come fecero più tardi altri
designer, utilizzarono dettagli
costruttivi e funzionali come tasche,
cinture e chiusure.
Con il termine спортодежда,
infine, le due stiliste progettarono
abbigliamento sportivo, la cui
caratteristica principale è quella del
colore, che insieme ai segni distintivi,
i simboli, che permette di distinguere
anche da lontano una squadra dall’altra.
Così l’estetica della divisa sportiva
per le due stiliste doveva basarsi una
determinata combinazione di colori
decisi, come il rosso, il nero e il
grigio che vediamo nei bozzetti di
Stepanova realizzati nel 1923 e
pubblicati sulla rivista artistica
Lef.
Rispetto all’abbigliamento del passato,
la moda delle due stiliste russe non
presentava elementi decorativi, doveva
essere all’insegna dell’anonimato, della
semplicità, della vestibilità e della
praticità, per quanto riguarda invece le
forme, erano innovative, mentre per i
motivi dei tessuti si preferivamo quelli
geometrici. Gli abiti dovevano essere
anche «маркера идентичности», dei
marcatori identitari, associato a quello
di «производственного костюма», il
costume industriale che dava una forma
all’idea di creare cose pratiche che
potessero facilitare donne e uomini
nella gestione dei processi produttivi
di tutti i giorni.
Tale razionalizzazione ebbe degli
sviluppi anche nel design stesso, che
entrò in sinergia con il mondo
produttivo e con lo sviluppo
tecnologico, anche grazie all’innovativo
e creativo apporto artistico dei
designer (Злотникова
&
Добрякова,
2019, ‘p. 196-197).
Nello specifico l’abbigliamento
femminile ideato dalle due stiliste
russe era privo di ogni elemento
decorativo (volant, fusciacche, fiocchi,
fibbie, nappe, perline di vetro, pizzo,
pelliccia), considerati come rifiniture
affatto funzionali. La forma dei loro
abiti era definita dalla trama del
tessuto, mentre il taglio era
notevolmente semplificato. Il tessuto
era sottoposto a trattamenti di
finissage, che insieme a cuciture
vistose, rendevano l’abito molto
resistente.
L’estro creativo dei designer, in
generale, fu messo in secondo piano, per
enfatizzare lo sforzo comune per la
creazione di un sistema collettivistico
e per accelerare l’industrializzazione.
2
Schizzo per un abito sportivo, ideato da
Stepanova, 1923
© Журнал «Леф»
Con l’espressione “моды
практичных вещей”,
che può essere tradotta come le “mode
delle cose pratiche”, due studiose russe
contemporanee hanno evidenziato come la
sperimentazione nella moda messa in atto
dai costruttivisti abbia connotato in
modo originale e creativo capi di
abbigliamento e accessori destinati alla
vita di tutti i giorni, attraverso
l’utilizzo di materiali nuovi e di nuove
tecnologie per la produzione di un
abbigliamento da lavoro, che con il
tempo acquisì una funzione prosociale.
Per il Commissariato di Salute Pubblica
(Народный комиссариат здравоохранения)
la tuta da lavoro doveva soddisfare i
requisiti igienici, oltre a essere
comoda, pratica e riproducibile in
grandi quantità. Stepanova nel suo
articolo “Костюм сегодняшнего дня –
прозодежда”, pubblicato con lo
pseudonimo di Vast, affrontava il
problema della produzione di massa con
un approccio artistico, illustrando come
era possibile differenziare lo stesso
disegno per una tuta a seconda
dell’utilizzo, senza trascurarne la
funzione protettiva (Варст,
1923).
2
INHUK, Institute of Artistic Culture (ИНХУК,
Институт Художественной Культуры);
Вкхутемас (Istituto di studi artistici e
tecnici superiori), Mosca
La moda sovietica di quel periodo si
arricchì di alcuni capi iconici della
Rivoluzione di Ottobre, quali giacche di
pelle, berretti e sciarpe rosse
proletarie legate dietro la testa,
simboli della lotta bolscevica che aveva
posto le basi per una nuova società
egualitaria.
2
К. Максимов.Красногвардейцы. Карандаш,
сангина.
1926,
Музей революции СССР
Negli anni Venti si sviluppò un
dibattito squisitamente artistico sulla
funzione che la moda avrebbe dovuto
assumere nella neonata società
sovietica. I produttivisti, che
rappresentavano l’ala radicale tra le
avanguardie russe, consideravano
l’utilità come unico criterio valido per
dare senso e legittimità a un concetto
così borghese come quello della moda.
Allo stesso tempo l’arte cosiddetta
“pura”, come espressione di
individualismo eccentrico e retaggio di
un elitarismo borghese, non aveva più
ragione di esistere, come denunciò
Nikolai Tarabukin (Николай
Михайлович Тарабукин 1889-1956) in modo
provocatorio in occasione di una
conferenza tenuta all’INKhUK nel 1921,
che si accanì principalmente sulla
pittura: «La pittura è morta.
Rodčenko è l’assassino e il suicida. Ma
se la pittura è morta, è morta anche
l’arte?» (Rodčenko & Chan-Magomedov,
1986, p. 292).
Lo scrittore socialista Osip Brik
(Осип Максимович Брик 1888-1945) precisò
allora nella rivista LEF (Левый
фронт искусств, Fronte di
Sinistra delle Arti) che era in primis
“la pittura da cavalletto” che andava
condannata come retaggio della defunta
società borghese (1924, p. 30).
L’ex anarchico ed esponente del
Costruttivismo Aleksei Gan (Алексей
Ган 1887 o 1893-1942), dichiarò che: «I
marxisti devono lavorare per chiarire
scientificamente la sua morte
[dell’arte] e per formulare nuove
tipologie di fenomeni artistici nel
nuovo ambiente storico del nostro tempo”
(Bahn, 1974, p. 32).
Rodčenko si associò al pensiero degli
altri artisti che sposarono la causa
comunista dichiarando nel 1921 che: «La
vita secondo il Costruttivismo è l’arte
del futuro. L’arte che non riesce a
diventare parte della vita sarà
catalogata nel museo delle antichità
archeologiche. È tempo che l’arte si
organizzi e diventi parte della vita»
(Andrews & Kalinovska, 1990, p. 71).
Tutte le citazioni riportate fanno
comprendere come la figura dell’artista
in Unione Sovietica non fu più
considerata come elevata rispetto alla
massa, ma doveva contribuire, come tutti
gli altri mestieri, alla stregua di
quelli più umili, alla costruzione del
nuovo modello di vita sovietico,
abbandonando qualsiasi approccio
estetico nella creazione artistica. La
trasformazione radicale della vita
doveva iniziare nel campo del design con
il dare una nuova forma agli oggetti.
Seguendo le teorie di Balla, i
produttivisti erano convinti che gli
oggetti impiegati quotidianamente
avessero una grande influenza sul
comportamento umano e potessero, quindi,
essere utilizzati per modificare il modo
di pensare delle masse. A differenza
però del Movimento Futurista in Italia,
in Unione Sovietica gli oggetti si
spogliarono di qualsiasi valore estetico
e il loro valore era attribuito in base
alla capacità che avevano di influenzare
la psiche e di agire sulla coscienza
delle masse, al fine di accelerare la
costruzione di una società comunista. Il
compito di ideare questi nuovi oggetti
spettava agli artisti, al servizio dei
valori rivoluzionari.
2
V. Stepanova, caricatura di Alexei Gan,
1922
Per il costruttivista Vladimir Tatlin
(Владимир Евграфович Татлин 1885-1953),
il vestito non era un oggetto da
disegnare ma qualcosa da costruire,
proprio come si assembla un’automobile,
con gli stessi criteri di efficienza ed
efficacia.
L’abbigliamento creato dalla Sezione di
Cultura Materiale dello GINKhUK (Институт
художественной культуры, anche
conosciuto come Государственный институт
художественной культуры, l’Istituto
Statale di Cultura Artistica) di
Pietrogrado, guidato da Tatlin, era
tipicamente anti-fashion. Era
disegnato esclusivamente in base a
criteri di praticità, durevolezza e
comodità. Il colore, per esempio, non
era studiato e scelto per attribuire
potere espressivo all’abito, ma
semplicemente per coprire meglio lo
sporco che inevitabilmente si accumulava
sulle tute da lavoro alla fine di una
faticosa giornata in fabbrica.
«Their cut had been carefully
calculated to accommodate all body
positions and to permit complete freedom
of movement. The placing of pockets was
not the result of formal research into
the structure of a garment; the only
parameter taken into account was the
length of the arms. The straight-cut
jacket, buttoned up almost to the
throat, had a strange trapezoidal form
that was broader at the shoulders and
narrower at the waist. The trousers were
also narrower at the ankles. These
unusual forms, which were not really
elegant, had many practical advantages
in Tatlin’s eyes. They stopped the wind
from entering from below, the
loose-fitting cut prevented the cloth
from sticking to the body, and the
trapezoidal shape trapped a considerable
amount of air that acted as a thermal
regulator» (Radu, 2004, p. 49).
La creazione più interessante di Tatlin
può essere considerata un soprabito
dalla peculiare forma ovoidale e
realizzato in tessuto impermeabile. Per
garantire che potesse essere indossato
per due stagioni, Tatlin lo fornì di due
fodere rimovibili, una in flanella per
l’autunno e una in pelliccia per il
freddo inverno russo. Il colletto era
appositamente progettato in modo che
potesse essere abbottonato senza l’uso
di uno specchio. La vera innovazione di
questo capo fu però la tecnica con cui
era stato realizzato, che si basava su
un concetto modulare, che teneva conto
del fatto che alcune parti di un abito
si usurano più facilmente di altre. Il
soprabito era composto da tra moduli che
potevano essere sostituiti
singolarmente, garantendo una migliore
durata del capo nel tempo. Il prototipo
del soprabito, che per Tatlin era un
modello di Одежда-нормаль
(abbigliamento normale) non ebbe, però,
mai una produzione di massa.
2
Одежда-нормаль.
Modello di abito informale, schizzo di
V. Tatlin, 1923-1924
L’abbigliamento funzionale di Tatlin fu
criticato anche in patria, dove molti si
dimostrarono scettici riguardo alle
creazioni di Tatlin, uno tra tutti
Konstantin Miklasjevskij (Константи́н
Миха́йлович Миклаше́вский 1885-1943),
che espresse un giudizio tranchant
sui modelli del genio construttivista: «Plus
ça changé plus c’est la même chose»
(Миклашевский,
1924, p. 61),
rimproverandogli inoltre che suoi abiti
avessero scarsa qualità nella
manifattura rispetto, per esempio a
quella dei sarti inglesi.
Tatlin rispose alle critiche realizzando
un famoso fotomontaggio, in cui
l’artista stesso indossava il suo “abito
normale”, sullo sfondo si trovavano
rappresentati due signori vestiti in
modo elegante che erano stati gettati a
terra. L’abito borghese era descritto
come un ostacolo al movimento, come non
igienico e indossato soltanto per una
funzione estetica. L’abito di Tatlin,
invece, era, secondo la sua didascalia,
“progettato per essere caldo, per
facilitare la libertà di movimento, per
essere igienico e per durare”.
Grazie al suo forte impatto sociale
l’abbigliamento acquisì una grande
importanza all’interno della
trasformazione degli oggetti quotidiani.
Privo ormai delle caratteristiche che lo
avevano reso in passato un simbolo della
distinzione di classe, l’abbigliamento
subì un processo di standardizzazione,
che ricordava quello degli abitanti di
Utopia di Thomas More, che
indossavano abiti simili, o ancora degli
abiti unisex dei marziani
comunisti del romanzo di fantascienza,
del 1908, Stella rossa (Krasnaja
zvezda, Красная звезда),
scritto da Aleksandr Bogdanov (Александр
Александрович Богданов 1873-1928).
Anche nel romanzo distopico di
Evgenij Zamjatin (Евге́ний Ива́нович
Замя́тин 1884-1937) dal titolo Noi
(My, Мы), scritto tra il
1919 e il 1920, ma pubblicato nel 1924,
i cittadini dello Stato Unico, ridotti
allo stato di numeri, dovevano indossare
“unità” blu coordinate con il colore
bluastro delle celle identiche che
avevano sostituito le abitazioni. In
questa satira profetica che ha ispirato
1984 di George Orwell
(1949), l’originalità è perseguitata
perché minaccia l’uguaglianza su cui si
basa la società.
Nonostante gli sforzi dei costruttivisti
di creare una linea di abbigliamento
adatta a una società utopica ed
egualitaria, soltanto nella Cina maoista
l’uniforme unisex divenne
obbligatoria, ma senza gli sforzi
creativi che gli artisti russi fecero
negli anni Venti per contribuire alla
crescita culturale dell’uomo e della
donna nuovi, in una società migliore.
Dopo l’esplosione creativa degli anni
Venti la libertà di espressione degli
artisti in Unione Sovietica subì, però,
una battuta di arresto, a causa delle
riforme e delle prime repressioni messe
in atto durante il primo periodo al
governo di Stalin. Aleksandr Rodčenko fu
reclutato come creativo per la
propaganda governativa e le avanguardie,
considerate pericolosamente “borghesi”,
cedettero il passo al realismo
socialista in arte, che aveva come
protagonista il lavoratore durante lo
svolgimento della sua attività
quotidiana.
I simboli del progresso, quali trattori,
spighe di grano, addirittura falce e
martello, che erano l’emblema di Stato,
furono incorporati nella grafica e
persino nel design dei tessuti. Nel 1931
il critico d’arte Aleksej Fjodorov
Davydov (Алексе́й Алекса́ндрович
Фёдоров-Давы́дов 1900 – 1969) scrisse
che l’abito universale avrebbe dovuto
essere abbandonato perché il fatto che
fosse frutto di creatività artistica
incoraggiava l’individualismo e
richiamava quell’idea tayloristica della
produzione come sfruttamento della
classe operaia, perché anche nelle
società capitaliste l’abito standard
specializzato era usato per attività
collettive, come nell’esercito, nelle
ferrovie, nelle fabbriche o nei grandi
magazzini.
Tale abbigliamento era ancora più
importante in una società socialista,
dove la tuta da lavoro o l’abito
specializzato non solo funzionava come
un indumento protettivo, ma aveva anche
un carattere organizzativo che poteva
rafforzare il sentimento di appartenenza
alla comunità. Pertanto, il compito
rivoluzionario del designer di abiti
comunisti era di contribuire a plasmare
l’homo sovieticus ( Человек
советский) senza peccare di estro od
originalità. L’abito doveva essere, come
la коммуналка, un “condensatore
sociale”, soprattutto questa funzione
doveva essere ricoperta
dall’abbigliamento per bambini, che
dovevano essere educati alla vita
collettiva sin in giovane età.
Questo impegno degli artisti
all’esaltazione dell’ideologia comunista
rimpiazzò completamente la
sperimentazione degli avanguardisti
russi che aveva progettato capi
anti-moda, inizialmente non destinata
alle masse, ma a un ristretto gruppo di
intellettuali.
Malgrado tale sforzo di includere la
moda nella propaganda del regime, negli
anni Trenta fu evidente che l’utilizzo
degli abiti come manifesti politici non
era abbastanza efficace, a differenza di
quello che sarebbe accaduto in Cina con
la rivoluzione culturale del 1966. La
tuta come “condensatore sociale” al
posto dei tradizionali abiti femminili e
maschili non divenne mai in Unione
Sovietica un “collective dress that
offered utility, protection and
anonymity” (English, 2013, p. 51).
Popova e Stepanova furono sostituite da
designer che non avevano una vena
creativa giudicata dal regime come
pericolosa. Nadežda Lamanova (Наде́жда
Петро́вна Ла́манова née Каю́това
1861-1941) aveva posizioni meno radicali
delle designer influenzate dal
Costruttivismo. Era amica di Paul
Poiret (1879 -1944) e aveva lavorato
con successo come stilista di alta moda
prima della Rivoluzione di Ottobre. La
sua moda fu un compromesso tra la spinta
innovativa e il folklore russo. Creò
modelli per tutti i giorni, ma non
rinunciò all’abito formale o da sera,
bandito invece dai produttivisti.
2
Disegno di un kimono folkloristico russo
realizzato da Lamanova
Con Lamanova gli audaci pantaloncini per
fare sport di Stepanova furono
sostituiti dai knickerbocker e
ritornò in auge una semplice gonna lunga
a pieghe per le attività all’aria
aperta. Le forme tornarono a essere più
armoniose rispetto a quelle geometriche
dei costruttivisti, per valorizzare la
figura, anche il drappeggio nei tessuti
che Stepanova considerava ridicolo, fu
ripristinato.
Al concetto di prozodezhda,
Lamanova sostituì quello di
Eigenkleidung, l’abito
personalizzato, ispirato al libro Das
Eigenkleid der Frau, scritto dalla
stilista tedesca Anna Muthesius
Trippenbach (1870-1961) nel 1903 per
incoraggiare le donne a indossare abiti
secondo il loro personale gusto.
Muthesius era una fervente sostenitrice
dell’anti-fashion, come Stepanova e
Lamanova. Quest’ultima espresse la sua
personale posizione critica nei
confronti della moda borghese attraverso
il concetto di divisione del corpo in
forme geometriche per l’ideazione del
vestito, ma questa tecnica non poteva
essere conciliata con le esigenze della
produzione industriale.
Un’altra stilista attiva tra la seconda
metà degli anni Venti e l’inizio degli
anni Trenta del XX secolo fu
Aleksandra Ėkster, nota con il
cognome Exter (Александра
Александровна Экстер, 1882-1949), che a
Parigi a inizio secolo aveva avuto modo
di conoscere personaggi importanti
dell’arte e della cultura del tempo,
come Guillaume Apollinaire, Georges
Braque, Fernand Léger e Pablo Picasso.
La stilista metteva una particolare cura
per i materiali, convinta che il design
di un abito fosse la diretta conseguenza
delle caratteristiche della stoffa
utilizzata. I capi che Exter prediligeva
erano quelli “individuali”, non gli
abiti da lavoro in serie. Realizzava
questi abiti di alta sartoria sempre con
un tecnico che doveva aiutarla a
risolvere eventuali problematiche
causate da limiti del materiale scelto.
Applicò i principi del movimento per
realizzare scenografie e costumi
teatrali di grande effetto. Il suo
lavoro era un’originale fusione di
influenze futuriste e folcloristiche.
Dal punto di vista teorico Exter era
affascinata sia dalle idee di Tatlin che
da quelle di Kazimir Malevič (Казимир
Северинович Малевич, in polacco:
Kazimierz Malewicz 1879-1935), che
teorizzò il Suprematismo (Супрематизм).
Malevič stesso si cimentò nell’ideazione
di abiti, nell’illusione che i diritti e
le libertà che i cittadini sovietici
avevano conquistato affrancandosi dal
potere borghese potessero essere
sublimati dagli abiti e che lo Stato
avrebbe appoggiato le sue idee.
L’artista sognava che per le strade di
Mosca avrebbero camminato cittadini
liberi in abiti suprematisti circondati
da edifici in stile suprematista. Invece
il regime sovietico, soprattutto negli
anni in cui fu Stalin a governare,
diffidò di questi artisti brillanti, che
si elevavano sopra la media per
creatività e originalità, erano visti
pertanto come elementi eversivi e
pericolosi per l’ordine politico e
sociale conquistato con la rivoluzione.
La storia rese giustizia agli artisti
delle avanguardie russe, perché
il loro abbigliamento “prosociale” fu il
prototipo delle forme tecniche che
guardavano al futuro e alla conquista
dello spazio sviluppate tra gli anni
Cinquanta e Sessanta.
2
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