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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 158 / FEBBRAIO 2021 (CLXXXIX)


arte

МОДА БУДУЩЕГО

LA NASCITA DELLA MODA SOVIETICA ALL'INIZIO DEL XX SECOLO

di Denisa Kucik & Leila Tavi

 

All’inizio del XX secolo la storia della moda in Unione Sovietica iniziò indissolubilmente con l’arte, con alcune figure di spicco delle avanguardie russe, che si cimentarono anche con l’ideazione di tessuti e di abiti. Grazie alla sperimentazione di colori, di forme, di tecniche e di materiali inconsueti, ispirata alle correnti del Futurismo e del Cubismo, la creatività degli artisti russi introdusse un approccio tecnologico, che ritroveremo negli anni Cinquanta e Sessanta, quando, per dimenticare gli orrori e gli stenti della Seconda Guerra Mondiale, analogamente al contrapposto Occidente, si ritrovò nuovamente in arte, e di conseguenza nella moda, quella voglia pioneristica di sperimentare, abolendo i confini spazio-temporali.

 

Aleksandr Rodčenko (Александр Михайлович Родченко, 1891-1956) può essere considerato una figura chiave nella vita culturale dell’Unione Sovietica di quell’epoca. Con i produttivisti, il primo nucleo di artisti del movimento del Costruttivismo (Конструктиви́зм), Rodčenko cercò di incorporare il design nella vita quotidiana nella nuova società, creando tute che chiamava “abbigliamento da produzione”. Ha anche creato disegni tessili che incorporano motivi geometrici e guilloché intrecciati, che si ripetono con un moto ondulatorio.

 

Le donne ebbero un ruolo importante nella storia della moda durante i primi anni del socialismo russo, contrassegnati da ideali utopici, che hanno fortemente influenzato le designer dell’epoca. Ricordiamo Ljubov’ Popova (Любовь Сергеевна Попова, 1889-1924), appartenente al movimento artistico del Costruttivismo, che oltre ad aver dipinto molti quadri, ideò tessuti, costumi teatrali e capi d’abbigliamento. I motivi più ricorrenti nella sua produzione erano grandi quadrati di tessuto, ripetuti in un semplice schema, che riproducevano l’estetica del Costruttivismo. Secondo i dettami di questa corrente artistica, l’abbigliamento come forma d’arte avrebbe dovuto avere un impatto diretto sulle masse (Cole & Deihl, 2015).

 

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Tre modelli di Ljubov’ Popova, 1923-1924

 

Tra le pittrici e che si cimentarono nel fashion design va annoverata anche la moglie di Rodčenko, Varvara Stepanova (Варва́ра Фёдоровна Степа́нова, 1894-1958), che aveva nella creazione di moda un approccio simile a quello di Coco Chanel, si preoccupò principalmente dell’armonia tra struttura e forma nell’ideazione dei suoi capi, giustapponendo i valori rivoluzionari alla tradizione estetica di stampo occidentale che aveva caratterizzato la moda fino ad allora in Russia. Come Popova, la consorte di Rodčenko aveva privilegiato dal 1921 la creazione di abbigliamento utilitaristico e design tessile (English, 2013).

 

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Обложка журнала «Леф» № 2 (6) за 1924 год

 

Prima ancora dei Costruttivisti russi, il futurista Giacomo Balla era convinto che il vestito fosse in grado influenzare la psiche di chi lo indossa. Nel manifesto che pubblica il 20 maggio del 1914 dal titolo Le vêtement masculin futuriste. Manifeste utilizza le sue creazioni per rendere le persone più allegre e gli abiti più fantasiosi; teorizza anche il Vestito Trasformabile, un abito che si può trasformare attraverso l’applicazione di stoffe di forme e colori diversi, con bottoni pneumatici. Il pittore descrive questa nuovo abito maschile come: “Dinamico, aggressivo, urtante, volitivo, violento, volante, agilizzante, gioioso, illuminante, fosforescente”.

 

3 Disegni e studi pubblicati nel Manifesto di Giacomo Balla del 1814

 

Nella seconda edizione pubblicata in lingua italiana ampliata dell’11 settembre 1914 con il titolo Il vestito antineutrale. Manifesto futurista in cui la spinta interventista per entrare nel conflitto mondiale da parte dei Futuristi si fa più pressante, Balla immaginava che i vestiti potessero essere usati per preparare psicologicamente gli uomini alla guerra.

 

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Prima pagina del Manifesto del dicembre 1914

 

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Seconda pagina del Manifesto del dicembre 1914

 

Nonostante all’inizio degli anni Venti la produzione industriale in Unione Sovietica fosse a un terzo dei livelli prebellici, anche causa della grave situazione economica dovuta al conflitto mondiale, alla rivoluzione e alla guerra civile che ne era seguita, la creazione di un modello standardizzato fu facilitata, perché artisti come Stepanova utilizzavano tecniche e strumenti semplici per la progettazione, come un compasso e un righello per realizzare modelli bicolori basati su forme quali cerchio, triangolo e rettangolo. This form of reductionist, formalistic art reflected the universal rhythms found not only in the organics of nature, but also in the systematic workings of well-oiled machines” (English, 2013, p. 50-51).

 

Popova e Stepanova introdussero il concetto di прозодежда, abbigliamento in serie, di спецодежда, abbigliamento specializzato che designava vestiti protettivi necessari ai chirurghi, ai piloti, ai vigili del fuoco, ai lavoratori delle fabbriche chimiche o agli esploratori artici.

 

Sebbene l’idea di un abito specializzato fosse già stata sviluppata da Henry van de Velde (1863-1957), che parlava della necessità di diversi tipi di abiti specifici per andare in bicicletta, guidare l’auto o lavorare in fabbrica, la prozodezhda si distingueva per il suo anti-estetismo. L’elemento decisivo nel suo design non era la dimensione estetica, quindi, ma il suo impatto sociale. Per sottolineare l’aspetto funzionale e razionale dell’abito “specializzato” Popova e Stepanova, come fecero più tardi altri designer, utilizzarono dettagli costruttivi e funzionali come tasche, cinture e chiusure.

 

Con il termine спортодежда, infine, le due stiliste progettarono abbigliamento sportivo, la cui caratteristica principale è quella del colore, che insieme ai segni distintivi, i simboli, che permette di distinguere anche da lontano una squadra dall’altra. Così l’estetica della divisa sportiva per le due stiliste doveva basarsi una determinata combinazione di colori decisi, come il rosso, il nero e il grigio che vediamo nei bozzetti di Stepanova realizzati nel 1923 e pubblicati sulla rivista artistica Lef.

 

Rispetto all’abbigliamento del passato, la moda delle due stiliste russe non presentava elementi decorativi, doveva essere all’insegna dell’anonimato, della semplicità, della vestibilità e della praticità, per quanto riguarda invece le forme, erano innovative, mentre per i motivi dei tessuti si preferivamo quelli geometrici. Gli abiti dovevano essere anche «маркера идентичности», dei marcatori identitari, associato a quello di «производственного костюма», il costume industriale che dava una forma all’idea di creare cose pratiche che potessero facilitare donne e uomini nella gestione dei processi produttivi di tutti i giorni.

 

Tale razionalizzazione ebbe degli sviluppi anche nel design stesso, che entrò in sinergia con il mondo produttivo e con lo sviluppo tecnologico, anche grazie all’innovativo e creativo apporto artistico dei designer (Злотникова & Добрякова, 2019, ‘p. 196-197).

 

Nello specifico l’abbigliamento femminile ideato dalle due stiliste russe era privo di ogni elemento decorativo (volant, fusciacche, fiocchi, fibbie, nappe, perline di vetro, pizzo, pelliccia), considerati come rifiniture affatto funzionali. La forma dei loro abiti era definita dalla trama del tessuto, mentre il taglio era notevolmente semplificato. Il tessuto era sottoposto a trattamenti di finissage, che insieme a cuciture vistose, rendevano l’abito molto resistente.

 

L’estro creativo dei designer, in generale, fu messo in secondo piano, per enfatizzare lo sforzo comune per la creazione di un sistema collettivistico e per accelerare l’industrializzazione.

 

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Schizzo per un abito sportivo, ideato da Stepanova, 1923

© Журнал «Леф»

 

Con l’espressione “моды практичных вещей”, che può essere tradotta come le “mode delle cose pratiche”, due studiose russe contemporanee hanno evidenziato come la sperimentazione nella moda messa in atto dai costruttivisti abbia connotato in modo originale e creativo capi di abbigliamento e accessori destinati alla vita di tutti i giorni, attraverso l’utilizzo di materiali nuovi e di nuove tecnologie per la produzione di un abbigliamento da lavoro, che con il tempo acquisì una funzione prosociale.

 

Per il Commissariato di Salute Pubblica (Народный комиссариат здравоохранения) la tuta da lavoro doveva soddisfare i requisiti igienici, oltre a essere comoda, pratica e riproducibile in grandi quantità. Stepanova nel suo articolo “Костюм сегодняшнего дня – прозодежда”, pubblicato con lo pseudonimo di Vast, affrontava il problema della produzione di massa con un approccio artistico, illustrando come era possibile differenziare lo stesso disegno per una tuta a seconda dell’utilizzo, senza trascurarne la funzione protettiva (Варст, 1923).

 

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INHUK, Institute of Artistic Culture (ИНХУК, Институт Художественной Культуры);

Вкхутемас (Istituto di studi artistici e tecnici superiori), Mosca

 

La moda sovietica di quel periodo si arricchì di alcuni capi iconici della Rivoluzione di Ottobre, quali giacche di pelle, berretti e sciarpe rosse proletarie legate dietro la testa, simboli della lotta bolscevica che aveva posto le basi per una nuova società egualitaria.

 

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К. Максимов.Красногвардейцы. Карандаш, сангина. 1926,

Музей революции СССР

 

Negli anni Venti si sviluppò un dibattito squisitamente artistico sulla funzione che la moda avrebbe dovuto assumere nella neonata società sovietica. I produttivisti, che rappresentavano l’ala radicale tra le avanguardie russe, consideravano l’utilità come unico criterio valido per dare senso e legittimità a un concetto così borghese come quello della moda.

 

Allo stesso tempo l’arte cosiddetta “pura”, come espressione di individualismo eccentrico e retaggio di un elitarismo borghese, non aveva più ragione di esistere, come denunciò Nikolai Tarabukin (Николай Михайлович Тарабукин 1889-1956) in modo provocatorio in occasione di una conferenza tenuta all’INKhUK nel 1921, che si accanì principalmente sulla pittura: «La pittura è morta. Rodčenko è l’assassino e il suicida. Ma se la pittura è morta, è morta anche l’arte?» (Rodčenko & Chan-Magomedov, 1986, p. 292).

 

Lo scrittore socialista Osip Brik (Осип Максимович Брик 1888-1945) precisò allora nella rivista LEF (Левый фронт искусств, Fronte di Sinistra delle Arti) che era in primis “la pittura da cavalletto” che andava condannata come retaggio della defunta società borghese (1924, p. 30).

 

L’ex anarchico ed esponente del Costruttivismo Aleksei Gan (Алексей Ган 1887 o 1893-1942), dichiarò che: «I marxisti devono lavorare per chiarire scientificamente la sua morte [dell’arte] e per formulare nuove tipologie di fenomeni artistici nel nuovo ambiente storico del nostro tempo” (Bahn, 1974, p. 32).

 

Rodčenko si associò al pensiero degli altri artisti che sposarono la causa comunista dichiarando nel 1921 che: «La vita secondo il Costruttivismo è l’arte del futuro. L’arte che non riesce a diventare parte della vita sarà catalogata nel museo delle antichità archeologiche. È tempo che l’arte si organizzi e diventi parte della vita» (Andrews & Kalinovska, 1990, p. 71).

 

Tutte le citazioni riportate fanno comprendere come la figura dell’artista in Unione Sovietica non fu più considerata come elevata rispetto alla massa, ma doveva contribuire, come tutti gli altri mestieri, alla stregua di quelli più umili, alla costruzione del nuovo modello di vita sovietico, abbandonando qualsiasi approccio estetico nella creazione artistica. La trasformazione radicale della vita doveva iniziare nel campo del design con il dare una nuova forma agli oggetti.

 

Seguendo le teorie di Balla, i produttivisti erano convinti che gli oggetti impiegati quotidianamente avessero una grande influenza sul comportamento umano e potessero, quindi, essere utilizzati per modificare il modo di pensare delle masse. A differenza però del Movimento Futurista in Italia, in Unione Sovietica gli oggetti si spogliarono di qualsiasi valore estetico e il loro valore era attribuito in base alla capacità che avevano di influenzare la psiche e di agire sulla coscienza delle masse, al fine di accelerare la costruzione di una società comunista. Il compito di ideare questi nuovi oggetti spettava agli artisti, al servizio dei valori rivoluzionari.

 

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V. Stepanova, caricatura di Alexei Gan, 1922

 

Per il costruttivista Vladimir Tatlin (Владимир Евграфович Татлин 1885-1953), il vestito non era un oggetto da disegnare ma qualcosa da costruire, proprio come si assembla un’automobile, con gli stessi criteri di efficienza ed efficacia.

 

L’abbigliamento creato dalla Sezione di Cultura Materiale dello GINKhUK (Институт художественной культуры, anche conosciuto come Государственный институт художественной культуры, l’Istituto Statale di Cultura Artistica) di Pietrogrado, guidato da Tatlin, era tipicamente anti-fashion. Era disegnato esclusivamente in base a criteri di praticità, durevolezza e comodità. Il colore, per esempio, non era studiato e scelto per attribuire potere espressivo all’abito, ma semplicemente per coprire meglio lo sporco che inevitabilmente si accumulava sulle tute da lavoro alla fine di una faticosa giornata in fabbrica.

 

«Their cut had been carefully calculated to accommodate all body positions and to permit complete freedom of movement. The placing of pockets was not the result of formal research into the structure of a garment; the only parameter taken into account was the length of the arms. The straight-cut jacket, buttoned up almost to the throat, had a strange trapezoidal form that was broader at the shoulders and narrower at the waist. The trousers were also narrower at the ankles. These unusual forms, which were not really elegant, had many practical advantages in Tatlin’s eyes. They stopped the wind from entering from below, the loose-fitting cut prevented the cloth from sticking to the body, and the trapezoidal shape trapped a considerable amount of air that acted as a thermal regulator» (Radu, 2004, p. 49).

 

La creazione più interessante di Tatlin può essere considerata un soprabito dalla peculiare forma ovoidale e realizzato in tessuto impermeabile. Per garantire che potesse essere indossato per due stagioni, Tatlin lo fornì di due fodere rimovibili, una in flanella per l’autunno e una in pelliccia per il freddo inverno russo. Il colletto era appositamente progettato in modo che potesse essere abbottonato senza l’uso di uno specchio. La vera innovazione di questo capo fu però la tecnica con cui era stato realizzato, che si basava su un concetto modulare, che teneva conto del fatto che alcune parti di un abito si usurano più facilmente di altre. Il soprabito era composto da tra moduli che potevano essere sostituiti singolarmente, garantendo una migliore durata del capo nel tempo. Il prototipo del soprabito, che per Tatlin era un modello di Одежда-нормаль (abbigliamento normale) non ebbe, però, mai una produzione di massa.

 

 

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Одежда-нормаль. Modello di abito informale, schizzo di V. Tatlin, 1923-1924

 

L’abbigliamento funzionale di Tatlin fu criticato anche in patria, dove molti si dimostrarono scettici riguardo alle creazioni di Tatlin, uno tra tutti Konstantin Miklasjevskij (Константи́н Миха́йлович Миклаше́вский 1885-1943), che espresse un giudizio tranchant sui modelli del genio construttivista: «Plus ça changé plus c’est la même chose» (Миклашевский, 1924, p. 61), rimproverandogli inoltre che suoi abiti avessero scarsa qualità nella manifattura rispetto, per esempio a quella dei sarti inglesi.

 

Tatlin rispose alle critiche realizzando un famoso fotomontaggio, in cui l’artista stesso indossava il suo “abito normale”, sullo sfondo si trovavano rappresentati due signori vestiti in modo elegante che erano stati gettati a terra. L’abito borghese era descritto come un ostacolo al movimento, come non igienico e indossato soltanto per una funzione estetica. L’abito di Tatlin, invece, era, secondo la sua didascalia, “progettato per essere caldo, per facilitare la libertà di movimento, per essere igienico e per durare”.

 

Grazie al suo forte impatto sociale l’abbigliamento acquisì una grande importanza all’interno della trasformazione degli oggetti quotidiani. Privo ormai delle caratteristiche che lo avevano reso in passato un simbolo della distinzione di classe, l’abbigliamento subì un processo di standardizzazione, che ricordava quello degli abitanti di Utopia di Thomas More, che indossavano abiti simili, o ancora degli abiti unisex dei marziani comunisti del romanzo di fantascienza, del 1908, Stella rossa (Krasnaja zvezda, Красная звезда), scritto da Aleksandr Bogdanov (Александр Александрович Богданов 1873-1928).

 

Anche nel romanzo distopico di Evgenij Zamjatin (Евге́ний Ива́нович Замя́тин 1884-1937) dal titolo Noi (My, Мы), scritto tra il 1919 e il 1920, ma pubblicato nel 1924, i cittadini dello Stato Unico, ridotti allo stato di numeri, dovevano indossare “unità” blu coordinate con il colore bluastro delle celle identiche che avevano sostituito le abitazioni. In questa satira profetica che ha ispirato 1984 di George Orwell (1949), l’originalità è perseguitata perché minaccia l’uguaglianza su cui si basa la società.

 

Nonostante gli sforzi dei costruttivisti di creare una linea di abbigliamento adatta a una società utopica ed egualitaria, soltanto nella Cina maoista l’uniforme unisex divenne obbligatoria, ma senza gli sforzi creativi che gli artisti russi fecero negli anni Venti per contribuire alla crescita culturale dell’uomo e della donna nuovi, in una società migliore.

 

Dopo l’esplosione creativa degli anni Venti la libertà di espressione degli artisti in Unione Sovietica subì, però, una battuta di arresto, a causa delle riforme e delle prime repressioni messe in atto durante il primo periodo al governo di Stalin. Aleksandr Rodčenko fu reclutato come creativo per la propaganda governativa e le avanguardie, considerate pericolosamente “borghesi”, cedettero il passo al realismo socialista in arte, che aveva come protagonista il lavoratore durante lo svolgimento della sua attività quotidiana.

 

I simboli del progresso, quali trattori, spighe di grano, addirittura falce e martello, che erano l’emblema di Stato, furono incorporati nella grafica e persino nel design dei tessuti. Nel 1931 il critico d’arte Aleksej Fjodorov Davydov (Алексе́й Алекса́ндрович Фёдоров-Давы́дов 1900 – 1969) scrisse che l’abito universale avrebbe dovuto essere abbandonato perché il fatto che fosse frutto di creatività artistica incoraggiava l’individualismo e richiamava quell’idea tayloristica della produzione come sfruttamento della classe operaia, perché anche nelle società capitaliste l’abito standard specializzato era usato per attività collettive, come nell’esercito, nelle ferrovie, nelle fabbriche o nei grandi magazzini.

 

Tale abbigliamento era ancora più importante in una società socialista, dove la tuta da lavoro o l’abito specializzato non solo funzionava come un indumento protettivo, ma aveva anche un carattere organizzativo che poteva rafforzare il sentimento di appartenenza alla comunità. Pertanto, il compito rivoluzionario del designer di abiti comunisti era di contribuire a plasmare l’homo sovieticus (Человек советский) senza peccare di estro od originalità. L’abito doveva essere, come la коммуналка, un “condensatore sociale”, soprattutto questa funzione doveva essere ricoperta dall’abbigliamento per bambini, che dovevano essere educati alla vita collettiva sin in giovane età.

 

Questo impegno degli artisti all’esaltazione dell’ideologia comunista rimpiazzò completamente la sperimentazione degli avanguardisti russi che aveva progettato capi anti-moda, inizialmente non destinata alle masse, ma a un ristretto gruppo di intellettuali.

 

Malgrado tale sforzo di includere la moda nella propaganda del regime, negli anni Trenta fu evidente che l’utilizzo degli abiti come manifesti politici non era abbastanza efficace, a differenza di quello che sarebbe accaduto in Cina con la rivoluzione culturale del 1966. La tuta come “condensatore sociale” al posto dei tradizionali abiti femminili e maschili non divenne mai in Unione Sovietica un “collective dress that offered utility, protection and anonymity” (English, 2013, p. 51).

 

Popova e Stepanova furono sostituite da designer che non avevano una vena creativa giudicata dal regime come pericolosa. Nadežda Lamanova (Наде́жда Петро́вна Ла́манова née Каю́това 1861-1941) aveva posizioni meno radicali delle designer influenzate dal Costruttivismo. Era amica di Paul Poiret (1879 -1944) e aveva lavorato con successo come stilista di alta moda prima della Rivoluzione di Ottobre. La sua moda fu un compromesso tra la spinta innovativa e il folklore russo. Creò modelli per tutti i giorni, ma non rinunciò all’abito formale o da sera, bandito invece dai produttivisti.

 

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Disegno di un kimono folkloristico russo realizzato da Lamanova

 

Con Lamanova gli audaci pantaloncini per fare sport di Stepanova furono sostituiti dai knickerbocker e ritornò in auge una semplice gonna lunga a pieghe per le attività all’aria aperta. Le forme tornarono a essere più armoniose rispetto a quelle geometriche dei costruttivisti, per valorizzare la figura, anche il drappeggio nei tessuti che Stepanova considerava ridicolo, fu ripristinato.

 

Al concetto di prozodezhda, Lamanova sostituì quello di Eigenkleidung, l’abito personalizzato, ispirato al libro Das Eigenkleid der Frau, scritto dalla stilista tedesca Anna Muthesius Trippenbach (1870-1961) nel 1903 per incoraggiare le donne a indossare abiti secondo il loro personale gusto. Muthesius era una fervente sostenitrice dell’anti-fashion, come Stepanova e Lamanova. Quest’ultima espresse la sua personale posizione critica nei confronti della moda borghese attraverso il concetto di divisione del corpo in forme geometriche per l’ideazione del vestito, ma questa tecnica non poteva essere conciliata con le esigenze della produzione industriale.

 

Un’altra stilista attiva tra la seconda metà degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta del XX secolo fu Aleksandra Ėkster, nota con il cognome Exter (Александра Александровна Экстер, 1882-1949), che a Parigi a inizio secolo aveva avuto modo di conoscere personaggi importanti dell’arte e della cultura del tempo, come Guillaume Apollinaire, Georges Braque, Fernand Léger e Pablo Picasso.

 

La stilista metteva una particolare cura per i materiali, convinta che il design di un abito fosse la diretta conseguenza delle caratteristiche della stoffa utilizzata. I capi che Exter prediligeva erano quelli “individuali”, non gli abiti da lavoro in serie. Realizzava questi abiti di alta sartoria sempre con un tecnico che doveva aiutarla a risolvere eventuali problematiche causate da limiti del materiale scelto. Applicò i principi del movimento per realizzare scenografie e costumi teatrali di grande effetto. Il suo lavoro era un’originale fusione di influenze futuriste e folcloristiche. Dal punto di vista teorico Exter era affascinata sia dalle idee di Tatlin che da quelle di Kazimir Malevič (Казимир Северинович Малевич, in polacco: Kazimierz Malewicz 1879-1935), che teorizzò il Suprematismo (Супрематизм).

 

Malevič stesso si cimentò nell’ideazione di abiti, nell’illusione che i diritti e le libertà che i cittadini sovietici avevano conquistato affrancandosi dal potere borghese potessero essere sublimati dagli abiti e che lo Stato avrebbe appoggiato le sue idee.

 

L’artista sognava che per le strade di Mosca avrebbero camminato cittadini liberi in abiti suprematisti circondati da edifici in stile suprematista. Invece il regime sovietico, soprattutto negli anni in cui fu Stalin a governare, diffidò di questi artisti brillanti, che si elevavano sopra la media per creatività e originalità, erano visti pertanto come elementi eversivi e pericolosi per l’ordine politico e sociale conquistato con la rivoluzione.

 

La storia rese giustizia agli artisti delle avanguardie russe, perché il loro abbigliamento “prosociale” fu il prototipo delle forme tecniche che guardavano al futuro e alla conquista dello spazio sviluppate tra gli anni Cinquanta e Sessanta.

 

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Exter, schizzo di donna che indossa una gonna a balze, 1924.

Collezione di N.D. Lobanov-Rostovsky

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

A.R. e M. Kalinovska, Art into Life: Russian Constructivism, 1914-1932, New York, 1990, p. 71.

Bann S., The tradition of constructivism, Thames and Hudson, London 1974.

O. Brik, “Ot kartini k sittsu,” LEF, 2, no. 2 (1924): 30.

D.J. Cole e N. Deihl, The history of modern fashion, Laurence King Publishing, 2015.

Демиденко Юлия. “Новая одежда для нового мира. Костюмы ВЕ Татлина на фоне эпохи”. Теория моды. 2016. № 39: 241–247.

Злотникова, Татьяна Семеновна, and Екатерина Сергеевна Добрякова. “Прозодежда как маркер идентичности XX века.” Ярославский педагогический вестник 3 (2019).

B. English, A cultural history of fashion in the 20th and 21st centuries: From catwalk to sidewalk, A&C Black, 2013.

Миклашевский, Константин Миха́йлович. Гипертрофия искусства, Гос. тип. им. Евгении Соколовой, 1924

A.M. Rodčenko e and S.O. Chan-Magomedov, Rodchenko: The Complete Work, Thames & Hudson, 1986.

R. Stern, Against fashion: Clothing as art, 1850-1930, Cambridge, MA: MIT Press, 2004.

Варст (Степанова В.С). “Костюм сегодняшнего дня - прозодежда” ЛЕФ. 1923, № 2, 65-68.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]