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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 157 / GENNAIO 2021 (CLXXXVIII)


filosofia & religione

SPAZIO FLUIDO

LA MOBILITà NELLA SOCIETà POST-MODERNA

di Yuri Calleo

 

La società in cui viviamo è caratterizzata dalla crescita esponenziale di tutti quei sistemi tecnologistici che hanno preso forma dal fenomeno espansivo conosciuto meglio come “globalizzazione”. Negli anni, i media, i personaggi pubblici e la politica mondiale hanno prodotto un vero e proprio sopruso del termine stesso, che ha portato a una confusione da parte dell’attore sociale che si è visto spaesato per l’attribuzione di ogni singola tipologia di avvenimento al termine stesso, tanto da renderlo senza significato.

 

Trovare una definizione univoca di tale fenomeno – come spesso accade – risulta complicato, difatti, in un’ottica generale, potremmo definirlo – se non altro dal punto di vista economico – come un fenomeno accrescitivo delle relazioni e degli scambi a livello globale. Per quanto il cambiamento della sfera economica abbia comportato un mutamento esponenziale, non dobbiamo dimenticarci dell’importanza delle trasformazioni sociali e culturali, qui di nostro interesse. Infatti – come sappiamo – i repentini mutamenti hanno portato al cambiamento dell’ordine sociale e della struttura stessa, ragion per cui diviene fondamentale l’analisi del fenomeno per cercare di comprendere al meglio quanto i cambiamenti a livello spaziale e temporale abbiano inciso sulla nostra società e soprattutto come lo abbiano fatto.

 

I fenomeni migratori, l’espansione degli scambi e il massiccio aumento tecnologico non hanno prodotto come ben si sperava nel primo Ottocento un “mondo armonizzato”, quanto più un’eterogenizzazione dello stesso, portando a frammentazioni sociali a livello “locale” e a livello “globale”. Zygmunt Bauman (1999), sociologo e filosofo polacco fa ben comprendere nei suoi testi ciò che la globalizzazione ci ha lasciato in eredità, lo studioso afferma infatti chiaramente che tale mutamento unisce tanto quanto frammenta la società, difatti le stesse cause frammentative sono le medesime di quelle che ci uniscono.

 

Non vi è dubbio che l’alienazione prodotta ci renda ciechi facendoci vedere maggiori prodotti positivi rispetto a quelli negativi, ragion per cui l’attore sociale crede attualmente di essere immortale. Si pensi infatti a quanto l’espansione aerea abbia trasformato la nostra vita, la nostra esistenza attuale è diversa da quella di cento anni fa, difatti è possibile spostarsi da un luogo all’altro in pochissimo tempo, è possibile guardare un programma televisivo arabo mentre siamo tranquillamente seduti sul nostro divano in Italia, ne consegue quindi che la storia, dalla metà dell’Ottocento, sia divenuta una storia più veloce e disomogenea.

 

Le democrazie che hanno preso parte alla nostra vita, ci hanno concesso la tanto attesa libertà che aspettavamo, la mobilità individuale raggiunge quindi l’estasi umana, diviene quindi – come afferma Bauman – il valore più alto e di prestigio, il quale ha prodotto – nel periodo tardo-moderno o post-moderno – una fallacia stratificata nella nostra struttura sociale.

 

Ed è proprio questo il punto centrale del nostro discorso, la cosiddetta “modernità liquida” (2006) che tanto Bauman sottolinea, essa non è altro che il prodotto della globalizzazione, la quale ci rende tutti in movimento, sia fisicamente, sia in modo virtuale, dove la probabilità di non perseguire questa rotta non esiste, tutti siamo coinvolti e nessuno ne è escluso, quello che potrebbe cambiare è secondo lo studioso il raggio d’azione, ovvero quanto ampio potrebbe essere il nostro movimento all’interno della sfera mondiale.

 

La stratificazione della società è proprio individuabile nel concetto di raggio d’azione, infatti dovremmo distinguere i due diversi “mondi”: quello “locale” e quello “globale”. Attualmente, essere immobile nel raggio “locale” è motivo di colpevolizzazione dell’individuo proprio perché gli eventi sociali e più importanti avverrebbero a livello globale. Nella fase in cui siamo siti, l’aspetto economico acquisisce una notevole importanza, infatti grandi industrie non dipendono più dall’aspetto “locale”, ma perlopiù dall’aspetto globale ovvero dalla loro dipendenza per gli investitori, ed è esattamente quello che intende Bauman (1999) quando afferma che: «la Grande guerra di indipendenza dallo spazio… una guerra durante la quale i centri decisionali, insieme alle motivazioni stesse che determinano le decisioni, gli uni e le altre ormai liberi da legami territoriali, hanno preso a distaccarsi, in forma continua e inesorabile, dai vincoli imposti dai processi di localizzazione».

 

Come già descritto in precedenza, la mobilità è divenuta un valore vero e proprio intrinseco nella società tale da aver modificato l’organizzazione della struttura sociale fin dalla sua base. Ed è proprio qui che entra in gioco il concetto di “gerarchia”, un sistema del tutto asimmetrico volto a un’organizzazione del tutto a vantaggio per le persone più in alto, mentre del tutto umiliante per quelle alla base di essa.

 

Il problema che ne deriva è proprio quello secondo cui gli attori sociali che si vedono alla base della gerarchia devono essere soggetti a una scarsa mobilità e quindi confinati nello “spazio locale”, obbedienti a vincoli e norme sociali, a volte non proprio democratiche. Il nuovo potere capitalistico, si è svincolato da tempo dalla località in senso stretto, è infatti consapevole della propria potenza e può agire liberamente senza costrizioni, qualora dovesse incontrare un ostacolo, può sempre spostarsi e aggirarlo senza dover compiere nessuno sforzo immane.

 

Dal punto di vista economico – come abbiamo enormemente compreso – il fenomeno non è affatto egualitario e quindi si ripercuote soprattutto sugli attori sociali che risiedono nella quotidiana “località”, essi infatti non avendo a disposizione somme di denaro uguali alle classi più alte, non hanno la possibilità di muoversi e divengono stazionari.

 

Certamente è difficile che la società si organizzi spontaneamente su basi egualitarie, ma non è concedibile che l’attore sociale privilegiato continui a far aumentare il divario tra ricco e povero, proprio perché la sete di arricchimento dei “molti” e la minima mobilità dei “pochi”, sono la stessa faccia della stessa medaglia, nonostante l’offuscamento che la nostra società – in particolare quella dei media – vuole stabilire.

 

Come già descritto precedentemente, vi sarebbe quindi un uso improprio del termine “globalizzazione”, difatti, dall’espansione mediatica di questo concetto, i media – consapevolmente o inconsapevolmente – continuano a manipolare l’opinione pubblica riferendosi a un pubblico sempre più ampio che non riesce a distinguere – in quanto manipolato – le notizie vere da quelle false.

 

Come abbiamo detto in precedenza la mobilità è aumentata a dismisura e le distanze non sono più un problema, così nemmeno i confini astratti degli Stati. Si pensi a quanto fosse difficile arrivare negli Stati Uniti durante il 1800 e si pensi invece a quanto è facile attualmente, ma ancora, si pensi a quanto fosse difficile in passato mettersi in contatto con un proprio caro lontano e a quanto è facile ora invece.

 

Proprio per tali motivi il concetto di “globalizzazione” è stato travisato, la velocità con cui le informazioni circolano nei circuiti moderni non è nemmeno immaginabile e calcolabile, è invece interessante comprendere come questi circuiti influenzino i cittadini e quali danni porteranno in futuro.

 

L’influenza delle connessioni informative diviene molto spesso fonte di disagi veri e propri, possono sfociare in una cattiva percezione dell’ambiente circostante. Ma cosa intendiamo per “percezione”?

 

Una definizione adeguata al nostro discorso ci viene fornita dallo studioso Battistelli (2016) che la intende come “quel processo attraverso il quale le informazioni raccolte dagli organi di senso sono organizzate in oggetti, eventi o situazioni dotati di significato per il soggetto”. Ancora, il sociologo tedesco Ulrich Beck (2007), che a lungo ha parlato dei fenomeni percettivi concludendo di essere stazionati in una “società mondiale del rischio”, ci fa comprendere quanto la società contemporanea infatti, non tratterebbe come dovrebbe l’aspetto dell’insicurezza proprio a causa di una modernizzazione persistente che annullerebbe il pensiero umano, ma soprattutto dove il pericolo avrebbe una forza tale da distruggere – democraticamente – intere popolazioni, alla pari di una grande guerra.

 

Il centro del nostro discorso è quindi il movimento con tutti i rischi annessi, ne consegue quindi che non debba essere inteso come mero spostamento – come affermato da Bauman (1999) – ma anche come produzione di significato. Più le persone transitano in altri territori “locali” e più gli stessi territori perdono le proprie caratteristiche, si viene quindi a creare una realtà sovraterritoriale e “cyberspaziale”, ne consegue quindi che gli spazi legati alla tradizione si scindono dalla località per essere sempre più elevati all’extraterritorialità.

 

La stessa fornisce alle persone una potenza democratica che porta alla libertà di decisione, alla libertà di essere in un determinato luogo, ma allo stesso tempo di essere in uno spazio completamente diverso, tutto ciò potrebbe apparire come qualcosa di interessante e concreto, tutt’altro, tutto ciò potrebbe portare a un impoverimento “spaziale”, i luoghi divengono non-luoghi (1992) e lo spazio in cui viviamo diviene pian piano sempre più dissoluto dalla voglia di tecnologizzare qualsiasi oggetto nelle nostre mani.

 

Gli individui, sono sempre più atrofizzati dai media e ne consegue che la comunicazione interpersonale e le relazioni affettive vengono meno. Si pensi infatti alle giornate spese prima dell’avvento degli smartphone, gli amici si riunivano, uscivano, con conseguente transito negli spazi pubblici, tutto ciò non avviene più, o meglio alcune persone vittime di una mobilità sempre più persistente abbandonano i canoni “spaziali-tradizionali” per rifugiarsi in quelli “virtuali” che apparentemente forniscono più sicurezza, ma è solo l’apparenza.

 

La comunicazione tra due relatori va perdendosi, mentre prima ci si riuniva in luoghi pubblici, attualmente si creano riunioni virtuali su piattaforme innovative, ne viene meno un aspetto importante, ovvero quello della conoscenza e dei sentimenti, che in uno spazio virtuale senza “norme apparenti”, non possono sussistere.

 

La lotta svolta dai nostri avi è stata una lotta non colpevolizzabile, è invece sotto giudizio chi cerca – con le proprie ricchezze – di frammentare la società attraverso il proprio potere e la propria mobilità, facendo sì che coloro situati alla base della gerarchia rimangano chiusi in spazi confinati.

 

La nostra società cerca sempre più di liberarsi da vincoli e confini che non ci permettono di muoversi in piena libertà. In passato, i nostri avi invece – in modo ben diverso – cercavano di conquistare sempre più nuovi e interessanti territori per acquisirne il potere, questo avveniva attraverso mezzi di misurazione chiari e coincisi. Al giorno d’oggi, la lotta democratica avente come fine la liberta di movimento, è una vera e propria battaglia svolta da coloro che si situano ai primi posti della gerarchia, si va sempre più delineando un controllo dello spazio volto all’arricchimento personale.

 

La pianificazione dello spazio nei minimi dettagli, è una prova di tutto ciò descritto in precedenza, si pensi infatti agli impianti di videosorveglianza o ancor meglio alle videocamere con sistema di riconoscimento facciale poste nelle città della Cina, tutto ciò per quanto possa essere positivo in termini di sicurezza può ledere l’anonimato e lo spazio dei cittadini. Si viene pian piano delineando uno spazio fittizio dalla quale i cittadini non possono uscirne.

 

In passato la sicurezza sociale veniva garantita dalla costruzione stessa di un ambiente consono, le città infatti si andavano delineando proprio per il precedente motivo attraverso le cinta murarie, le staccionate e veri e propri confini fisici, che garantivano la sicurezza dall’attacco esterno. Attualmente invece, i confini vengono posti all’interno della città stessa, la trasparenza non esiste più, il fine ultimo non è più il bene collettivo, ma quello personale.

 

Nel periodo moderno l’autorità statale era l’unico garante dell’ordine, esercitato tramite l’uso del monopolio della forza, ma dopo la rottura di due enormi blocchi, tutto è mutato velocemente. Nel 1991, dopo il termine della guerra fredda, gli stati non avevano più potere in molti campi, in particolar modo quello economico, quello che restava era una mera sorveglianza all’interno dello scenario economico e territoriale interno, ne deriva quindi che la politica non ha più la capacità di agire sull’economia come in precedenza aveva sempre fatto, lo spazio diventa refrattario ai confini e diviene sempre più uno spazio non regolato.

 

Per quanto l’aspetto tecnologistico-meccanico come lo sviluppo di potenti mezzi di trasporto ci abbia permesso di raggiungere città distanti da noi in tempi velocissimi, non dobbiamo dimenticare che “la mobilità” di cui ci siamo interessati in precedenza, comprende anche quella “non fisica”. Dall’avvento dei nuovi media, la televisione, i nuovi devices e internet, hanno fatto sì che riuscissimo a spostarci anche non spostandoci, non vi è più l’esigenza di preoccuparci dove siamo e dove vorremmo andare, giustappunto invece è importante avere la possibilità di farlo.

 

È importante sottolineare che lo spostamento continuo di risorse, ma ancora, l’aumento dei flussi di persone che viaggiano, non rendono le stesse turisti, ma semplicemente dei “semplici visitatori”. È proprio questo il punto, la nostra società è caratterizzata da una voglia incontrastabile di movimento, il che potrebbe essere di nostro piacimento, ma questo fa sì che un vortice ci risucchi con una forza immane da cui sarà più difficile uscirne.

 

La manipolazione avvenuta nel tempo ha portato a un consumismo sempre più acclarato, ai giorni d’oggi un bene diviene superfluo dopo poche ore, infatti più beni possediamo e più ne vorremmo ed è su questo che si basa l’economica globale. L’essere umano, attratto dai nuovi beni, spinge l’economia a produrre sempre di più, e la stessa è ben compiaciuta dal farlo, accalappiando l’attenzione dell’utente, seducendolo sempre più e assecondandolo in modo che non si stanchi mai di quello che potremmo chiamare “la società del consumo”.

 

Potremmo quindi ora chiederci: come l’economia riesce a manipolare l’essere umano seducendolo sempre più al consumo? La logica economica cerca di soddisfare il consumo in modo immediato, tutto ciò deve avvenire in modo repentino sia a livello produttivo che a livello di consumo, infatti tutto deve avvenire velocemente, l’idea del consumatore non deve essere tanto l’accumulazione di beni e ricchezze, quanto più la nota va messa sul concetto di sensazione, ovvero l’individuo prova delle sensazioni mai provate prima proprio perché nuove, rimanendo così in un moto continuo.

 

Come abbiamo definito in precedenza, nessuno è esente da una mobilità persistente, quello che cambia è il “raggio d’azione”, questo perché non tutti possono essere consumatori, ciò che cambia è dove andremo a collocarci nella sfera globale, ed è proprio qui che viene a delinearsi la sostanziale frammentazione tra coloro che possono accedere alla sfera “globale” e coloro che restano nella sfera “locale”, i primi non hanno ostacoli, riescono a viaggiare nel mondo attraverso le loro risorse e quindi difficilmente avranno delle problematiche rispetto alla logica del consumo economico benché presenti nella stessa, i secondi invece, attraverso l’ottica consumistica odierna, potranno avere degli enormi problemi.

 

Qualcuno a questo punto potrebbe affermare che non stiamo considerando la possibilità che un determinato attore sociale possa viaggiare – e quindi muoversi – per propria passione, e a tal proposito, il sociologo Bauman, ci propone una distinzione essenziale, ovvero quella tra i “turisti” e “vagabondi”. I primi infatti sceglierebbero di viaggiare per pura passione personale, i secondi invece sarebbero costretti a muoversi proprio perché confinati in quella realtà “locale” e stazionaria, che diviene sempre più inappetibile.

 

Attenzione, per quanto il turista possa essere nel pieno della propria consapevolezza, non è da escludere che sia stato trasformato dalla macchina economica, ma è da constatare quanto il “vagabondo” sia molto più manipolato dalla stessa.

 

Concludendo, la cosa importante da sottolineare è che il turista è in continua mobilità proprio per la paura di divenire in futuro un “vagabondo”, ne consegue quindi che nel “mondo globalizzato”, il mutamento è continuo e soprattutto veloce, anche le posizioni sociali più alte potrebbero mutare, ed è proprio questo quello che vuole evitare il “turista”.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]