filosofia & religione
SPAZIO FLUIDO
LA MOBILITà NELLA SOCIETà POST-MODERNA
di Yuri Calleo
La società in cui viviamo è
caratterizzata dalla crescita
esponenziale di tutti quei sistemi
tecnologistici che hanno preso forma dal
fenomeno espansivo conosciuto meglio
come “globalizzazione”. Negli anni, i
media, i personaggi pubblici e la
politica mondiale hanno prodotto un vero
e proprio sopruso del termine stesso,
che ha portato a una confusione da parte
dell’attore sociale che si è visto
spaesato per l’attribuzione di ogni
singola tipologia di avvenimento al
termine stesso, tanto da renderlo senza
significato.
Trovare una definizione univoca di tale
fenomeno – come spesso accade – risulta
complicato, difatti, in un’ottica
generale, potremmo definirlo – se non
altro dal punto di vista economico –
come un fenomeno accrescitivo delle
relazioni e degli scambi a livello
globale. Per quanto il cambiamento della
sfera economica abbia comportato un
mutamento esponenziale, non dobbiamo
dimenticarci dell’importanza delle
trasformazioni sociali e culturali, qui
di nostro interesse. Infatti – come
sappiamo – i repentini mutamenti hanno
portato al cambiamento dell’ordine
sociale e della struttura stessa, ragion
per cui diviene fondamentale l’analisi
del fenomeno per cercare di comprendere
al meglio quanto i cambiamenti a livello
spaziale e temporale abbiano inciso
sulla nostra società e soprattutto come
lo abbiano fatto.
I fenomeni migratori, l’espansione degli
scambi e il massiccio aumento
tecnologico non hanno prodotto come ben
si sperava nel primo Ottocento un “mondo
armonizzato”, quanto più un’eterogenizzazione
dello stesso, portando a frammentazioni
sociali a livello “locale” e a livello
“globale”. Zygmunt Bauman (1999),
sociologo e filosofo polacco fa ben
comprendere nei suoi testi ciò che la
globalizzazione ci ha lasciato in
eredità, lo studioso afferma infatti
chiaramente che tale mutamento unisce
tanto quanto frammenta la società,
difatti le stesse cause frammentative
sono le medesime di quelle che ci
uniscono.
Non vi è dubbio che l’alienazione
prodotta ci renda ciechi facendoci
vedere maggiori prodotti positivi
rispetto a quelli negativi, ragion per
cui l’attore sociale crede attualmente
di essere immortale. Si pensi infatti a
quanto l’espansione aerea abbia
trasformato la nostra vita, la nostra
esistenza attuale è diversa da quella di
cento anni fa, difatti è possibile
spostarsi da un luogo all’altro in
pochissimo tempo, è possibile guardare
un programma televisivo arabo mentre
siamo tranquillamente seduti sul nostro
divano in Italia, ne consegue quindi che
la storia, dalla metà dell’Ottocento,
sia divenuta una storia più veloce e
disomogenea.
Le democrazie che hanno preso parte alla
nostra vita, ci hanno concesso la tanto
attesa libertà che aspettavamo, la
mobilità individuale raggiunge quindi
l’estasi umana, diviene quindi – come
afferma Bauman – il valore più alto e di
prestigio, il quale ha prodotto – nel
periodo tardo-moderno o post-moderno –
una fallacia stratificata nella nostra
struttura sociale.
Ed è proprio questo il punto centrale
del nostro discorso, la cosiddetta
“modernità liquida” (2006) che tanto
Bauman sottolinea, essa non è altro che
il prodotto della globalizzazione, la
quale ci rende tutti in movimento, sia
fisicamente, sia in modo virtuale, dove
la probabilità di non perseguire questa
rotta non esiste, tutti siamo coinvolti
e nessuno ne è escluso, quello che
potrebbe cambiare è secondo lo studioso
il raggio d’azione, ovvero quanto ampio
potrebbe essere il nostro movimento
all’interno della sfera mondiale.
La stratificazione della società è
proprio individuabile nel concetto di
raggio d’azione, infatti dovremmo
distinguere i due diversi “mondi”:
quello “locale” e quello “globale”.
Attualmente, essere immobile nel raggio
“locale” è motivo di colpevolizzazione
dell’individuo proprio perché gli eventi
sociali e più importanti avverrebbero a
livello globale. Nella fase in cui siamo
siti, l’aspetto economico acquisisce una
notevole importanza, infatti grandi
industrie non dipendono più dall’aspetto
“locale”, ma perlopiù dall’aspetto
globale ovvero dalla loro dipendenza per
gli investitori, ed è esattamente quello
che intende Bauman (1999) quando afferma
che: «la Grande guerra di
indipendenza dallo spazio… una guerra
durante la quale i centri decisionali,
insieme alle motivazioni stesse che
determinano le decisioni, gli uni e le
altre ormai liberi da legami
territoriali, hanno preso a distaccarsi,
in forma continua e inesorabile, dai
vincoli imposti dai processi di
localizzazione».
Come già descritto in precedenza, la
mobilità è divenuta un valore vero e
proprio intrinseco nella società tale da
aver modificato l’organizzazione della
struttura sociale fin dalla sua base. Ed
è proprio qui che entra in gioco il
concetto di “gerarchia”, un sistema del
tutto asimmetrico volto a
un’organizzazione del tutto a vantaggio
per le persone più in alto, mentre del
tutto umiliante per quelle alla base di
essa.
Il problema che ne deriva è proprio
quello secondo cui gli attori sociali
che si vedono alla base della gerarchia
devono essere soggetti a una scarsa
mobilità e quindi confinati nello
“spazio locale”, obbedienti a vincoli e
norme sociali, a volte non proprio
democratiche. Il nuovo potere
capitalistico, si è svincolato da tempo
dalla località in senso stretto, è
infatti consapevole della propria
potenza e può agire liberamente senza
costrizioni, qualora dovesse incontrare
un ostacolo, può sempre spostarsi e
aggirarlo senza dover compiere nessuno
sforzo immane.
Dal punto di vista economico – come
abbiamo enormemente compreso – il
fenomeno non è affatto egualitario e
quindi si ripercuote soprattutto sugli
attori sociali che risiedono nella
quotidiana “località”, essi infatti non
avendo a disposizione somme di denaro
uguali alle classi più alte, non hanno
la possibilità di muoversi e divengono
stazionari.
Certamente è difficile che la società si
organizzi spontaneamente su basi
egualitarie, ma non è concedibile che
l’attore sociale privilegiato continui a
far aumentare il divario tra ricco e
povero, proprio perché la sete di
arricchimento dei “molti” e la minima
mobilità dei “pochi”, sono la stessa
faccia della stessa medaglia, nonostante
l’offuscamento che la nostra società –
in particolare quella dei media – vuole
stabilire.
Come già descritto precedentemente, vi
sarebbe quindi un uso improprio del
termine “globalizzazione”, difatti,
dall’espansione mediatica di questo
concetto, i media – consapevolmente o
inconsapevolmente – continuano a
manipolare l’opinione pubblica
riferendosi a un pubblico sempre più
ampio che non riesce a distinguere – in
quanto manipolato – le notizie vere da
quelle false.
Come abbiamo detto in precedenza la
mobilità è aumentata a dismisura e le
distanze non sono più un problema, così
nemmeno i confini astratti degli Stati.
Si pensi a quanto fosse difficile
arrivare negli Stati Uniti durante il
1800 e si pensi invece a quanto è facile
attualmente, ma ancora, si pensi a
quanto fosse difficile in passato
mettersi in contatto con un proprio caro
lontano e a quanto è facile ora invece.
Proprio per tali motivi il concetto di
“globalizzazione” è stato travisato, la
velocità con cui le informazioni
circolano nei circuiti moderni non è
nemmeno immaginabile e calcolabile, è
invece interessante comprendere come
questi circuiti influenzino i cittadini
e quali danni porteranno in futuro.
L’influenza delle connessioni
informative diviene molto spesso fonte
di disagi veri e propri, possono
sfociare in una cattiva percezione
dell’ambiente circostante. Ma cosa
intendiamo per “percezione”?
Una definizione adeguata al nostro
discorso ci viene fornita dallo studioso
Battistelli (2016) che la intende come
“quel processo attraverso il quale le
informazioni raccolte dagli organi di
senso sono organizzate in oggetti,
eventi o situazioni dotati di
significato per il soggetto”. Ancora, il
sociologo tedesco Ulrich Beck (2007),
che a lungo ha parlato dei fenomeni
percettivi concludendo di essere
stazionati in una “società mondiale del
rischio”, ci fa comprendere quanto la
società contemporanea infatti, non
tratterebbe come dovrebbe l’aspetto
dell’insicurezza proprio a causa di una
modernizzazione persistente che
annullerebbe il pensiero umano, ma
soprattutto dove il pericolo avrebbe una
forza tale da distruggere –
democraticamente – intere popolazioni,
alla pari di una grande guerra.
Il centro del nostro discorso è quindi
il movimento con tutti i rischi annessi,
ne consegue quindi che non debba essere
inteso come mero spostamento – come
affermato da Bauman (1999) – ma anche
come produzione di significato. Più le
persone transitano in altri territori
“locali” e più gli stessi territori
perdono le proprie caratteristiche, si
viene quindi a creare una realtà
sovraterritoriale e “cyberspaziale”, ne
consegue quindi che gli spazi legati
alla tradizione si scindono dalla
località per essere sempre più elevati
all’extraterritorialità.
La stessa fornisce alle persone una
potenza democratica che porta alla
libertà di decisione, alla libertà di
essere in un determinato luogo, ma allo
stesso tempo di essere in uno spazio
completamente diverso, tutto ciò
potrebbe apparire come qualcosa di
interessante e concreto, tutt’altro,
tutto ciò potrebbe portare a un
impoverimento “spaziale”, i luoghi
divengono non-luoghi (1992) e lo spazio
in cui viviamo diviene pian piano sempre
più dissoluto dalla voglia di
tecnologizzare qualsiasi oggetto nelle
nostre mani.
Gli individui, sono sempre più
atrofizzati dai media e ne consegue che
la comunicazione interpersonale e le
relazioni affettive vengono meno. Si
pensi infatti alle giornate spese prima
dell’avvento degli smartphone, gli amici
si riunivano, uscivano, con conseguente
transito negli spazi pubblici, tutto ciò
non avviene più, o meglio alcune persone
vittime di una mobilità sempre più
persistente abbandonano i canoni
“spaziali-tradizionali” per rifugiarsi
in quelli “virtuali” che apparentemente
forniscono più sicurezza, ma è solo
l’apparenza.
La comunicazione tra due relatori va
perdendosi, mentre prima ci si riuniva
in luoghi pubblici, attualmente si
creano riunioni virtuali su piattaforme
innovative, ne viene meno un aspetto
importante, ovvero quello della
conoscenza e dei sentimenti, che in uno
spazio virtuale senza “norme apparenti”,
non possono sussistere.
La lotta svolta dai nostri avi è stata
una lotta non colpevolizzabile, è invece
sotto giudizio chi cerca – con le
proprie ricchezze – di frammentare la
società attraverso il proprio potere e
la propria mobilità, facendo sì che
coloro situati alla base della gerarchia
rimangano chiusi in spazi confinati.
La nostra società cerca sempre più di
liberarsi da vincoli e confini che non
ci permettono di muoversi in piena
libertà. In passato, i nostri avi invece
– in modo ben diverso – cercavano di
conquistare sempre più nuovi e
interessanti territori per acquisirne il
potere, questo avveniva attraverso mezzi
di misurazione chiari e coincisi. Al
giorno d’oggi, la lotta democratica
avente come fine la liberta di
movimento, è una vera e propria
battaglia svolta da coloro che si
situano ai primi posti della gerarchia,
si va sempre più delineando un controllo
dello spazio volto all’arricchimento
personale.
La pianificazione dello spazio nei
minimi dettagli, è una prova di tutto
ciò descritto in precedenza, si pensi
infatti agli impianti di
videosorveglianza o ancor meglio alle
videocamere con sistema di
riconoscimento facciale poste nelle
città della Cina, tutto ciò per quanto
possa essere positivo in termini di
sicurezza può ledere l’anonimato e lo
spazio dei cittadini. Si viene pian
piano delineando uno spazio fittizio
dalla quale i cittadini non possono
uscirne.
In passato la sicurezza sociale veniva
garantita dalla costruzione stessa di un
ambiente consono, le città infatti si
andavano delineando proprio per il
precedente motivo attraverso le cinta
murarie, le staccionate e veri e propri
confini fisici, che garantivano la
sicurezza dall’attacco esterno.
Attualmente invece, i confini vengono
posti all’interno della città stessa, la
trasparenza non esiste più, il fine
ultimo non è più il bene collettivo, ma
quello personale.
Nel periodo moderno l’autorità statale
era l’unico garante dell’ordine,
esercitato tramite l’uso del monopolio
della forza, ma dopo la rottura di due
enormi blocchi, tutto è mutato
velocemente. Nel 1991, dopo il termine
della guerra fredda, gli stati non
avevano più potere in molti campi, in
particolar modo quello economico, quello
che restava era una mera sorveglianza
all’interno dello scenario economico e
territoriale interno, ne deriva quindi
che la politica non ha più la capacità
di agire sull’economia come in
precedenza aveva sempre fatto, lo spazio
diventa refrattario ai confini e diviene
sempre più uno spazio non regolato.
Per quanto l’aspetto
tecnologistico-meccanico come lo
sviluppo di potenti mezzi di trasporto
ci abbia permesso di raggiungere città
distanti da noi in tempi velocissimi,
non dobbiamo dimenticare che “la
mobilità” di cui ci siamo interessati in
precedenza, comprende anche quella “non
fisica”. Dall’avvento dei nuovi media,
la televisione, i nuovi devices e
internet, hanno fatto sì che riuscissimo
a spostarci anche non spostandoci, non
vi è più l’esigenza di preoccuparci dove
siamo e dove vorremmo andare,
giustappunto invece è importante avere
la possibilità di farlo.
È importante sottolineare che lo
spostamento continuo di risorse, ma
ancora, l’aumento dei flussi di persone
che viaggiano, non rendono le stesse
turisti, ma semplicemente dei “semplici
visitatori”. È proprio questo il punto,
la nostra società è caratterizzata da
una voglia incontrastabile di movimento,
il che potrebbe essere di nostro
piacimento, ma questo fa sì che un
vortice ci risucchi con una forza immane
da cui sarà più difficile uscirne.
La manipolazione avvenuta nel tempo ha
portato a un consumismo sempre più
acclarato, ai giorni d’oggi un bene
diviene superfluo dopo poche ore,
infatti più beni possediamo e più ne
vorremmo ed è su questo che si basa
l’economica globale. L’essere umano,
attratto dai nuovi beni, spinge
l’economia a produrre sempre di più, e
la stessa è ben compiaciuta dal farlo,
accalappiando l’attenzione dell’utente,
seducendolo sempre più e assecondandolo
in modo che non si stanchi mai di quello
che potremmo chiamare “la società del
consumo”.
Potremmo quindi ora chiederci: come
l’economia riesce a manipolare l’essere
umano seducendolo sempre più al consumo?
La logica economica cerca di soddisfare
il consumo in modo immediato, tutto ciò
deve avvenire in modo repentino sia a
livello produttivo che a livello di
consumo, infatti tutto deve avvenire
velocemente, l’idea del consumatore non
deve essere tanto l’accumulazione di
beni e ricchezze, quanto più la nota va
messa sul concetto di sensazione, ovvero
l’individuo prova delle sensazioni mai
provate prima proprio perché nuove,
rimanendo così in un moto continuo.
Come abbiamo definito in precedenza,
nessuno è esente da una mobilità
persistente, quello che cambia è il
“raggio d’azione”, questo perché non
tutti possono essere consumatori, ciò
che cambia è dove andremo a collocarci
nella sfera globale, ed è proprio qui
che viene a delinearsi la sostanziale
frammentazione tra coloro che possono
accedere alla sfera “globale” e coloro
che restano nella sfera “locale”, i
primi non hanno ostacoli, riescono a
viaggiare nel mondo attraverso le loro
risorse e quindi difficilmente avranno
delle problematiche rispetto alla logica
del consumo economico benché presenti
nella stessa, i secondi invece,
attraverso l’ottica consumistica
odierna, potranno avere degli enormi
problemi.
Qualcuno a questo punto potrebbe
affermare che non stiamo considerando la
possibilità che un determinato attore
sociale possa viaggiare – e quindi
muoversi – per propria passione, e a tal
proposito, il sociologo Bauman, ci
propone una distinzione essenziale,
ovvero quella tra i “turisti” e
“vagabondi”. I primi infatti
sceglierebbero di viaggiare per pura
passione personale, i secondi invece
sarebbero costretti a muoversi proprio
perché confinati in quella realtà
“locale” e stazionaria, che diviene
sempre più inappetibile.
Attenzione, per quanto il turista possa
essere nel pieno della propria
consapevolezza, non è da escludere che
sia stato trasformato dalla macchina
economica, ma è da constatare quanto il
“vagabondo” sia molto più manipolato
dalla stessa.
Concludendo, la cosa importante da
sottolineare è che il turista è in
continua mobilità proprio per la paura
di divenire in futuro un “vagabondo”, ne
consegue quindi che nel “mondo
globalizzato”, il mutamento è continuo e
soprattutto veloce, anche le posizioni
sociali più alte potrebbero mutare, ed è
proprio questo quello che vuole evitare
il “turista”. |