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N. 96 - Dicembre 2015 (CXXVII)

MITOLOGIA DELLA PUGLIA ANTICHISSIMA
SULLA MITOLOGIA DELLA DAUNIA

di Vincenzo La Salandra
 

A premessa si potrebbe chiarire che gli Japigi furono popolazione/civilizzazione di stirpe illirica e probabilmente provenivano dalle coste orientali dell’Adriatico. Popolo di matrice indoeuropea si stanziarono nella regione denominata dai Romani Illiria da qui si trasferirono in ‘epoca storica’ sulle coste italiane e pugliesi. L’origine illirica degli Japigi è concordemente accettata dagli storici e poeti greci e latini: Stabone e Plinio descrivono l’Apulia come anticamente abitata dagli Japigi, che nel tempo si distinsero in Dauni, Peucezi e Messapi (introno al 1400 a.C.).

 

 

I Dauni abitarono il territorio della Puglia settentrionale che si estendeva dall’Ofanto fino al fiume Tiferno, fino al periodo in cui Cesare Augusto divise amministrativamente e politicamente l’Italia in undici regioni. I Peucezi abitarono il territorio compreso tra Bari e Brindisi, mentre Japigi e Messapi occupavano l’ultima propaggine dell’Apulia. Quando Polibio descriveva la spedizione di Annibale nel Sud Italia distinse con chiarezza i Dauni dagli Japigi e Peucezi. Polibio descriveva il confine settentrionale della Daunia a ridosso dei territori dei Frentani, poco distante il Sannio.

 

Nella Daunia risiedeva il comune dicastero degli Apuli con governo democratico misto ad oligarchia, la sede del supremo magistrato era Argirippa. Nel libro III delle Storie, al capitolo 88, Polibio nomina la Daunia in occasione della spedizione cartaginese nel Mezzogiorno, l’episodio è singolare nell’uso terapeutico del vino vecchio: “Annibale, spostato di poco l’accampamento, si fermò nella regione presso l’Adriatico e, facendo lavare i cavalli con vino vecchio, di cui vi era grande abbondanza, li guarì dalla scabbia e dalla loro infermità; ugualmente fece per i soldati; guarì completamente tutti i feriti, gli altri rese vigorosi e pronti alle prossime necessità. Attraversando il territorio dei Pretuzi, di Adria, dei Marrucini e dei Frentani, lo devastò. Continuò poi il suo cammino, marciando in direzione della Iapigia.

 

Questa si divide in tre parti abitate rispettivamente dai Dauni, Peucezi e Messapi; Annibale invase la prima ovvero la Daunia e a cominciare da Luceria, colonia romana, devastava la regione. Si accampò quindi a Vibonio, assalì Agirippa (sic.) devastando impunemente tutta la Daunia [...]” Si può chiudere la breve citazione del passo di Polibio con l’explicit del III libro, che rappresenta un esempio di programmazione storica che pure illumina sulla concezione polibiana e tardo-romana della flessibilità delle leggi e delle costituzioni: “... allora, secondo il mio piano iniziale, ci soffermeremo nella trattazione minuta della costituzione romana, giudicando che tale descrizione non solo sia conveniente alla natura della nostra opera storica, ma giovi anche moltissimo agli studiosi ed a quei politici che vogliono modificare le costituzioni o crearne delle nuove.”

 

Dopo le guerre puniche e le vittorie romane, cessò l’autonomia politica della Daunia e l’imperatore Adriano mise a capo dell’Apulia e della Calabria un Correttore.

 

Storici e poeti latini e greci attribuiscono unanimi l’origine del nome della Daunia al re Dauno e prima della sua figura non si conosce altri che avesse avuto dominio sulla regione. Gli storici Timeo, nella Storia della Sicilia e Licofrone, nella Storia della spedizione di Alessandro in Epiro, nominano Dauno ma tacciono sulle sue origini e affermano che reggeva la regione all’arrivo di Diomede. Tuttavia Nicandro riporta una tradizione molto più antica, secondo la quale Dauno era figlio dell’arcade Licaone e fratello di Japige e di Peucezio. Festo dice ance che Dauno fu uomo illustre e famoso scacciato dalla patria per domestica sedizione e giunto ad occupare la Puglia alla quale diede il suo antico nome.

 

Secondo altre tradizioni Dauno discende da Pilumno I, re di Arpi, e dalla madre Danae, figlia di Acrisio (la favolosa fondatrice di Ardea) e da cui nacque Pilumno II che fu chiamato Stercuzio, perchè insegnò ai Dauni l’uso dello sterco in qualità di concime. Da lui nacque Dauno che sposò Venilia e da essi nacquero almeno: Evippe, Driona, Ecania, Giuturna, Lacero e Turno. Il quadro affollato di personaggi che si evince illumina le origini antichissime di questa regione e delinea quello che non si fa fatica a definire come piccolo pantheon mitologico delle origini dell’antica Daunia.

 

In una fonte discutibile e discussa, anche se a tratti chiaramente genuina, lo presudo-aristotelico De mirabilibus auscultationibus si parla della leggenda di Diomede al ‘paragrafo’ 79: “1. Nell’isola di Diomede che si trova in Adriatico dicono che ci sia un santuario di Diomede mirabile e sacro; tutt’attorno al santuario se ne stanno disposti in cerchio uccelli di grandi dimensioni, forniti becchi grandi e duri. Riferiscono che essi, se si avvicinano al luogo dei Greci, se ne stanno tranquilli, ma se si avvicinano dei barbari dei dintorni, allora si alzano in volo e svolazzando si proiettano sulle loro teste e ferendoli a colpi di becco li uccidono. 2. Si favoleggia che essi siano stati in origine i compagni di Diomede, naufragati presso l’isola, mentre Diomede venne ucciso da Dauno, che allora era re di quei luoghi.” Questo capitolo è di natura specialmente mitografica, sulla natura degli uccelli di Diomede Licofrone e Ovidio espressero il parere che fossero cigni, per Eliano e Stefano di Bisanzio erano aironi, Plinio li considerava con prudenza simili a pellicani.

 

Ma un luogo successivo dell’opera (capitolo 109) ci fornisce notizie molto più inusuali ed in parte sfuggenti alla vulgata comune della tarda romanità: “a) Si dice che in un luogo detto della Daunia vi sia un tempio dedicato ad Atena Achea, nel quale sono consacrate le scuri di bronzo e le armi dei compagni di Diomede e di Diomede stesso. b) In questo luogo dicono che ci siano dei cani che, quando si avvcinano dei Greci, non recano oltraggio, ma li accolgono con gioia, come se fossero loro molto familiari. c) 1. Tutti i Dauni e i loro vicini si vestono di nero, uomini e donne, a quanto pare per questo motivo: le donne troiane, che erano state ridotte in cattività e condotte in questi luoghi, timorose di dover subire una terribile schiavitù da parte delle mogli che gli Achei avevano lasciato in patria, si dice che bruciarono le loro navi, sia per sfuggire la schiavitù incombente, sia per costringere gli uomini ad unirsi con loro, obbligandoli a restare. 2.

 

Certamente su di esse si è espresso bene anche il poeta: infatti è possibile vedere, a quanto pare, queste donne che trascinano il peplo e hanno seni turgidi.” E poi continuando al 110: “Dicono che presso i Peucezi ci sia un santuario di Artemide, nel quale si narra sia consacrato un collare di bronzo ben noto in quei luoghi, che reca quest’iscrizione: ‘Diomede ad Artemide’. Si favoleggia che quegli l’avesse posto al collo di un cervo, e che esso vi avesse aderito strettamente. E in seguito trovato ancora così da Agatocle re dei Sicelioti dicono che fu dedicato nel santuario di Giove.”

 

Il capitolo 109 riferisce prima alcune notizie sul mito di Diomede e poi cenni sulle presenze e costumanze troiane in Daunia: alcuni storici moderni hanno identificato il sito del tempio di Atena Achea con Lucera, anche seguendo Strabone (6, 1, 14; 3, 9) che diceva del tempio di Atena Iliaca e Lucera. La leggenda dei cani richiama quella degli uccelli delle Tremiti/Diomedee ed è riferita da Eliano (De natura animalium, 11, 5). Nella seconda parte del capitolo l’autore colloca nella Daunia il famoso episodio dell’incendio delle navi da parte delle donne troiane: più volte collocato in diversi lidi del Mediterraneo, l’incendio potrebbe anche essersi verificato nella Daunia, almeno secondo lo pseudo-Aristotele, che narra anche dell’usanza delle fanciulle daune di vestire lunghi pepli neri, abitudine che Timeo e Licofrone (Alexandra, 1126-38) mettevano in relazione con il culto della profetessa troiana Cassandra, vivo nella città dauna di Salapia.

 

Ed è possibile concludere con un riferimento a questa antica città il presente breve contributo; Plinio inaugurava in tal modo l’elenco delle città della Daunia e la sua descrizione geografica della regione: “Hinc Apulia Dauniorum cognomine a duce Diomedis socero, in qua oppidum Salapia Hannibalis meretricio amore inclutum ...” Questa città, famosa per l’amore di Annibale con una cortigiana una bellissima peripatetica, è la prima elencata da Plinio, le sue rovine, che si trovano a Nord-Ovest di Margherita di Savoia, erano chiamate nell’antichità Lago di Salpi. Ed anche Annibale, molto prima di Lancillotto, trovò l’amore presso la dama del lago.

 

In merito al capitolo 110 e alle leggende sui Peucezi, altra popolazione dell’antica Apulia, la menzione della dedica del tempio ad Artemide (Cacciatrice/Efesina) da parte di Diomede non trova riscontri in altre fonti, ma sembra naturale ipotizzare sconfinamenti dall’area, forse poco definibile in termini di certezza e dai confini vagamente fluttuanti, della Daunia. Per concludere su questa fonte, poco studiata ma molto utile per le leggende dell’antica Apulia, Agatocle assunse il titolo regale nel 307 a. C., secondo Diodoro Siculo, e questa data potrebbe rappresentare un termine periodizzante per la stesura del capitolo e del De mirabilibus auscultationibus.

 

La nostra fonte si conclude al capitolo 178, con un singolare aneddoto pitagorico (la prospettiva pitagorica meridionale): “Dicono che Demarato, discepolo di Timeo di Locri, ammalatosi sia rimasto per dieci giorni senza voce; ripresosi lentamente dalla malattia all’undicesimo giorno raccontò di aver vissuto in quel periodo molto piacevolmente.” Timeo di Locri dovrebbe essere il protagonista dell’omonimo dialogo platonico e fu filosofo pitagorico, vissuto nel secolo IV a. C., autore di un’opera sull’anima e sulla natura del mondo. Demarato è definito akoustés la parola che indicava i discepoli di Pitagora e dei Pitagorici. Ovvero dell’orizzonte pitagorico meridionale.



 

 

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