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storia & sport


N. 11 - Novembre 2008 (XLII)

st.louis 1904, il punto più basso della storia olimpica

la gloria in cinque cerchi – parte Iv

di Simone Valtieri

 

La presenza delle donne, inaugurata alle Olimpiadi parigine, quasi scomparve per volere di De Coubertin stesso già alla successiva edizione, a St.Louis nel 1904, in quanto contrario alla pratica sportiva femminile.

 

Le Olimpiadi attraversarono l’Atlantico con la speranza di rilanciarsi dopo il flop parigino e la città designata fu scelta a discapito di Chicago o New York grazie all’intervento del presidente americano Theodore Roosevelt, per far coincidere l’evento con l’Esposizione Mondiale di quell’anno.

 

Fece il suo debutto olimpico il pugilato e si resero protagonisti di una comparsata sport praticati in Nord America come il lacrosse e il roque.

 

Dei 687 concorrenti iscritti oltre cinquecento erano statunitensi, che monopolizzarono il medagliere vincendo 76 gare su 90.

 

La presenza europea era ridotta ai minimi termini in quanto la trasferta risultava onerosa per i più.

 

Nessun italiano partecipò alle gare. Non ci fu neanche il successo di pubblico sperato, anche alle competizioni più accese, che si svolsero all’interno delle strutture della Washington University, erano presenti poche migliaia di spettatori.

 

La pista di atletica misurava 536 metri ed era ricoperta da un manto di cenere e per le prove di nuoto venne utilizzato un bacino artificiale all’interno del campus, che era anche usato per lavare gli animali della fiera.

 

L’acqua melmosa e inquinata provocò addirittura il decesso di quattro pallanotisti colpiti dal tifo.

 

L’atletica leggera fu l’unica disciplina di un certo livello internazionale che vide ai nastri di partenza atleti da dieci nazioni.

 

Gli americani vinsero comunque 23 gare su 24, i loro eroi furono James Lightbody nel mezzofondo, Harry Hillman negli ostacoli, Archibald Hahn nella velocità e il già citato Ewry nei salti, tutti con tre affermazioni a testa.

 

Nella maratona, in una giornata di caldo afoso, vinse Thomas Hicks, dopo la squalifica di Fred Lorz, che aveva percorso alcuni chilometri del percorso in automobile.

 

Hicks arrivò distrutto nello stadio, grazie anche ad alcuni beveroni che il suo allenatore gli aveva fatto prendere durante la gara, a base di albume d’uovo, brandy e stricnina, provocandogli uno stato di spossatezza talmente forte che non fu scattata alcuna foto celebrativa all’arrivo.

 

Quarto arrivò un postino cubano, Felix Carbajal, che perse tutti i suoi averi al gioco in una bisca di New Orleans e si presentò alla partenza all’ultimo momento in pantaloni lunghi e stivaloni da cowboy, recuperati per strada prima di arrivare.

 

Corse tutta la gara con quelle calzature e se non fosse stato per i crampi e per alcune mele acerbe colte durante il tragitto, che gli procurarono forti dolori di stomaco, avrebbe probabilmente portato a termine la prova da vincitore.

 

Nella ginnastica a farla da padrone furono i due statunitensi Anton Heida, con cinque vittorie il più vittorioso atleta di questa edizione, e George Eyser che gareggiava con una gamba di legno perché finito sotto un tram in giovane età e che portò a casa sei piazzamenti tra i primi tre.

 

Marcus Hurley vinse in quattro gare di ciclismo, prima di appendere la bicicletta al chiodo e dedicarsi alla pallacanestro prima e a una brillante carriera da architetto poi.

 

Nella scherma il cubano Ramon Fonst vinse tre ori tra spada e fioretto, diventando il primo atleta latino-americano a conquistare un alloro olimpico.

 

A proposito di etnie, si toccò a St.Louis il punto più basso di sempre nella storia olimpica, con le “giornate antropologiche”, gare, mascherate da esperimenti scientifici con in realtà forti connotati razzisti, che vedevano cimentarsi atleti di varie etnie tra i quali filippini, nativi americani, mongoli, inuit e pigmei.

 

Gli stessi gareggiarono in discipline mai provate prima e che a causa delle loro difficoltà e dei loro goffi tentativi di confrontarsi, suscitavano l’ilarità del pubblico presente.

 

Lo stesso De Coubertin, che non aveva mai autorizzato un simile spettacolo, si vergognò a vita dell’accaduto.



 

 

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