N. 30 - Giugno 2010
(LXI)
il "miracolo" di berna
svizzera 1954
di Simone Valtieri
Il
miracolo
di
Berna è il titolo di un film
di
Sönke
Wortmann
del
2003
in
cui
si
romanza
il
cammino
della
Germania
Ovest
verso
il
titolo
mondiale
del
1954,
ma
per
capire
quanto
si
tratti
effettivamente
di
un
miracolo
è
necessario
raccontare
completamente
la
storia
di
quella
V
coppa
del
mondo.
Dopo la chiassosa edizione
brasiliana,
lo
scenario
offerto
dall’alpina
Svizzera
prelude
ad
un
mondiale dall’atmosfera
più
sobria.
Trentasei
sono
le
formazioni
che
partecipano
alle
qualificazioni
tra
cui
non
figurano
l’Argentina,
per
motivi
politici
interni,
e
l’Unione
Sovietica.
Delle
sedici
squadre
qualificate
ben
dodici
arrivano
dal
vecchio
continente
con
le
novità
assolute
di
Turchia,
Scozia
e
soprattutto
della
Repubblica
Federale
Tedesca,
calcisticamente
nota
come
Germania
Ovest.
Le
quattro
formazioni
extra
europee
sono
Messico,
Corea
del
Sud,
Brasile
ed i
campioni
in
carica
dell’Uruguay.
L’Italia
si
presenta
all’appuntamento
del
1954
al
termine
di
quattro
anni
travagliati,
iniziati
con
nove
mesi
di
inattività
dopo
Brasile
’50
e
conclusi
con
una
illusoria
amichevole
premondiale
contro
la
Francia
a
Parigi,
finita
con
un
netto
3-1
per
gli
azzurri.
La
squadra
venne
prima
messa
tra
le
mani
di
Giuseppe
Meazza,
tanto
bravo
come
giocatore
quanto
inadeguato
come
allenatore,
poi
di
svariate
ed
impersonali
commissioni
tecniche
che
hanno
portato
a
risultati
altalenanti
e
talvolta
deludenti.
Una
curiosità:
è a
questo
periodo
che
risale
la
nascita
del
celebre
“catenaccio”
(chiamato
per
la
prima
volta
“verrou”,
ossia
“chiavistello”,
dagli
svizzeri)
che
deve
il
suo
nome
attuale
ed
il
suo
sviluppo
ad
Alfredo
Foni,
allenatore
della
nazionale
negli
anni
successivi.
Le sedici formazioni
partecipanti
vengono
organizzate
in
quattro
gironi
all’italiana
che
qualificano
le
prime
due
ai
quarti
di
finale
ad
eliminazione
diretta.
La
favorita
d’obbligo
è
l’imbattibile
Ungheria,
inserita
nel
gruppo
B
con
Germania
Ovest,
Turchia
e
Corea
del
Sud,
che
viene
da
quattro
anni
senza
sconfitte
e
schiera
in
campo
una
generazione
di
fenomeni
(Hidegkuti,
Kocsis,
Czibor)
capitanata
dal
colonnello
dell’esercito
Ferenc
Puskas.
I
magiari
giocano
in
scioltezza
la
prima
fase,
rifilando
un
secco
9-0
alla
Corea
del
Sud
ed
un
perentorio
8-3
alla
Germania
Ovest
nonostante
gli
oltre
20.000
tifosi
tedeschi
accorsi
al
seguito
dei
propri
beniamini.
Bastano
questi
due
risultati
agli
ungheresi
per
qualificarsi
visto
che
all’epoca
si
preferiva
non
far
giocare
i
match
considerati
ininfluenti
ai
fini
del
passaggio
del
turno.
Così
è
uno
spareggio
tra
Germania
Ovest
e
Turchia,
peraltro
già
affrontatesi
nella
partita
inaugurale
del
girone
terminata
4-1
per
i
tedeschi,
a
decidere
la
seconda
formazione
qualificata.
L’
incontro
termina
con
un
ancor
più
netto
7-2
ed i
tedeschi,
trascinati
dal
capitano
Fritz
Walter,
passano
al
turno
successivo.
Nel gruppo A si qualificano
a
braccetto
alla
seconda
fase
i
funamboli
brasiliani
e
gli
arcigni
jugoslavi,
che
superano
rispettivamente
il
Messico
per
5-0
e la
Francia
con
un
solo
gol
di
scarto,
prima
di
terminare
1-1
dopo
i
tempi
supplementari
(all’epoca
non
esistevano
i
rigori)
la
sfida
diretta.
Da
notare
che
con
le
regole
attuali
che
prevedono
incontri
tra
tutte
le
formazioni
del
girone,
la
Francia,
vittoriosa
sul
Messico
per
3-2,
avrebbe
avuto
la
possibilità
di
passare
il
turno
sconfiggendo
il
Brasile
in
un
ipotetico
terzo
incontro.
Anche
per
questo
motivo
le
regole
della
coppa
saranno
successivamente
riscritte.
L’1-0
tra
Francia
e
Jugoslavia,
come
anche
il
medesimo
risultato
tra
Austria
e
Scozia
nel
gruppo
C,
rimarranno
due
risultati
stonati
in
un
mondiale
in
cui
la
media
gol/partita
supererà
abbondantemente
le
cinque
reti
(5,38).
Del gruppo C, oltre alle
già
citate
Austria
e
Scozia,
fanno
parte
i
campioni
in
carica
dell’Uruguay
e la
Cecoslovacchia,
non
più
ai
fasti
degli
anni
precedenti
la
guerra.
Anche
qui
bastano
due
partite
a
qualificare
Uruguay
ed
Austria,
senza
neanche
la
necessità
dello
scontro
diretto,
visto
che
entrambe
le
formazioni
risulteranno
vincitrici
nei
due
match
contro
Cecoslovacchia
e
Scozia.
L’Italia
è
inserita
nel
quarto
raggruppamento,
con
i
maestri
inglesi,
i
padroni
di
casa
della
Svizzera
e
l’abbordabile
Belgio.
Ed è
proprio
contro
quest’ultima
che
arriva
l’unica
affermazione
degli
azzurri
in
questo
mondiale
(4-1
il
risultato
con
gol
di
Pandolfini,
Galli,
Frignani
e
Lorenzi)
in
cui
la
Svizzera
sconfigge
la
nazionale
italiana
in
due
occasioni:
2-1
nella
prima
partita
del
girone,
pesantemente
condizionata
da
alcune
scelte
sciagurate
dell’arbitro
brasiliano
Viana,
e
4-1
nello
spareggio
per
qualificarsi
ai
quarti
dietro
all’Inghilterra
di
Sir
Stanley
Matthews.
Gli
azzurri
saranno
accolti
malamente
al
rientro
in
patria
con
tanto
di
lancio
di
pomodori
da
parte
dei
connazionali
che
avevano
per
la
prima
volta
potuto
seguire
in
televisione
gli
incontri
della
nazionale.
Svizzera
’54
sarà
infatti
la
prima
edizione
della
coppa
del
mondo
teletrasmessa,
anche
se
solamente
sul
posto
e
nei
paesi
confinanti.
Ai quarti di finale arrivano
dunque
sei
formazioni
del
Vecchio
Continente
oltre
alle
due
finaliste
sudamericane
della
precedente
edizione.
Il
match
più
intenso
è
sicuramente
il
derby
alpino
tra
Austria
e
Svizzera
finito,
in
un
proliferare
di
gol
ed
emozioni,
con
l’incredibile
risultato
di
7-5
in
favore
degli
ospiti.
Dopo
un
quarto
d’ora
di
studio
nel
giro
di
dieci
minuti
il
risultato
si
fissa
sul
3-3.
Vanno
a
segno
per
i
padroni
di
casa
Ballaman
al
16’
ed
Hügi
al
17’
ed
al
20’,
cui
rispondono
immediatamente
gli
austriaci
Wagner
(24’
e
27’)
e
Körner
(26’).
Passa
un’altra
manciata
di
minuti
ed
il
risultato
viene
portato
sul
5-3
per
gli
ospiti
grazie
ad i
gol
di
Ocwirk
(32’)
ed
ancora
Körner
(35’).
Due
minuti
e
Ballaman
sigla
il
5-4:
roba
da
videogame.
Si
va
al
riposo
ancora
increduli
di
aver
visto
siglare
nove
gol
nel
giro
di
21
minuti.
Alla
ripresa
al
52’
Wagner
allunga
ancora
per
l’Austria
e
dopo
altri
sei
minuti
Hügi
firma
la
tripletta
personale:
6-5,
il
match
va
scemando
ed
al
76’
è
il
bomber
austriaco
del
torneo,
Erich
Probst,
a
siglare
il
definitivo
7-5.
Di fronte a tanta e storicamente
insuperata
abbondanza
di
segnature
sembra
poca
cosa
il
4-2
con
cui
l’Uruguay
di
Varela
e
Schiaffino
supera
i
maestri
inglesi,
ed
ancor
di
più
il
“misero”
2-0
con
il
quale
la
Germania
Ovest
ha
la
meglio
a
sorpresa
sulla
Jugoslavia
(Autogol
di
Horvat
e
gol
a
pochi
minuti
dal
termine
di
Helmut
Rahn).
Ma
il
match
più
atteso
è un
altro
e
vede
di
fronte
le
due
formazioni
più
forti
del
panorama
mondiale.
L’Ungheria
della
generazione
di
fenomeni
ed
il
Brasile
che
di
fenomeni
ne
sforna
in
abbondanza
ogni
annata.
Il
problema
è
che
di
calcio
non
si
può
parlare
quando
a
referto
finiscono
due
rigori,
tre
espulsi,
falli
a
ripetizione
e
più
di
un
giocatore
in
ospedale.
Addirittura
nel
dopopartita,
terminata
per
la
cronaca
4-2
in
favore
dei
fortissimi
magiari,
l’ala
Zoltan
Czibor
viene
preso
a
pugni
dal
brasiliano
Maurinho,
e la
zuffa
tra
Pinheiro
e
Puskas,
finisce
per
una
bottigliata
in
testa
a
zero
in
favore
dell’ungherese.
Un
marasma
In semifinale continua
la
marcia
della
Germania
Ovest
che
sorprendentemente
schianta
i
favoriti
austriaci
col
punteggio
tennistico
di
6-1.
Una
pesante
firma
sull’incontro
viene
posta
dai
fratelli
Fritz
ed
Ottmar
Walter
che
siglano
due
gol
a
testa.
Fondamentale
in
tutto
il
cammino
dei
tedeschi
verso
la
finale
è il
loro
innovativo
approccio
al
gioco,
basato
su
una
minuziosa
preparazione
fisica
a
corroborare
quella
tecnica.
Dall’altra
parte
si
incontrano,
in
quella
che
veniva
considerata
allora
la
finale
anticipata
del
torneo,
i
campioni
in
carica
uruguagi
ed i
magiari.
Il
risultato
per
l’Ungheria
è il
medesimo
del
quarto
di
finale
col
Brasile,
la
differenza
sostanziale
è
che
stavolta
si
può
parlare
di
“calcio”
e
non
di
“calci”,
visto
il
pregevole
spettacolo
offerto
dalle
due
formazioni
in
campo.
Ai
gol
di
Czibor
ed
Hidegkuti
nel
primo
tempo,
risponde
nel
secondo
il
centravanti
della
Celeste
Hohberg
che
nel
giro
di
dieci
minuti
riesce
ad
allungare
la
partita
fino
ai
supplementari.
Qui
però
si
scatena
la
punta
Sandor
Kocsis
che
con
due
gol
spedisce
i
suoi
in
finale
e
conquista
la
vetta
definitiva
della
classifica
marcatori
con
11
segnature.
Il 4 luglio del 1954 si
gioca
la
finale
nello
stadio
Wankdorf
di
Berna.
Il
giorno
prima
a
Zurigo
era
terminata
3-1
la
finalina
per
il
terzo
posto
tra
Austria
ed
Uruguay.
I
favoriti
appaiono
essere
senza
ombra
di
dubbio
i
fenomeni
ungheresi,
non
fosse
altro
per
il
netto
8-3
rifilato
ai
tedeschi
nel
girone
eliminatorio,
ma
qualcuno
già
sapeva
che
l’esito
dell’incontro
poteva
non
essere
del
tutto
scontato.
“Non
si è
quasi
mai
dato
il
caso
che
il
favorito
della
vigilia
diventasse
il
campione
del
mondo:
ci
saranno
delle
sorprese…”.
A
fare
questa
affermazione
in
tempi
non
sospetti,
ossia
subito
prima
dell’inizio
dei
quarti
di
finale,
era
stato
proprio
il
papà
della
coppa
del
mondo,
Jules
Rimet,
ormai
dimessosi
dalla
presidenza
della
Fifa
per
trascorrere
in
tranquillità
gli
anni
della
terza
età.
A guidare i tedeschi
all’assalto
della
corazzata
ungherese
è il
tecnico
Sepp
Herberger,
cui
si
deve
una
scelta
con
tutta
probabilità
decisiva
ai
fini
della
conquista
del
titolo.
Il
tecnico
di
Mannheim
infatti
scelse
di
mandare
in
campo
nel
primo
match
del
mondiale
una
formazione
fatta
di
riserve,
sicuro
che
contro
le
forze
fresche
magiare
al
primo
incontro
i
suoi
uomini
migliori
avrebbero
solamente
sprecato
energie.
Come
già
raccontato
il
risultato
finale
fu
di
8-3
per
l’Ungheria
ma
la
figuraccia
d’esordio
era
stata
messa
in
preventivo
dal
tecnico
tedesco,
che
azzardò
una
scelta
rivelatasi
poi
giusta.
Gli
“Aranycsapat”,
la
squadra
d’oro,
come
veniva
chiamata
in
patria
l’Ungheria,
si
trova
dunque
ad
affrontare
una
formazione
inedita,
ma
per
nulla
intimorita
si
porta
lo
stesso
in
vantaggio
per
2-0
dopo
appena
nove
minuti
di
gioco.
La partita sembra già
segnata
ma
sorprendentemente
la
Germania
Ovest,
aiutata
dal
clima
pesante
più
idoneo
alla
fisicità
dei
propri
giocatori,
prima
accorcia
con
il
centrocampista
offensivo
Max
Morlock,
poi
pareggia
grazie
ad
un
gol
di
Helmut
Rahn.
L’intensificarsi
della
pioggia
rende
ancora
più
duro
l’incontro
e
per
l’Ungheria
il
gol
diventa
stregato:
prima
Puskas
si
divora
due
occasioni
davanti
al
portiere,
poi
arrivano
due
legni
a
negare
il
gol
ai
suoi
compagni
di
squadra.
A
quattro
minuti
dalla
fine
è
ancora
Rahn
a
gelare
il
sangue
dei
magiari:
riceve
un
passaggio
perfetto
del
capitano
Walter,
scarta
il
centrale
Loran
e di
sinistro
insacca
all’angolo
destro
del
portiere
Grosics.
3-2
il
finale
con
i
tedeschi
ebbri
di
gioia
e
gli
ungheresi
a
vagare
smarriti
per
il
terreno
di
gioco.
Da
li a
due
anni
l’Ungheria
continuerà
a
dominare
il
palcoscenico
del
calcio
internazionale,
fino
all’ingresso
dei
carri
armati
a
Budapest
ed
all’inizio
dell’invasione
Sovietica.
Quella
di
Berna
rimarrà
l’unico
incontro
perso
dagli
invincibili
nell’arco
di
sei
annate.
Perché può non convincere
allora
il
termine
“miracolo”?
L’Ungheria
di
quegli
anni
era
sicuramente
una
delle
più
forti
nazionali
di
ogni
tempo,
la
prima
artefice
del
calcio
totale
e
con
un
ventennio
di
anticipo
sulla
Olanda
degli
anni
Settanta.
La
Germania
era
poco
più
che
una
buona
squadra,
ordinata
e
ben
preparata,
ma
nessuno
si
sarebbe
aspettato
il
trionfo
in
finale.
Allora
cosa
è
che
ancora
oggi
non
convince
tanti
storici
non
solo
dello
sport
riguardo
a
quel
trionfo?
Ciò
che
maggiormente
insospettisce
sono
i
risvolti
dei
mesi
immediatamente
successivi
alla
finale
di
Berna,
quando
tutti
o
quasi
gli
artefici
di
quell’impresa
vengono
colpiti
dal
medesimo
morbo
di
tipo
itterico
e la
maggior
parte
di
essi
è
costretta
a
cessare
la
propria
attività
agonistica.
Il
sospetto
del
doping
aleggia
ancora
oggi
su
quella
formazione
sorprendente
ma,
presumendo
sempre
l’innocenza
fino
a
prova
contraria,
non
sono
mai
state
trovate
prove
certe
a
suffragio
di
quell’infangante
accusa.