N. 21 - Febbraio 2007
Le migrazioni
degli uccelli
Sulla
diminuzione dell’avifauna europea ad inizio
novecento
di
Matteo Liberti
“Il vedere perennemente giungere a noi in autunno le
torme innumerevoli degli uccelli di passo con
meravigliosa costanza di date, senza che apparisse
sensibilmente diminuito il loro numero per volgere di
anni, ci ha fatto credere che la loro produzione fosse
infinita ed abbiamo scialato uccidendoli a
milioni...”.
Iniziava con queste parole la relazione letta dallo
studioso di ornitologia Giacinto Martorelli durante il
Congresso Cinegetico di Roma del 12 Novembre
1911. Il tema fondamentale della suddetta relazione
riguardava i rapporti tra le migrazioni degli uccelli
e le attività di caccia, con il risultato di un’ampia
panoramica su molti aspetti di questa consuetudine
così peculiare e straordinaria che vedeva ogni anno
milioni e milioni di volatili in tutto il mondo.
Quando ci si accorse, dice il Martorelli, della grande
diminuzione che stava coinvolgendo gli uccelli di
tutta Europa, quel che all’inizio si pensò fu che in
fondo non ci fosse poi molto da preoccuparsi.
I
cari amici volatili continuavano dopotutto a giungere
in grande abbondanza ad ogni passare dell’anno e si
poteva ben star tranquilli che ci sarebbero sempre
stati dei novelli uccelletti disponibili ad allietare
le bocche delle doppiette. “Noi dobbiamo”, si
opponeva lo studioso, “invece riconoscere che le
molte numerose specie della nostra avifauna – che
quasi raggiungono le cinque centinaia, se si
comprendono nel numero anche quelle avventizie – sono
divenute ormai poverissime di individui e che in modo
particolare vediamo divenir sempre più scarsi i
novelli nati nelle nostre regioni.”.
Le grandi migrazioni, già sul finire del
secolo, non lasciavano più lo stesso numero di coppie
generatrici di qualche anno prima, e questo avveniva
sia per le morti provocate dalla caccia, sia per una
più generale mancanza di tranquillità (dovuta
soprattutto allo sviluppo urbano).
Affrontando il tema della migrazione, bisogna
evidenziare come le specie che migrano e quelle che
invece stazionano non siano nettamente distinguibili
tra loro, presentando invece molte sfumature e livelli
intermedi.
I
migratori, infatti, possono esserlo in maniera più o
meno regolare o accidentale, essendo alcuni piuttosto
erranti che migratori veri e propri. Allo
stesso modo alcune specie sedentarie, o per lo meno
così considerate, possono invece esser tali
solo in parte o solo in determinati periodi della
propria vita, oppure possono apparire come sedentarie
delle specie che un tempo son state migratrici. Ci
sono, per il resto, quegli uccelli che possono essere
senza dubbio definiti come migratori tipici e che sono
la gran parte dell’avifauna presente in Europa ed in
particolare in Italia.
Un
migratore tipico è quell’uccello che usa
percorrere notevoli superfici del globo terrestre per
spostarsi da latitudini circumpolari a latitudini
equatoriali e viceversa. Anche se la maggior parte di
questi uccelli esegue i propri voli all’interno
dell’emisfero artico, ossia in quell’emisfero che
possiede le maggiori terre emerse, vi è pur sempre
qualche particolare eccezione: la Cicogna e la
Rondine, ad esempio, usano oltrepassare l’equatore
spingendosi poi fino all’estremità australe del
continente africano, mentre, dall’altra parte
dell’oceano atlantico, si può trovare il Batitù, un
uccello che attraversa da un capo all’altro i due
continenti americani.
Questo scambio di migratori tra
i due emisferi è un fattore determinante per quel
rinnovamento che è necessario a mantenere alte le
capacità e le forze riproduttrici di ogni specie.
Ogni massa migrante, ci continua a informare il
Martorelli, è formata da un grande numero di colonie o
gruppi di individui, ciascuna con una propria area
abitativa. Quest’area rappresenta una piccola unità
territoriale rispetto a quella totale in cui si
estende un’intera specie e si trova disseminata lungo
il percorso compiuto durante la migrazioni. Col
procedere della migrazione, ogni massa migrante usa
raccogliere, lungo il percorso, e portare con se
quegli individui delle varie colonie che sono pronti a
spiccare anche loro il volo.
E
così...“una moltitudine immensa di uccelli d’ogni
genere si distribuisce con alterna vicenda sopra
quella sterminata superficie che è formata
dall’Europa, dalla più gran parte dell’Asia e
dell’Africa settentrionale e questa vastità di terre
ci spiega come possa trovare alimento e riparo una
così ingente quantità di uccelli dell’antico mondo,
mentre al modo stesso l’ampiezza delle due Americhe
supplisce alle necessità vitali dei loro migratori.”
In
questo viaggio da Nord a Sud e da Sud a Nord, la
grandissima parte degli uccelli segue dei percorsi che
non sono, come spesso invece si era creduto, dei
percorsi dritti, lineari. Essi compiono, piuttosto,
qualcosa di simile a uno zig zag, deviando fortemente
verso Est o verso Ovest.
Nel
passo autunnale viene compiuta una sensibile
deviazione verso Ovest (con la formazione così di una
diagonale Sud-Ovest), mentre in primavera il movimento
risulta essere in direzione Est (con una diagonale,
quindi, da Sud-Ovest a Nord-Est).
Queste deviazioni, imposte dal moto rotatorio
terrestre, erano da tenere in grande considerazione
quando si affrontavano questioni relative agli uccelli
e alla caccia: prendere atto delle vere direttrici
seguite dagli uccelli avrebbe significato superare un
pregiudizio ben radicato e secondo il quale gli
uccelli di passo, durante la migrazione, si muovevano
da Nord a Sud seconda una linea retta. Essi si
sarebbero così trovati nelle regioni del settentrione
molto tempo prima che in quelle meridionali. In
Italia, data la forma particolarmente allungata
della penisola, gli uccelli che per esempio fossero
passati in Piemonte, si sarebbero dovuti vedere al Sud
solo qualche settimana dopo.
Da
ciò si è spesso sostenuto che le disposizioni inerenti
la caccia fossero da conformare alle differenze che
c’erano, nelle date di arrivo e di partenza degli
uccelli, fra le regioni settentrionali e quelle
meridionali. A completare convinzioni, c’era anche
quella che tali differenze di date dessero origine a
procreazioni pure esse dislocate in periodi diversi a
seconda delle zone.
Che
cosa dicevano i riscontri effettuati sul campo?
Lo
stesso professor Martorelli, ricordando gli anni di
collaborazione che ebbe col Giglioli nel periodo delle
ricerche per la sua Inchiesta ornitologica Italiana,
racconta quello che ebbe modo di sperimentare durante
le metodiche osservazioni che usava compiere
annualmente. Queste osservazioni riguardavano
soprattutto le linee di spostamento dei migratori, sia
in primavera che in autunno, si concentravano in
particolare sulle regioni della Toscana e del
Piemonte.
Grazie a rapidi e ben organizzati spostamenti da una
all’altra zona, egli riusciva a trovarsi quasi in
contemporanea in molte località delle due regioni.
Nel
commento finale al suo lavoro, a tutte le cifre ed ai
dati raccolti nel tempo, il Martorelli affermava senza
dubbi che lo stesso tipo d’uccello poteva essere
visto, nello stesso periodo, indifferentemente in
Toscana od in Piemonte:
“Potei così constatare in modo diretto la
contemporaneità delle apparizioni nelle due regioni,
malgrado la differenza di latitudine, confortando
ancora le mie constatazioni con quelle di altri
osservatori e di molti proprietari di tese ed
uccelliere.”
E
di seguito: “Ma intanto avevo cominciato a
connettere questi risultati delle osservazioni locali,
con quelle sempre più numerose che affermavano il
movimento diagonale già descritto, anche per il resto
d’Europa...”.
Il cuore pulsante della grandissima parte di
tutti questi flussi migratori diagonali era
rappresentato dal mar mediterraneo e dalle fasce di
terra che lo circondano.
In
questo grande territorio di volo è possibile
distinguere tre grandi zone come le maggiormente
frequentate:
-
una zona orientale, tra l’Asia minore e la costa
Egiziana;
-
una centrale, tra l’Italia e la costa Tunisina;
-
una zona occidentale, tra la penisola Iberica e le
coste Marocchine.
Queste tre zone coincidono con quelle parti del mar
Mediterraneo che sono maggiormente contraddistinte
dalla presenza di isole, importantissimi punti di
sosta per gli uccelli e particolarmente per quelli che
non sono dotati di ali resistentissime.
Alle specie solite che sorvolano e attraversano il
mediterraneo se ne aggiungono ogni tanto delle altre
che possono essere considerate come specie avventizie:
queste provengono in una piccola parte dai continenti
americani ed in una parte molto più grande dall’Asia
settentrionale, soprattutto dalla zona dello stretto
di Bering. “Infatti le osservazioni dei nostri
maggiori ornitologi, il Salvadori ed il Giglioli, già
avevano fatto includere nella nostra avifauna come
avventizie parecchie specie dell’Asia centrale e della
Siberia; l’Arrigoni (Ettore
Arrigoni degli Oddi, 1867-1942, appassionato
ornitologo autore di molte pubblicazioni e,
soprattutto, fautore ed organizzatore della più
importante raccolta ornitologica presente in Italia,
comprendente 9.966 uccelli appartenenti a 569 specie
diverse) ed io stesso ne abbiamo dovute aggiungere parecchie
altre.”
Tra
il mar mediterraneo e l’Europa passava dunque un
grandissimo numero di specie di uccelli provenienti da
tutto il mondo, le quali usavano attraversare nello
stesso periodo più regioni contemporaneamente, volando
per linee diagonali; una legge sulla caccia che non
avesse tenuto conto di ciò era da considerarsi più
dannosa che inutile.
Le
leggi che c’erano, ancora nel ventesimo secolo,
soprattutto in Italia, non tenevano ovviamente conto
di ciò, stabilendo invece, regione per regione, date
differenti per l’apertura e per la chiusura della
caccia agli uccelli di passo.
L’armonizzazione dei tanti calendari venatori,
rammentava il Martorelli, avrebbe dovuto essere
accompagnata anche da una generale riduzione dei
periodi totali di caccia, sempre che si fossero volute
preservare con efficacia sia la conservazione delle
varie specie esistenti che le loro capacità
riproduttive.
Nelle zone non disturbate dai cacciatori, infatti, si
poteva rinnovare perennemente il sangue degli
individui generanti, ed ai vecchi succedevano i
giovani freschi “e vigorosi, onde la fecondità si
perpetua.”
Questa benefica disseminazione aveva luogo
soprattutto durante il passo primaverile. “Quindi
il mio parere […] non può essere incerto, ne esitante”,
bisognava proibire la caccia
“non solo in quei mesi
nei quali ha luogo la riproduzione, ma anche durante
tutto il periodo dei passi primaverili, comprendendovi
pure quell’ultima parte dell’inverno durante la quale
si preparano quei legami di simpatia che hanno per
epilogo la formazione delle coppie generatrici.”
Riferimenti
bibliografici:
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