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N. 129 - Settembre 2018 (CLX)

LE MIGRAZIONI BARBARICHE

la fine dell’Impero Romano d’Occidente

di Francesco Giannetti

 

A partire dal II secolo a.C., l’espansione militare di Roma intorno al Mediterraneo crea una vasta area di stabilità politica erede della cultura ellenica. La resistenza di quest’area è più volte messa a dura prova delle aggressioni del mondo dei nomadi, fino a cedere del tutto, nella parte occidentale, a partire dai primi anni del V secolo.

 

Da una prospettiva ”romanocentrica”, la storiografia parla di “invasioni barbariche”, a sottolineare l’aspetto guerresco e distruttivo degli spostamenti migratori che segnano la fine dell’ordinamento imperiale in Occidente, mentre guardando a quegli eventi come un episodio sul lunghissimo confronto tra nomadi e sedentari, si parla, soprattutto nella storiografia di lingua tedesca dal XIX secolo, semplicemente di “migrazione di popoli”.

 

I popoli aggressori, accomunati sotto il nome di Germani, hanno come detto, origine dal processo di indoeuropeizzazione che interessa la penisola danese e il meridione della penisola scandinava; da qui i Germani ripartono già verso la fine del II millennio a.C. espandendosi verso la costa baltica e il Mar del Nord.

 

Verso il VI secolo d.C. raggiungono la Valle del Reno e vengono a contatto con i Celti. Poco più tardi raggiungono, nella loro espansione verso sud, anche il Danubio. Da qui Reno e Danubio svolgono un ruolo di contenimento all’espansione germanica, prima come semplici confini naturali, poi anche come confine politico presidiato dalle legioni romane, chiamato limes.

 

Già alla fine del II secolo a.C. Roma viene a contatto con alcune tribù germaniche in movimento verso sud: vengono sconfitti definitivamente sia i Cimbri, sia i Teutoni nel 102 e nel 101 a.C. dalle legioni di Gaio Mario.

 

Il successivo scontro con i Germani lo avrà Giulio Cesare durante la conquista della Gallia nel 58 a.C. sconfiggendo i Suebi di Ariovisto, che secondo la convinzione di Giulio Cesare avrebbero probabilmente conquistato la Gallia se non fossero stati preceduti dai romani. Cinquant’anni dopo, il tentativo di Roma di inglobare nei domini dell’impero le terre abitate dai Germani fino al fiume Elba si scontra nel 9 d.C. con la sollevazione capeggiata ad Arminio che nel bosco di Teutoburgo annienta le legioni di Quintilio Varo fino a che Tiberio decide di abbandonare le poco sicure conquiste a est del Reno, eretto da questo momento in poi a confine dell’Impero.

 

Nella regione dei Balcani, la popolazione unificata sotto Roma incontra un insieme di etnie in cui le popolazioni locali si sovrappongono nei secoli in tribù scitiche e sarmatiche secondo una perdurante prassi migratoria che porta nomadi e seminomadi dalle steppe pontiche verso la valle del Danubio.

 

Non mancano però i contatti pacifici e gli scambi commerciali di armi, prodotti di lusso, vino, monete ecc. in cambio di schiavi, pellicce, miele, ambra ecc., che agiscono da fattori di reciproca conoscenza e trasformazione. Il crescente impiego di barbari nei ranghi ausiliari dell’esercito, se costituisce per loro una scuola di guerra di cui faranno tesoro, fornisce a Roma giovamenti importanti anche se provvisori, sia per l’alleggerimento della pressione sulle frontiere sia per il rafforzamento di un esercito che ha continuamente bisogno di uomini, che fino ad allora aveva spopolato le campagne.

 

Un primo tentativo migratorio delle tribù stanziate lungo il limes si ha a partire dal 166 d.C., causato anche dalla spinta dei movimenti di altre tribù, come i Goti, germani orientali che dalla regione della Vistola si stanno dirigendo verso il Mar Nero. Inizia così la penetrazione dei Quadi e dei Marcomanni sul medio corso del Danubio, mentre gli Iazigi entrano in Dacia. L’incursione più pericolosa si ha nel 169 d.C., quando una grande coalizione germanica sotto il comando dei Marcomanni irrompe in profondità dalla Pannonia giungendo fino ad Aquileia, prima di essere sterminata dalle truppe di Marco Aurelio.

 

Dopo alcuni anni di apparente tranquillità, nel III secolo i movimenti e le conseguenti pressioni sul confine si fanno più intensi. Negli anni trenta sono gli Alamanni, un vasto aggregato germanico (letteralmente significa “tutti gli uomini”), a mettere in difficoltà le truppe romane nell’area della Germania superiore.

 

Dal 248 d.C. in poi i Goti, con le loro incessanti e numerose incursioni per terra e per mare, diventano i principali nemici dell’area balcanica, fino a che Quinto Aurelio Claudio, detto appunto “Gotico”, non riesce a infliggere loro una pesante sconfitta a Naisso (269 d.C.), mentre nel basso corso del Reno la grande federazione dei Franchi, fermata in un primo tempo da Gallieno, nel 258 d.C. riesce a sfondare il limes e a spingersi attraverso la Gallia in Spagna, prima di essere ricacciata al punto di partenza.

 

Intanto anche i Pitti passano all’attacco, e i Sassoni bersagliano con le loro incursioni dal mare le coste settentrionali della Gallia, mentre dalla Germania nord-orientale, Burgundi e Vandali iniziano a loro volta la migrazione verso ovest e verso sud.

 

Nel frattempo l’impero, indebolito dall’anarchia militare che vede il frenetico succedersi di nomine imperiali e perfino la temporanea fine dell’unità politica, viene messo a durissima prova su tutti i confini, dalla Britannia all’Egitto, dal dinamismo dei popoli esterni, finchè ritrova unità e solidità con gli imperatori illirici.

 

Infatti sotto Diocleziano e Costantino la quiete sembra prevalere, ma intanto è già stata abbandonata la provincia della Germania superiore e la Dacia; inoltre la “barbarizzazione” dell’esercito continua e si accentua, mentre in numero crescente i barbari vengono insediati entro i confini imperiali in qualità di coloni, a colmare i vuoti del declino demografico.

 

Nel frattempo, intorno al 350 d.C. i Goti sono convertiti al cristianesimo ariano dal vescovo eretico Wulfila, e l’arianesimo si diffonde tra tutti i barbari, ad eccezione dei Franchi che si convertiranno in seguito al credo niceno.

 

Maggiori tensioni si verificano verso la metà del IV secolo d.C. ma poi è la comparsa degli Unni a trasformare profondamente la situazione, sospingendo verso occidente gli altri popoli e dando avvio alla grande migrazione. Partiti dalle steppe centro-asiatiche, con il loro ingresso violento nella regione a nord del Mar Nero questi nomadi sconfiggono prima gli Alani, e poi cancellano il dominio degli Ostrogoti che si assoggettano o fuggono insieme a gruppi di Alani e Visigoti verso la regione della Mesia, chiedendo ospitalità nel 375 d.C. all’imperatore Valente.

 

La complessa ospitalità si dimostra subito problematica fino ad arrivare alla sconfitta di Adrianopoli da parte dei Goti dove anche l’imperatore Valente trova la morte. La pace che Teodosio si affretta a trattare comporta un ben più ampio e favorevole programma di insediamento dei Visigoti, che vanno ad occupare alcune zone della Tracia e della Mesia. La debolezza dello Stato induce comunque i Visigoti a non placarsi: dopo anni di scorrerie nella penisola balcanica, nel 401 d.C. giungono in Italia al comando di Alarico.

 

Sconfitto dal generale di origine vandala Stilicone, Alarico resta comunque pericoloso, tanto da tornare all’assalto dell’Italia nel 408 d.C., per giungere a Roma, e farne il famoso sacco, nell’agosto del 410 d.C.

 

Da qui, sotto il comando di Ataulfo, i Goti si dirigono in Gallia e occupano l‘Aquitania per poi sconfinare in Spagna dove, tra il 416 d.C. e il 418 d.C., il nuovo re visigoto Vallia sconfigge in nome di Roma, Vandali e Alani. Tornati in Aquitania, i Visigoti consolidano il loro dominio e lo estendono poi nuovamente a buona parte della Spagna.

 

L’inizio della fine, per la pars occidentale dell’Impero, si può datare al 31 dicembre 406 d.C., quando orde di Alani, Vandali e Suebi, attraversano il Reno gelato nei pressi di Magonza e dilagano indisturbati in Gallia: unici a difendere il limes sono altri barbari, i Franchi, perché Stilicone non può sguarnire di truppe l’Italia con Alarico alle porte.

 

Dopo aver saccheggiato la Gallia, nel 409 d.C. gli invasori scendono in Spagna dove si stanziano ripartendosi il territorio: Vandali Asdingi e Suebi occupano la parte nord-occidentale, Vandali Silingi il sud, Alani il centro. Queste due ultime popolazioni vengono sterminate dai Visigoti di Vallia, mentre nel 429 d.C. i Vandali Asdingi guidati da Genserico passano in Africa e ne fanno il loro temuto regno infliggendo una grave mutilazione all’impero.

 

Con la sua flotta, Genserico prosegue con successo una politica di alleanze e di espansione nel Mediterraneo controllando Sardegna e Corsica, conquistando la Sicilia, saccheggiando terribilmente la stessa Roma. Nel 443 d.C. i Burgundi, che gli Unni sette anni prima avevano cacciato dal loro territorio renano, ottengono dall’impero di potersi insediare nella regione di Lione, dove danno vita a un regno di peso crescente, confinante a ovest con il regno visigoto.

 

Nel nord, la Gallia presenta il regno gallo-romano di Siagro, che confina a est con i domini dei Franchi. La Britannia, già da tempo sgombrata dalle truppe romane, viene occupata dagli Angli, Sassoni e Juti: la popolazione celtica e i romani residui arretrano cercando rifugio nelle regioni occidentali e al di là della Manica, Armorica, cioè l’odierna Bretagna.

 

Dal 430 d.C. gli Unni minacciano direttamente l’Europa e ottengono dall’impero, nella persona del generale Ezio, uno stanziamento in Pannonia. Da qui, formata una grande coalizione guidata da Attila, si volgono nel 451 d.C. verso la Gallia ma Ezio, con una coalizione germanica, riesce a sconfiggerli.

 

L’anno dopo Attila minaccia direttamente l’Italia, ma poi rinuncia alla conquista tornando nei suoi accampamenti in Pannonia, dove morirà. Il suo impero non gli sopravviverà a lungo.

 

In Italia, dopo il passaggio di Alarico, il potere imperiale cerca di riorganizzarsi trattando alleanze con i sovrani barbari. Valentiniano III riesce a disfarsi del generale Ezio che, come già un tempo Stilicone, sembrava troppo potente.

 

Ma dopo Valentiniano, il potere è sempre più instabile: generali di origine barbarica, comandanti di un esercito ormai interamente barbarizzato, nominano ed eliminano imperatori a loro piacimento, con la parte orientale dell’impero a influenzare le scelte.

 

Nel 475 d.C. il generale Oreste nomina infine imperatore il suo giovane figlio, Romolo, soprannominato Augustolo, ma le truppe si ribellano al proprio generale, acclamando re, il 23 agosto 476 d.C., Odoacre.

 

Oreste viene eliminato e con la disfatta di Ravenna, capitale dell’impero d’occidente Romolo Augustolo viene deposto da Odoacre a capo delle schiere degli Eruli, degli Sciri, dei Turcilingi e dei Rugi, inviando le insegne imperiali a Costantinopoli e sigillando definitivamente questo processo di infiltrazione dell’elemento barbaro e di dissoluzione dell’unità imperiale dei territori d’Occidente, che aveva avuto inizio, come abbiamo visto, diversi decenni prima.

 

La parte occidentale dell’impero ormai non esiste più.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Piccinni G., Il Medioevo, Bruno Mondadori, Milano 2004,

Heather P., La caduta dell’impero romano. Una nuova storia, Garzanti Libri 2008,

James E., I barbari, Il Mulino, 2016,

Wickham C., L’eredità di Roma. Storia d’Europa dal 400 al 100 d.C., Laterza 2016,

Barbero A., 9 agosto 378. Il giorno dei barbari, Laterza 2007.



 

 

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