N. 62 - Febbraio 2013
(XCIII)
LA MIGLIORE OFFERTA
tra Arte e Amore, tra vero e falso
di Giovanna D’Arbitrio
Con
“La
Migliore
Offerta”
Tornatore
esce
dai
confini
siciliani
e
dello
stivale er
tornare
ad
affrontare
tematiche
di
più
ampio
respiro
(già
evidenziate
in
“La
leggenda
del
pianista
sull’oceano”
oppure
“La
sconosciuta”),
avvalendosi
anche
di
un
eccellente
cast
di
attori
stranieri.
Il
film,
definito
un
“noir”
oppure
“thriller
psicologico”,
sta
facendo
registrare
un
notevole
successo
di
pubblico
più
che
di
critica.
Esso
racconta
la
storia
dell’
anziano
e
altero
Virgil
Oldman
(Geoffrey
Rush),
antiquario
e
rinomato
battitore
d’aste
che
conduce
una
vita
lussuosa,
aristocratica
e
solitaria
a
causa
di
una
maniacale
fobia
per
qualsiasi
genere
di
contatto
fisico
con
gli
altri.
Pertanto
anche
il
rapporto
con
le
donne
è
compromesso
e
l’unica
compagnia
femminile
che
egli
si
consente
è
quella
di
ritratti
di
donne
appesi
in
una
stanza
segreta,
dipinti
di
valore
inestimabile
acquistati
nel
corso
di
aste
guidate
con
qualche
furbizia
e la
complicità
del
suo
amico
BIlly
(D.
Sutherland).
La
sua
monotona
e
tranquilla
esistenza
sarà
sconvolta
quando
Claire
(Sylvia
Hoeks),
una
giovane
ereditiera
gli
affiderà
il
compito
di
valutare
oggetti
d’arte
nell’antica
dimora
dei
suoi
genitori.
Claire
è
una
presenza
invisibile
e
sfuggente
che
lo
“intriga”
e lo
affascina:
vive
rinchiusa
in
una
stanza
dell’immensa
villa
poiché
soffre
di
agorafobia.
Nel
corso
dei
sopralluoghi
nella
villa,
inoltre,
egli
trova
nelle
cantine
parti
di
un
meccanismo
di
origine
molto
antica
risalente
forse
a
Jacques
de
Vaucanson,
costruttore
di
un
perfetto
automa
meccanico,
come
gli
spiega
il
giovane
Robert
(J.
Sturges).
Abilissimo
restauratore
di
ingranaggi
meccanici,
Robert
spesso
li
paragona
ai
rapporti
umani
nel
suo
ambiguo
ruolo
di
mentore
in
amore
dell’inesperto
Virgil,
sempre
più
coinvolto
dal
suo
interesse
per
la
giovane
donna.
Gradualmente,
infatti,
Virgil
s’innamora
della
misteriosa
e
fragile
Claire,
cerca
di
aiutarla
a
guarire
e,
felice
di
essere
finalmente
corrisposto
e di
avere
un
rapporto
vero
con
una
donna,
le
rivela
tutte
le
sue
debolezze
e
fobie
dovute
ad
una
dolorosa
infanzia:
progetta
allora
di
sposarla
e
lascia
perfino
il
suo
lavoro.
A
questo
punto,
tuttavia,
il
film
con
improvvisi
colpi
di
scena
ed
inaspettati
risvolti
giunge
alla
conclusione
attraverso
una
serie
di
flash
back
che
inducono
lo
spettatore
a
riflettere
sulla
trama
e
sul
significato
di
alcune
frasi
che
fanno
da
filo
conduttore
della
storia,
una
storia
emblematica
sui
rapporti
umani
e
sull’amore,
soprattutto
sulla
valutazione
del
Vero
e
del
Falso.
È
nel
gioco
tra
verità
e
finzione
che
s’innestano
interessanti
parallelismi
e
similitudini:
mentre
pezzo
dopo
pezzo
si
giunge
a
ricostruire
l'automa,
parimenti
si
liberano
dalla
ruggine
gli
ingranaggi
di
una
vita
giungendo
ad
esiti
inattesi
e
drammatici.
L'essenziale
forse
secondo
il
regista
è
saper
valutare
la
giusta
collocazione
di
tali
ingranaggi
per
non
restare
sorpresi
poi
da
una
rivelazione
finale
complessiva.
E
pertanto
valutare
un’opera
d’arte
sembra
a
lui
simile
al
relazionarsi
a
una
donna.
L'assistente
di
Virgil
infatti
afferma:
«
Vivere
con
una
donna
è
come
partecipare
ad
un'asta.
Non
sai
mai
se
la
tua
è
l'offerta
migliore
». E
ancora
Billy
dice:
« I
sentimenti
umani
sono
come
le
opere
d’arte,
si
possono
simulare
».
Proseguendo
la
riflessione
intorno
al
tema
del
“falso”
e
della
“simulazione”,
nell’arte
così
come
nell’amore,
si
giunge
alla
conclusione
che
si
può
falsificare
e
dissimulare,
ma
d’altro
canto
è
possibile
anche
riscontrare
un
seme
nascosto
di
autenticità
(unico
messaggio
positivo
del
film!).
E
quindi
Claire
afferma:
« In
ogni
falso
si
nasconde
sempre
qualcosa
di
autentico
».
Abilmente
il
regista
costruisce
la
trama
come
un
puzzle,
tassello
per
tassello,
obbedendo
ai
dettami
di
un
thriller,
come
i
pezzi
del
simbolico
robot
assemblato
gradualmente
e lo
spettatore
viene
sedotto
dalla
bravura
degli
attori,
dalla
bellezza
delle
immagini,
da
un'eccellente
fotografia,
dall’ammaliante
musica
di
Ennio
Morricone.
Solo
nella
sceneggiatura
Tornatore
mostra
qualche
pecca,
soprattutto
nella
parte
finale
in
cui
la
narrazione
appare
un
po’
confusa
e
piuttosto
macchinosa,
suscitando
dubbi
anche
negli
spettatori
che
ne
discutono
all’uscita
dal
cinema.
Insomma
un
“Hugo
Cabret”
alla
rovescia:
il
robot
di
Scorsese
si
“anima”
simbolicamente
solo
con
una
magica
chiave
a
forma
di
cuore,
simbolo
dell’amore
che
trasforma
in
modo
positivo
tutti
i
personaggi
del
film
e ne
“aggiusta”
i
meccanismi
bloccati
dolorosamente
nella
psiche,
in
un
mondo
paragonato
ad
una
grande
macchina
in
cui
ogni
“pezzo”
ha
una
funzione,
cioè
ogni
essere
umano
ha
un
compito,
un
obiettivo
da
raggiungere
collaborando
con
gli
altri.
La
visione
di
Tornatore,
invece,
è
senz’altro
più
pessimista,
più
arida
e
misogina,
poiché
sembra
mettere
in
discussione
la
forza
dell’amore
(in
particolare
nelle
donne)
che
viene
sacrificato
“alla
migliore
offerta
materialistica”
conquistata
oltretutto
con
l’inganno.
Malgrado
ciò
dobbiamo
riconoscere
che
anche
l’ultima
opera
del
bravo
regista
siciliano
è
di
buona
qualità,
quindi
senz’altro
da
apprezzare
e
trattare
con
rispetto.