[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

180 / DICEMBRE 2022 (CCXI)


medievale

Su IL MIGLIOR NEMICO DI ROMA
IL MONDO DEI GOTI: INTERVISTA A MARCO CAPPELLI

di Massimo Manzo

 

Nell’immaginario collettivo, il periodo tardoantico gode da sempre di un appeal minore rispetto ad altre, più “popolari”, età della Storia. Uno dei motivi di tale “timore reverenziale” del pubblico nei suoi riguardi è legato alla mancanza di volumi che sappiano attirare l’attenzione senza risultare pedanti o eccessivamente sintetici. Nel suo ultimo libro, Il Miglior nemico di Roma, Marco Cappelli è riuscito a sfatare questo pregiudizio raccontando in maniera suggestiva la storia dei Goti, un popolo la cui immagine evoca inevitabilmente le cosiddette “invasioni barbariche” e la caduta dell’impero romano d’occidente. Già autore di Per un pugno di barbari (2021) e noto al grande pubblico per il podcast di successo Storia d’Italia, Cappelli ripercorre le vicende dei Goti con il talento proprio del divulgatore di razza, coniugando con sapiente equilibrio una prosa semplice e fluida a un’attenzione certosina per le fonti storiche. Il risultato è un lavoro completo e avvincente, da cui, oltre ai grandi eventi del passato, emergono anche tematiche attuali e ancora oggi controverse. Abbiamo deciso di intervistarlo.

 

 

I Goti sono generalmente visti come un popolo “primitivo”, soprattutto se confrontati ai Romani o ai Greci. Nel volume, però, emerge una civiltà complessa, molto diversa dagli stereotipi che le sono stati costruiti addosso…

 

Il fatto è che la storia ha la pessima abitudine di non fermarsi mai! Come il tardo impero romano non è uguale al principato augusteo, o questo alla Repubblica, così anche i Germani non sono rimasti fermi nei secoli, ma si sono evoluti  nel corso del tempo. Se ai tempi di Augusto Germani erano ancora a uno stadio che potremmo definire “primitivo”, nel IV secolo la loro era una civiltà molto più sofisticata, anche per effetto della vicinanza geografica dei Goti con Costantinopoli, nuova capitale dell’impero romano. Proprio tale prossimità permise ai Goti di costruire delle strutture economiche che si integrarono sempre di più con quelle dell’impero: in campo agricolo, per esempio, assistiamo alla costruzione delle prime villae sull’esempio romano (autentiche “aziende agricole” dell’epoca) ma esistono anche testimonianze relative alla fondazione di proto-città, primi segni di edifici monumentali e persino produzioni di manufatti di vetro di alta qualità esportati in tutto il Barbaricum (termine con il quale viene indicato l'insieme dei territori europei oltre il confine romano, ndr) che costituiscono l’unico esempio di “industria vetraia” presente a nord del territorio imperiale.

 

Nella prima parte del libro racconti in modo approfondito la difficile questione delle origini dei Goti. Cosa ci puoi dire sull’argomento, in sintesi?

 

Al riguardo, alcune tesi assecondano i miti  che vedevano i primi Goti come “migranti in armi” provenienti dalla Svezia, altre ritengono che i Goti si formarono direttamente nella moderna Ucraina. In assenza di fonti scritte affidabili, l’archeologia ci può dare indizi importanti sul tema, permettendoci di individuare diverse culture identificabili dai resti. Anche la scienza ha permesso di integrare le nostre conoscenze: di recente, studi di archeo-genetica sembrano confermare che il nucleo originale dei Goti provenisse proprio dalla Svezia. Eppure sappiamo che i Goti erano etnicamente molto compositi.

 

Come spiegare questa apparente contraddizione? 

 

Nel libro ho cercato di rispondere a questo quesito raccontando l’evoluzione delle ricerche che nei decenni hanno indagato l’origine della civiltà gotica. La risposta è evoluto con la storia: prima della seconda guerra mondiale, gli studiosi ritenevano che i popoli migrassero soppiantando le popolazioni presenti nei territori in cui si stanziavano: una sorta di “legge del più forte” e darwinismo dei popoli; in seguito, si è sostenuto al contrario il concetto di “staticità” dei popoli, che si influenzerebbero a vicenda per via della loro prossimità: più influenze culturali che vere migrazioni, insomma. 

Può sembrare una questione solo accademica, ma è una querelle fondamentale per capire come nel tempo si sia cercato di comprendere il meccanismo della formazione delle identità etniche, qualcosa di molto rilevante anche per la storia moderna, perché spesso le nazioni moderne vanno alla ricerca nell’antichità di miti fondativi, di storie sulle quali costruire la loro identità nazionale. Oggi una delle tesi più accreditate è quella della cosiddetta ‘etnogenesi’, ovvero della formazione di identità etniche nuove attorno ad un nucleo fondativo, un nocciolo duro che spesso assorbe gruppi preesistenti e immigrati in una nuova comunità. Questa teoria è quindi sia compatibile con la migrazione di piccoli gruppi ‘portatori dell’identità’ - come i Goti dalla Scandinavia - sia con il formarsi di larghe coalizioni variegate attorno a questo originale nocciolo duro. 

 

Tra tutti i popoli del cosiddetto “Barbaricum”, i Goti sono senza dubbio quello che ha segnato più di ogni altro le ultimi fasi di vita dell’impero romano d’occidente, tanto da essere considerati i principali responsabili della sua caduta di Roma. Fu davvero così?

 

Per rispondere è importante distinguere tra la volontà e gli effetti derivanti dalle relazioni tra Goti e Romani. I Goti finirono per essere un elemento disgregativo dell’impero, ma se si studia la loro storia appare evidente che mai, nell’intera durata delle loro relazioni con Roma, desiderarono veramente la caduta dell’impero. Piuttosto, cercarono sempre un posto all’interno del sistema imperiale. Se vogliamo fare la lista dei veri nemici dell’impero, direi che i Persiani e i Vandali erano percepiti come una minaccia ben più pericolosa dei Goti, che in fondo furono più spesso alleati che avversari dei Romani. La dissoluzione dell’impero avvenne, tra le altre cose, per effetto delle miopi decisioni politiche di tutta la classe dirigente romana e gotica, che paradossalmente diede sempre per scontata la sopravvivenza dell’impero. I politici privilegiarono gli interessi di carriera rispetto alla salute a lungo termine del corpo dello stato. Si arrivò così alla vigilia del 476 senza avere ancora consapevolezza dell’imminente distruzione...

 

A proposito di integrazione: nel corso del loro complicato rapporto con l’impero, i Goti sembrano più volte sul punto di essere integrati nel mondo romano. Perché questo non avvenne mai?

 

In un certo senso si può dire che alla fine l’integrazione ci fu! Goti e Romani finirono per integrarsi sia in Italia che in Iberia (attuale Spagna), solo che lo fecero “fuori tempo massimo”, cioè quando ormai l’impero d’occidente non esisteva più. Secondo me, possiamo elencare tre fattori che impedirono un’integrazione già nel IV o V secolo, tutti legati in qualche modo alla battaglia Adrianopoli, del 378. Dopo questo scontro, nel quale i Goti riportarono un’inaspettata e colossale vittoria che portò perfino alla morte dell’imperatore Valente, i Goti cominciarono a credere di meritarsi qualcosa di più rispetto ad altri popoli che prima di loro erano entrati nell’impero: avanzarono dunque eccessive pretese. I Romani, per conto loro, pur non essendo mai stati davvero xenofobi, dopo quella bruciante sconfitta cominciarono a dubitare che i Goti potessero davvero diventare Romani, come era accaduto a tanti popoli prima di loro. Infine, quelli furono anni cruciali anche dal punto di vista religioso, creando un “muro” tra i due popoli: dopo la loro conversione al Cristianesimo, i Goti finirono infatti per definirsi ariani, mentre i Romani sposarono il credo Niceno, principale avversario dell’arianesimo. Le barriere religiose, spesso, contano assai di più di quella etniche. Non a caso quando i Goti rinunciarono all’arianesimo, in Iberia, si fusero rapidamente con la popolazione romana della regione.

 

Come sarebbe potuta cambiare la storia di Roma se invece le cose fossero andate diversamente?

 

È difficile dire cosa sarebbe accaduto se il processo di integrazione fosse riuscito. Probabilmente il Goto Alarico, che oggi ricordiamo soprattutto per aver distrutto Roma, sarebbe diventato il più importante generale “romano” al servizio dell’impero, magari avrebbe fatto in modo di unire la sua famiglia a quella imperiale romana. In questo caso, è probabile che i Goti avrebbero rappresentato una fonte di soldati arruolabili con cui integrare l’esercito romano: chissà, questo avrebbe potuto portare ad una ripresa dell’Occidente. Eppure il corso degli eventi dipende da molti fattori complessi: molto sarebbe dipeso anche da quanto solida si fosse dimostrata la nuova dinastia di imperatori occidentali e se si fosse riuscito a trasmettere il potere con regolarità, come avvenne a Costantinopoli nel V e VI secolo.

 

Uno dei personaggi più importanti di cui racconti è Wulfila, vissuto nel IV secolo. ll suo nome non è molto conosciuto, eppure il suo apporto nella storia dei Goti fu fondamentale. Perché?

 

Wulfila è una delle figure che più mi ha affascinato. A differenza di molti altri personaggi del libro, non era un generale e nemmeno un politico, ma un uomo di Chiesa e un intellettuale di grande spessore. Discendente di prigionieri romani deportati nella terra dei Goti, crebbe come uno di questi ultimi, mantenendo tuttavia qualcosa che ancora lo legava all’impero: il cristianesimo, religione dei suoi antenati. Fu così che, studiando e facendo  carriera nella piccola chiesa gota, venne selezionato dall’imperatore Costanzo II per diventare il primo vescovo dei Goti. Per accelerare la loro conversione tradusse la Bibbia in gotico (era la prima volta in assoluto che tale testo sacro veniva tradotto in una lingua germanica) ed elaborò persino un alfabeto, passaggio fondamentale per la creazione di un’identità gotica. In seguito, Wulfila venne espulso dai capi goti ostili al Cristianesimo e diventò uno dei più fini intellettuali romani, assumendo grande importanza anche all’interno dell’impero. In ogni caso, i Goti finiranno per identificarsi con la sua predicazione ancora secoli dopo, sotto Teodorico (454-526).

 

 

Qualcuno ha detto che bisognerebbe studiare il passato per prevedere il futuro. Il tuo libro narra una storia vecchia più di 1.500 anni, eppure alcuni temi richiamano inevitabilmente alcuni problemi del mondo contemporaneo: dalla gestione delle tensioni politiche al tema delle migrazioni e dell’integrazione. Senza sfociare in improbabili anacronismi, c’è un insegnamento che possiamo trarre dalle tragiche vicende di cui furono protagonisti i Goti?

 

La Storia non si ripete mai in modo identico, anche se, come sottolineava Mark Twain, “fa spesso rima”. L’animo umano, nel corso dei secoli, rimane d’altronde immutato in tutte le epoche. In questo senso la storia dei Goti è importante, perché in essa troviamo dei parallelismi con alcune problematiche di attualità, come per esempio quella dell’integrazione. In generale, l’immigrazione ha rafforzato l’impero romano, ma allo stesso tempo, quando non fu gestita efficientemente, finì per fomentare sentimenti xenofobi sia da parte dei “barbari” sia da quella dei Romani, portando a continui conflitti. Sulla scorta di quell’esempio del passato sarebbe bene approcciare problematiche come quella migratoria sapendo che ci sono vantaggi nella sua corretta gestione, anche perché rinchiudersi in se stessi è sempre sbagliato, controproducente e spesso futile. Un’altra “lezione” da trarre dalla storia dei Goti è quella di non dare mai per scontate le istituzioni nelle quali viviamo, che nel nostro caso possono essere per esempio lo Stato unitario italiano o l’Unione Europea. Le strutture politiche che ci siamo dati sono spesso più fragili di come appaiono...

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]