N. 142 - Ottobre 2019
(CLXXIII)
l'artista
che
cercava
dio
e ha
trovato
l'uomo
un
film
dedicato
a
michelangelo
di
Leila
Tavi
Sin,
o
Il
peccato,
la
nuova
pellicola
di
Andrei
Konchalovsky,
è
stato
presentato
in
prima
mondiale
alla
quattordicesima
edizione
della
Festa
del
Cinema
di
Roma
come
film
di
chiusura.
Si
tratta
di
una
produzione
italo-russa,
finanziata
dal
magnate
della
metallurgia
di
origine
uzbeka
Alisher
Usmanov
(Алишер
Усманов),
proprietario
del
quotidiano
Kommersant
(Коммерса́нтъ),
del
provider
Mail.ru,
legato
a
Gazprom
e
azionista
minoritario
della
squadra
di
calcio
Arsenal.
Usmanov
ha
partecipato
al
progetto
attraverso
la
sua
fondazione
non
profit
Благотворительный
фонд
Алишера
Усманова
«Искусство,
наука
и
спорт».
Hanno
preso
parte
alla
realizzazione
del
lungometraggio
il
primo
canale
russo
e
Jean
Vigo
di
Elda
Ferri,
insieme
a
Rai
Cinema,
che
lo
porterà
da
fine
novembre
nelle
sale
italiane
con
01
Distribution.
Un
high-budget
movie
per
il
mercato
italiano,
che
ha
richiesto
alti
costi
per
gli
scenari,
per
le
ricostruzioni
storiche,
soprattutto
nelle
cave
di
marmo,
e
per
gli
effetti
speciali.
Se
per
fare
le
riprese
di
Firenze
rinascimentale
il
regista
ha
dovuto
utilizzare
cinque
differenti
città,
tra
cui
Arezzo,
Montalcino
e
Volterra,
poiché
girare
con
le
strade
vuote
a
Firenze
è
stato
impossibile
anche
alle
prime
luci
dell’alba.
Končalovskij
ricorda
infatti
che,
mentre
girava
una
scena
in
Piazza
Signoria
alle
sei
del
mattino,
c’erano
circa
duecento
curiosi
a
guardare.
Per
le
riprese
è
stata
utilizzata
la
sua
tecnica
detta
“a
mosaico”,
con
sei
telecamere
contemporaneamente
in
funzione,
che
poi
compongono
l’immagine
in
fase
di
montaggio.
Per
quanto
riguarda
la
fotografia,
Aleksandr
Simonov
(Алекса́ндр
Влади́мирович
Си́монов)
ha
voluto
evitare
qualsiasi
manierismo
o
reminiscenza
dei
canoni
estetici
del
Rinascimento,
lo
spettatore
non
ammira
perciò
delle
ricostruzione
alla
Botticelli
o
alla
Raffaello
e,
anche
per
quanto
riguarda
l’uso
del
colore,
il
direttore
della
fotografia,
il
costumista
e lo
scenografo
hanno
optato
per
toni
opachi,
cupi,
seguendo
la
linea
di
Končalovskij,
che
voleva
rappresentata
una
Firenze
del
popolino,
non
quella
dei
palazzi
sfarzosi
e
delle
corti.
Troviamo
allora
gente
che
spunta,
vomita,
suda,
impreca,
getta
il
contenuto
dei
vasi
da
notte
dalla
finestra
e
tutte
queste
esalazioni
trasudano
dallo
schermo,
possiamo
quasi
assoporare
gli
odori
del
tempo,
con
cibi
freschi
esposti
nei
banchi
del
mercato,
con
piatti
preparati
come
nella
tradizione
del
Cinquecento.
Vediamo
papa
Leone
X
della
famiglia
Medici,
interpretato
da
Simone
Toffanin,
grasso
e in
camicia
da
notte,
farsi
curare
le
ulcere
ai
piedi
seduto
sul
trono,
mentre
cerca
di
convincere
Michelangelo
a
lavorare
alla
facciata
della
chiesa
di
San
Lorenzo,
già
commissionata
a
Sansovino
(Andrea
Contucci
del
Monte
San
Sovino).
Niente
è
regale,
niente
è
sacro,
Michelangelo
ha
sempre
la
stessa
tunica
da
lavoro
sporca
per
tutta
la
durata
del
film,
non
si
lava,
mangia
solo
merluzzo
salato,
dorme
su
giacigli
a
terra,
lavora
sulle
impalcature
giorno
e
notte.
L’ossessione
per
una
maledizione
lo
tormenta,
non
si
fida
di
nessuno,
neanche
dei
suoi
due
giovani
assistenti.
Conosce
a
memoria
tutta
la
Divina
Commedia,
ha
un’ammirazione
sconfinata
per
Dante
Alighieri,
se
come
artista
è
l’eccellenza
del
tempo,
stimato
e
invidiato
da
tutti
gli
altri
scultori
e
pittori
che
lavoravano
tra
il
Vaticano
e
Firenze
all’epoca,
come
uomo
deve
abbassarsi
a
commettere
meschinità,
barcamenarsi
tra
le
due
famiglie
che
si
contendevano
il
potere
a
Firenze,
i
Medici
e
della
Rovere.
La
sete
di
potere
e di
denaro
spazza
via
anche
la
pietas
christiana.
La
scena
iniziale
è
ambientata
nel
1512
al
Vaticano,
quando
ancora
l’artista
sta
lavorando
alla
Cappella
Sistina,
vorrebbe
rifare
tutto
da
capo,
ma
la
curia
preme,
manda
Raffaello,
elegante
e
spocchioso,
a
convincere
Michelangelo
che
è
tempo
di
far
ammirare
l’opera
al
papa.
Michelangelo
ora
che
è
costretto
a
consegnare
la
Cappella
Sistina
così
com’è
ha
promesso
ai
Della
Rovere
di
iniziare
i
lavori
per
la
tomba
di
papa
Giulio
II,
che
il
papa
gli
aveva
commissionato
nel
1505
e al
cui
centro
dovrebbe
troneggiare
la
statua
di
Mosè.
Il
maestro,
a
quel
tempo
trentenne,
era
già
una
celebrità
per
aver
scolpito
il
Davide
e la
Pietà.
La
fiducia
accordata
dal
papa
a
Michelangelo
suscitò
l’invidia
degli
altri
artisti
al
servizio
del
Vaticano,
uno
tra
tutti
Bramante.
Michelangelo
trascorse
otto
mesi
nella
cava
di
Carrara
per
scegliere
i
blocchi
adatti
a
realizzare
la
tomba
di
Giulio
II,
così
come
Končalovskij
ha
trascorso
otto
mesi
negli
archivi
per
ricostruire
la
vita
di
Michelangelo
come
uomo
e
non
come
artista.
Michelangelo
trovò
al
suo
rientro
alla
corte
papalina
da
Carrara
ostilità
e
l’indifferenza
del
pontefice,
influenzato
dalle
malelingue
che
parlavano
male
del
Buonarroti,
il
quale,
offeso,
lasciò
Roma
per
rientrare
a
Firenze
e,
solo
dopo
un
incontro
riconciliatore
con
il
papa
a
Bologna,
decise
di
tornare
a
Roma
e
iniziare
i
lavori
della
volta
della
Cappella
Sistina
nel
1508.
Alla
morte
di
papa
Giulio
II
nel
1513,
l’ascesa
al
potere
dei
Medici,
che
cacciano
i
Della
Rovere
da
Firenze,
costrinse
il
Buonarroti
a
fare
il
doppio
gioco,
per
paura
di
mettere
a
rischio
la
sua
vita
e
quella
dei
suoi
fratelli
e di
suo
padre,
ma
anche
per
la
brama
di
voler
costruire
due
opere
così
importanti
come
la
chiesa
di
San
Lorenzo
e la
tomba
di
Giulio
II,
difficile
per
lui
cedere
una
delle
due
opere
a
qualcun’altro,
anzi
non
si
fece
scrupoli
a
portare
via
la
commissione
già
promessa
dal
papa
a
Sansovino,
così
sembrerebbe
quasi
che
solo
inganno
e la
cupidigia
avessero
dato
l’opportunità
all’artista
di
creare,
in
realtà
la
sua
ossessione
per
l’arte
e
per
la
bellezza
del
corpo
umano
prevalevano
su
tutto
nel
suo
animo.
Spesso
era
sopraffatto
da
allucinazioni
e
non
riusciva
a
distinguere
la
realtà
dalle
visioni.
Per
trovare
il
protagonista
della
storia
il
casting
director
ha
impiegato
sei
mesi,
provinando
anche
grandi
nomi
del
cinema
italiano,
ma a
Končalovskij
interessava
la
somiglianza
più
che
la
notorietà,
intendendo
il
grande
maestro
del
cinema
russo
l’arte
di
recitare
qualcosa
di
innato,
per
cui
il
regista
deve
interagire
con
l’attore
in
scena
come
fosse
un
animale
da
addestrare.
Un
leone
è,
quindi,
diverso
da
un
toro
e
questa
naturalezza
nella
recitazione
è
tipica
dei
film
di
Končalovskij,
come
in
The
Postman’s
White
Nights
(Белые
ночи
почтальона
Алексея
Тряпицына)
del
2014,
per
cui
il
regista
ha
vinto
il
Leone
d’Argento,
interpretato
dagli
abitanti
di
un
villaggio
sul
lago
Kenozero
(Кенозеро).
Končalovskij
non
considera
recitazione
quella
di
attori
non
protagonisti,
ma
la
capacità
di
vivere
la
loro
vita
davanti
alla
telecamera.
Per
il
ruolo
di
Michelangelo
Alberto
Testone
è
stato
scelto
per
la
sua
strabiliante
somiglianza
con
l’artista,
il
cui
volto
è
caratterizzato
da
un
naso
importante
e
rotto.
I
primi
piani
nel
film
ricordano
il
ritratto
di
Michelangelo
fatto
da
Daniele
da
Volterra.
Perseguitato
dalla
sofferenza
e
della
malasorte,
il
Michelangelo
di
Končalovskij
è
schivo
con
tutti,
al
suo
fianco
ci
sono
solo
i
suoi
due
assistenti
Peppe
(Jakob
Diehl),
che
ha
lasciato
la
Germania
per
imparare
dal
grande
maestro
toscano,
ma
che
lo
tradirà,
e
Pietro
(Francesco
Gaudiello),
giovanissimo
e
ingenuo,
ma
legato
a
Michelangelo
da
sincero
affetto.
Un
legame
forte
è
anche
con
i
suoi
cavatori,
gli
scalpellini
del
monte
Carrara,
interpretati
nel
film
da
gente
vera,
che
ancora
oggi
rischia
la
vita
per
estrarre
il
marmo
in
alta
quota
e
che
per
questo
conducono
vite
estreme.
I
cavatori
si
trovano
a
dover
affrontare
il
“mostro”,
il
blocco
di
marmo
più
grande
estratto
all’epoca.
Per
soddisfare
il
maestro
che
vuole
realizzare
la
sua
creazione
da
un
unico
grande
blocco,
un
cavatore
muore,
schiacciato
dal
“mostro”.
La
scena
in
cui
i
cavatori
staccano
e
trasportano
a
valle
l’enorme
blocco
di
marmo
ricorda
la
scena
dei
monaci
che
trasportano
la
campana
di
bronzo
del
film
Andrej
Rublëv
(Андрей
Рублёв)
del
1969,
che
Končalovskij
ha
diretto
insieme
ad
Andrej
Tarkovskij
(Андре́й
Арсе́ньевич
Тарко́вский).
Michelangelo
era
ossessionato
dal
marmo
lunensis
di
Carrara,
ma
si
lasciò
tentare
da
papa
Leone
X ad
abbandonare
le
cave
di
Carrara
per
utilizzare
quelle
del
Monte
Altissimo,
in
provincia
di
Lucca,
di
proprietà
del
Vaticano.
A
Michelangelo
il
papa
concesse
nel
1517
il
diritto
di
utilizzare
il
marmo
della
cava
di
Monte
Altissimo
per
la
realizzazione
della
facciata
della
chiesa
di
San
Lorenzo.
Per
il
Buonarroti
quel
marmo
era
come
zucchero,
di
grana
unita,
solida
ma
cristallina.
Eppure
la
concessione
a
Michelangelo,
che
per
la
sua
passione
ossessiva
per
il
marmo
aveva
tradito
i
suoi
fedeli
cavatori
di
Carrara,
fu
revocata
dopo
pochi
anni,
così
come
la
commessa
per
la
chiesa
di
San
Lorenzo.
Michelangelo
si
sente
così
lo
scultore
delle
opere
incompiute,
con
l’obbligo
morale
delle
promesse
fatte
e
per
i
cospicui
acconti
ricevuti
per
l’acquisto
del
marmo.
Anche
la
realizzazione
della
tomba
di
Giulio
II
avvenne
solo
dopo
quarant’anni
e il
mausoleo
all’inizio
pensato
con
quarantadue
statue,
nel
1542
ne
prevedeva
solo
sette,
di
cui
solo
due
attribuite
a
Michelangelo.
Il
gruppo
scultoreo
fu
collocato
nella
chiesa
di
San
Pietro
di
Vincoli
a
Roma
con
il
sublime
Mosè
al
centro,
ultimata
poco
dopo
la
morte
di
Giulio
II,
ma
ritoccata
nel
1545
ritoccata
per
l’occasione.
Končalovskij
ha
cercato
di
raccontare
questo
periodo
tormentato
della
vita
di
Michelangelo,
sopraffatto
dall’irrequietezza,
dalla
delusione
nell’umanità,
dalla
ricerca
ossessiva
del
divino,
impossibile
da
raggiungere,
perché
l’artista,
pur
non
cedendo
a
una
vita
viziosa
e
sregolata,
considerava
la
sua
stessa
passione
per
l’arte
come
rappresentazione
della
perfezione
umana
il
suo
vero
e
unico
peccato.