[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

196 / APRILE 2024 (CCXXVII)


contemporanea

Michail Michajlovič Bachtin
filosofo della letteratura

di Mariarosaria Ferrante

 

L’enorme patrimonio culturale che la Russia ha regalato al mondo annovera tra le sue pagine migliori l’opera di Michail Michajlovič Bachtin. Non tra gli autori più noti a chi non si interessi professionalmente di filosofia o di letteratura, Bachtin è sempre più unanimemente riconosciuto come uno dei maggiori intellettuali del XX secolo. Se lo si vuole definire in maniera sintetica, conviene attribuire all’intellettuale russo l’appellativo di filosofo, quale egli stesso si considerava:“Sono sempre stato e sono un filosofo”, dichiara nelle sue conversazioni del 1973 con V. Duvakin.
 
Nacque nel 1895 a Orël e morì a Mosca nel 1975. La sua formazione universitaria fu filologica e la sua vita, densa di studi, fu segnata, oltre che dagli eventi storici che si trovò a vivere, anche dall’osteomielite, malattia ossea che lo portò a subire, nel 1938, l’amputazione di una gamba. Attorno alla sua persona si formarono diversi circoli culturali, la cui attività, a causa del clima repressivo dello stalinismo, non era ufficiale. I circoli bachtiniani seguirono gli spostamenti geografici dell’autore e i più rilevanti furono quello di Nevel’, che vide la partecipazione del musicologo e poi linguista V. N. Vološinov, quello di Vitebsk, al quale si aggiunse il professore di letteratura P. N. Medvedev, e quello di Leningrado, il cui ambito si aprì a nuove discipline con personalità come l’indologo M. I. Tubjanskij e il biologo I. I. Kanaev.
 
La sua ricerca è filosoficamente impostata e orientata oltre ogni ambito specialistico, per questo è straordinariamente ricca e tocca discipline che vanno dalla linguistica alla psicologia, dalla critica letteraria alla semiotica. Utilizzando l’angolazione filosofica Bachtin approccia in maniera innovativa allo studio del linguaggio e della teoria del romanzo. L’interesse di Bachtin per lo studio del linguaggio fu formato in parte dai membri dei suoi circoli e talvolta i suoi lavori si intrecciarono con quelli di altri esponenti del suo circolo, in particolare con quelli di V. N. Vološinov e di P. N. Medvedev, con i quali ebbe uno stretto legame. Le sue innovazioni non riguardano solo la critica letteraria e la teoria del romanzo, egli in realtà rivisitò in maniera inedita il pensiero di Nietzsche, Shopenhauer, Kierkegaard, Hegel e Bergson, solo per citarne alcuni. È importante perciò ribadire la natura filosofica delle riflessioni di Bachtin, così da non rinchiudere l’intellettuale russo in prospettive e settori più angusti di quelli che in realtà gli spettano di diritto. La sua ricerca critico-teorica prende le mosse da due nuclei filosofici che egli già indica nel suo primo saggio Arte e responsabilità: la ricerca dell’unità interna tra sfere diverse della cultura e tra elementi della personalità, e la responsabilità come principio unificante.

 

Nel nesso tra etica ed estetica avviene poi la saldatura del suo pensiero filosofico con la teoria letteraria, e quest’unione diventerà terreno di crescita per un contributo solido alla scienza della letteratura. Tuttavia la critica di Bachtin non va intesa in senso eminentemente letterario, ma più nel senso filosofico, della filosofia del linguaggio, o, come direbbe Bachtin, nel senso “metalinguistico”. Diventa difficile, infatti, parlare delle importati innovazioni di Bachtin nel campo della teoria del romanzo, il genere sul quale più si concentra, senza accennare ai momenti filosofici a essa legati: la sua visione del romanzo infatti dipende dalla sua più ampia visione della natura dialogica del linguaggio, della ragione e della coscienza stessa.

 

La raccolta di saggi Estetica e Romanzo, saggi per lo più scritti negli anni ‘20 e ‘30 del ‘900 e pubblicati postumi, può essere certo letta come l’elaborazione di una teoria del romanzo, ma anche come un contributo alla filosofia del linguaggio per le analisi svolte sulla natura della ‘parola’ e sul suo utilizzo nella letteratura e per l’illustrazione del principio dialogico nella lingua e nella cultura. Quest’ultimo rappresenta per Bachtin la caratteristica costitutiva dell’io, senza la quale nemmeno l’io esisterebbe: è la relazione con l’altro, la dimensione di ascolto, è, nel linguaggio, l’inesistenza di una relazione diretta e immediata tra la parola e il suo oggetto. Con il concetto di dialogicità Bachtin supera i limiti della filologia e della linguistica saussuriana spostando il focus su tutta una serie di aspetti “sociali” del linguaggio: l’enunciazione, i significati impliciti e le relazioni tra le parole.
 
L’analisi di Bachtin verte sul romanzo in quanto sede privilegiata della concezione dialogica:“Ogni romanzo è in maggior o minor misura, un sistema dialogizzato di immagini delle lingue, degli stili, delle coscienze concrete e indivisibili dalla lingua”. A tal proposito nel saggio La parola nel romanzo Bachtin concentra la propria attenzione sui vari orientamenti dialogici della parola, sulla nascita della parola romanzesca, sulle possibilità artistico-prosastiche della parola e sulla differenza tra parola poetica e parola romanzesca. Quest’ultima dirimente diversità è in realtà, per l’autore, specchio di due differenti visioni del mondo: da un lato un sistema culturale monolitico, caratterizzato da forze tendenti alla centralizzazione e alla stabilizzazione, dall’altro un sistema culturale multiforme, caratterizzato dall’azione di forze culturali e politiche di natura centrifuga; e così “mentre la poesia /.../ risolveva il compito della centralizzazione culturale, nazionale e politica del mondo ideologico-verbale, nei ceti inferiori, sul palco dei saltimbanchi e delle fiere risuonava la pluridiscorsività buffonesca, che rifaceva il verso a tutte le lingue e i dialetti” e che preparava la strada al romanzo moderno. Diretta conseguenza di questa concezione del romanzo è l’impossibilità di analizzarlo con la stilistica tradizionale, tarata sulla parola poetica, che “pur avendo contezza del bagaglio ideologico sociale dell’oggetto cui si riferisce, se ne libera, approcciando all’oggetto in maniera vergine”, e su di un sistema non dialogizzato; per analizzarlo occorre “una stilistica sociologica capace di correlare il linguaggio con la società e con la storia”.

 

La stilistica tradizionale infatti “non conosce una simile unione di lingue e di stili che formano una superiore unità ed è priva di un metodo per affrontare questa specie di dialogo sociale delle lingue del romanzo”. Proprio per questa sua natura, il romanzo, che tecnicamente è considerato da Bachtin un fenomeno pluristilistico, pluridiscorsivo e plurivoco, è il genere che nell’epoca moderna può meglio rappresentare la molteplicità delle istanze ideali senza, per forza, addivenire a un obiettivo finale, a una verità assoluta.
 
Alla riflessione sul linguaggio si unisce quella sui generi letterari: l’excursus storico ne Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo, andando alla radice delle varie forme letterarie antiche, giustifica e interpreta tecnicamente e contenutisticamente le caratteristiche del romanzo e la sua funzione, sulla scorta di Hegel, di epica moderna. Il cronotopo, altra importante introduzione dell’intellettuale russo, è “il rapporto inscindibile tra le coordinate spaziali e temporali che danno forma al testo letterario, di cui ne determina il genere e le sue varietà”. Dall’antichità Bachtin ne distingue tre tipi ma più che specificare le singole tipologie di cronotopo è importante far riferimento alla funzione costitutiva essenziale del cronotopo, che si impone, nel tempo, anche sullo scrittore, quasi a rivendicare una vita del genere letterario non interamente dipendente dal singolo scrittore che di volta in volta di quel genere si serve. Per Bachtin una delle radici fondamentali del romanzo è precisamente quella comica e, a tal proposito sono rilevantissimi gli studi dell’autore su Rabelais. Per Rabelais conia l’idea innovativa e polimorfa della carnevalizzazione in letteratura, e dell’autore francese descrive l’importante opera di distruzione, mediante il riso, dei legami logici e linguistici consueti tra le cose, e la corporeizzazione, tramite il realismo grottesco, di un nuovo mondo a misura d’uomo.
 
Rilevantissimo anche il suo apporto all’interpretazione di un gigante come Dostoevskij, per il quale mette a punto il concetto di polifonia: “Nella mia interpretazione Dostoevskij è il creatore del romanzo polifonico, a più voci, autore di romanzi-dialoghi, dedicati alle questioni fondamentali dell’esistere. Egli insisteva sul fatto che la verità circa tali questioni fondamentali non può essere chiarita nei limiti dell’esistenza di una singola persona /..../, la verità può essere dischiusa, e solo parzialmente, nel processo dello scambio fra esistenze umane che hanno pari diritti, nel dialogo tra loro. Tale dialogo è incompibile, continuerà finché esistono persone che pensano e cercano.” e a questo dialogo partecipava anche Dostoevskij, non però commentando il punto di vista dei suoi personaggi in qualità di autore, ma come una delle voci del dialogo, sullo stesso piano delle altre. All’analisi sul romanzo dostoevskiano ci si può appellare per mettere in evidenza un altro importante alveo preso in esame da Bachtin fin dall’inizio della sua riflessione: il rapporto tra l’autore e l’eroe dell’opera letteraria. In questo senso caratteristica precipua del romanzo è “la distruzione della distanza con un riorientamento temporale”; quella del romanzo non è una raffigurazione artistica sub specie aeternitatis e il contatto del romanzo col presente si risolve anche in un nuovo status per l’autore: “questi è nelle stesse dimensioni assiologico-temporali della parola raffigurata del personaggio e non può non stabilire con essa rapporti dialogici e ibridazioni, con tutto l’enorme significato formale, compositivo e stilistico che ne consegue”.
 
Il rapporto dell’autore con il suo eroe è, anche per la filosofia morale di Bachtin, l’oggettivazione della necessità del rapporto con l’altro e l’assunzione dell’altro come centro di valore relazionabile a quello proprio. Le opere di Bachtin raggiunsero popolarità solo dopo la sua morte, arrivando solo tra gli anni ‘50 e ‘70 del ‘900 a provocare in tutta l’Europa un qualche sovvertimento nell’ambito delle idee e dei metodi di critica letteraria. Le sue analisi hanno permesso di oltrepassare la visione strettamente formalista del testo letterario, il quale non può essere trattato solo come un oggetto filologico, storico o afferente a una data cultura. Per tutta la sua ricerca infatti, per la quale inizialmente trae linfa dal pensiero kantiano e neokantiano, Bachtin si preoccupa di dimostrare come un’appropriato intendimento del testo letterario richieda uno spostamento fuori dalla letteratura e fuori dall’arte, richieda cioè un processo di exotopia, in quanto “il testo letterario sussiste e si sviluppa nella sua specificità grazie al coinvolgimento, anche in senso etico, con l’universo esterno”. Bachtin è un intellettuale la cui ricerca è profonda e “al limite”: come le grandi opere della letteratura, la sua opera vive nel ‘tempo grande’, perciò ogni interpretazione, descrizione o illustrazione di essa è destinata a essere parziale e superficiale.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Michail Bachtin, Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 1975;

Stefania Sini, Soglie e confini nel pensiero di Michail Bachtin, Between, I.1 (2011);

Augusto Ponzio, Tra semiotica e letteratura. Introduzione a Bachtin, Milano, Bompiani, 2003; Augusto Ponzio, La rivoluzione bachtiniana, ed. Levante, Bari 2010;

Michail Bachtin, Problemi dell'opera di Dostoevskij, Edizioni dal Sud, Bari, 1997.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]