Michail Michajlovič Bachtin
filosofo della letteratura
di
Mariarosaria Ferrante
L’enorme patrimonio culturale che la
Russia ha regalato al mondo annovera
tra le sue pagine migliori l’opera
di Michail Michajlovič Bachtin. Non
tra gli autori più noti a chi non si
interessi professionalmente di
filosofia o di letteratura, Bachtin
è sempre più unanimemente
riconosciuto come uno dei maggiori
intellettuali del XX secolo. Se lo
si vuole definire in maniera
sintetica, conviene attribuire
all’intellettuale russo
l’appellativo di filosofo, quale
egli stesso si considerava:“Sono
sempre stato e sono un filosofo”,
dichiara nelle sue conversazioni del
1973 con V. Duvakin.
Nacque nel 1895 a Orël e morì a
Mosca nel 1975. La sua formazione
universitaria fu filologica e la sua
vita, densa di studi, fu segnata,
oltre che dagli eventi storici che
si trovò a vivere, anche
dall’osteomielite, malattia ossea
che lo portò a subire, nel 1938,
l’amputazione di una gamba. Attorno
alla sua persona si formarono
diversi circoli culturali, la cui
attività, a causa del clima
repressivo dello stalinismo, non era
ufficiale. I circoli bachtiniani
seguirono gli spostamenti geografici
dell’autore e i più rilevanti furono
quello di Nevel’, che vide la
partecipazione del musicologo e poi
linguista V. N. Vološinov, quello di
Vitebsk, al quale si aggiunse il
professore di letteratura P. N.
Medvedev, e quello di Leningrado, il
cui ambito si aprì a nuove
discipline con personalità come l’indologo
M. I. Tubjanskij e il biologo I. I.
Kanaev.
La sua ricerca è filosoficamente
impostata e orientata oltre ogni
ambito specialistico, per questo è
straordinariamente ricca e tocca
discipline che vanno dalla
linguistica alla psicologia, dalla
critica letteraria alla semiotica.
Utilizzando l’angolazione filosofica
Bachtin approccia in maniera
innovativa allo studio del
linguaggio e della teoria del
romanzo. L’interesse di Bachtin per
lo studio del linguaggio fu formato
in parte dai membri dei suoi circoli
e talvolta i suoi lavori si
intrecciarono con quelli di altri
esponenti del suo circolo, in
particolare con quelli di V. N.
Vološinov e di P. N. Medvedev, con i
quali ebbe uno stretto legame. Le
sue innovazioni non riguardano solo
la critica letteraria e la teoria
del romanzo, egli in realtà rivisitò
in maniera inedita il pensiero di
Nietzsche, Shopenhauer, Kierkegaard,
Hegel e Bergson, solo per citarne
alcuni. È importante perciò ribadire
la natura filosofica delle
riflessioni di Bachtin, così da non
rinchiudere l’intellettuale russo in
prospettive e settori più angusti di
quelli che in realtà gli spettano di
diritto. La sua ricerca
critico-teorica prende le mosse da
due nuclei filosofici che egli già
indica nel suo primo saggio Arte e
responsabilità: la ricerca
dell’unità interna tra sfere diverse
della cultura e tra elementi della
personalità, e la responsabilità
come principio unificante.
Nel nesso tra etica ed estetica
avviene poi la saldatura del suo
pensiero filosofico con la teoria
letteraria, e quest’unione diventerà
terreno di crescita per un
contributo solido alla scienza della
letteratura. Tuttavia la critica di
Bachtin non va intesa in senso
eminentemente letterario, ma più nel
senso filosofico, della filosofia
del linguaggio, o, come direbbe
Bachtin, nel senso
“metalinguistico”. Diventa
difficile, infatti, parlare delle
importati innovazioni di Bachtin nel
campo della teoria del romanzo, il
genere sul quale più si concentra,
senza accennare ai momenti
filosofici a essa legati: la sua
visione del romanzo infatti dipende
dalla sua più ampia visione della
natura dialogica del linguaggio,
della ragione e della coscienza
stessa.
La raccolta di saggi Estetica e
Romanzo, saggi per lo più
scritti negli anni ‘20 e ‘30 del
‘900 e pubblicati postumi, può
essere certo letta come
l’elaborazione di una teoria del
romanzo, ma anche come un contributo
alla filosofia del linguaggio per le
analisi svolte sulla natura della
‘parola’ e sul suo utilizzo nella
letteratura e per l’illustrazione
del principio dialogico nella lingua
e nella cultura. Quest’ultimo
rappresenta per Bachtin la
caratteristica costitutiva dell’io,
senza la quale nemmeno l’io
esisterebbe: è la relazione con
l’altro, la dimensione di ascolto,
è, nel linguaggio, l’inesistenza di
una relazione diretta e immediata
tra la parola e il suo oggetto. Con
il concetto di dialogicità Bachtin
supera i limiti della filologia e
della linguistica saussuriana
spostando il focus su tutta una
serie di aspetti “sociali” del
linguaggio: l’enunciazione, i
significati impliciti e le relazioni
tra le parole.
L’analisi di Bachtin verte sul
romanzo in quanto sede privilegiata
della concezione dialogica:“Ogni
romanzo è in maggior o minor misura,
un sistema dialogizzato di immagini
delle lingue, degli stili, delle
coscienze concrete e indivisibili
dalla lingua”. A tal proposito nel
saggio La parola nel romanzo Bachtin
concentra la propria attenzione sui
vari orientamenti dialogici della
parola, sulla nascita della parola
romanzesca, sulle possibilità
artistico-prosastiche della parola e
sulla differenza tra parola poetica
e parola romanzesca. Quest’ultima
dirimente diversità è in realtà, per
l’autore, specchio di due differenti
visioni del mondo: da un lato un
sistema culturale monolitico,
caratterizzato da forze tendenti
alla centralizzazione e alla
stabilizzazione, dall’altro un
sistema culturale multiforme,
caratterizzato dall’azione di forze
culturali e politiche di natura
centrifuga; e così “mentre la poesia
/.../ risolveva il compito della
centralizzazione culturale,
nazionale e politica del mondo
ideologico-verbale, nei ceti
inferiori, sul palco dei
saltimbanchi e delle fiere risuonava
la pluridiscorsività buffonesca, che
rifaceva il verso a tutte le lingue
e i dialetti” e che preparava la
strada al romanzo moderno. Diretta
conseguenza di questa concezione del
romanzo è l’impossibilità di
analizzarlo con la stilistica
tradizionale, tarata sulla parola
poetica, che “pur avendo contezza
del bagaglio ideologico sociale
dell’oggetto cui si riferisce, se ne
libera, approcciando all’oggetto in
maniera vergine”, e su di un sistema
non dialogizzato; per analizzarlo
occorre “una stilistica sociologica
capace di correlare il linguaggio
con la società e con la storia”.
La stilistica tradizionale infatti
“non conosce una simile unione di
lingue e di stili che formano una
superiore unità ed è priva di un
metodo per affrontare questa specie
di dialogo sociale delle lingue del
romanzo”. Proprio per questa sua
natura, il romanzo, che tecnicamente
è considerato da Bachtin un fenomeno
pluristilistico, pluridiscorsivo e
plurivoco, è il genere che
nell’epoca moderna può meglio
rappresentare la molteplicità delle
istanze ideali senza, per forza,
addivenire a un obiettivo finale, a
una verità assoluta.
Alla riflessione sul linguaggio si
unisce quella sui generi letterari:
l’excursus storico ne Le forme del
tempo e del cronotopo nel romanzo,
andando alla radice delle varie
forme letterarie antiche, giustifica
e interpreta tecnicamente e
contenutisticamente le
caratteristiche del romanzo e la sua
funzione, sulla scorta di Hegel, di
epica moderna. Il cronotopo, altra
importante introduzione
dell’intellettuale russo, è “il
rapporto inscindibile tra le
coordinate spaziali e temporali che
danno forma al testo letterario, di
cui ne determina il genere e le sue
varietà”. Dall’antichità Bachtin ne
distingue tre tipi ma più che
specificare le singole tipologie di
cronotopo è importante far
riferimento alla funzione
costitutiva essenziale del
cronotopo, che si impone, nel tempo,
anche sullo scrittore, quasi a
rivendicare una vita del genere
letterario non interamente
dipendente dal singolo scrittore che
di volta in volta di quel genere si
serve. Per Bachtin una delle radici
fondamentali del romanzo è
precisamente quella comica e, a tal
proposito sono rilevantissimi gli
studi dell’autore su Rabelais. Per
Rabelais conia l’idea innovativa e
polimorfa della carnevalizzazione in
letteratura, e dell’autore francese
descrive l’importante opera di
distruzione, mediante il riso, dei
legami logici e linguistici consueti
tra le cose, e la corporeizzazione,
tramite il realismo grottesco, di un
nuovo mondo a misura d’uomo.
Rilevantissimo anche il suo apporto
all’interpretazione di un gigante
come Dostoevskij, per il quale mette
a punto il concetto di polifonia:
“Nella mia interpretazione
Dostoevskij è il creatore del
romanzo polifonico, a più voci,
autore di romanzi-dialoghi, dedicati
alle questioni fondamentali
dell’esistere. Egli insisteva sul
fatto che la verità circa tali
questioni fondamentali non può
essere chiarita nei limiti
dell’esistenza di una singola
persona /..../, la verità può essere
dischiusa, e solo parzialmente, nel
processo dello scambio fra esistenze
umane che hanno pari diritti, nel
dialogo tra loro. Tale dialogo è
incompibile, continuerà finché
esistono persone che pensano e
cercano.” e a questo dialogo
partecipava anche Dostoevskij, non
però commentando il punto di vista
dei suoi personaggi in qualità di
autore, ma come una delle voci del
dialogo, sullo stesso piano delle
altre. All’analisi sul romanzo
dostoevskiano ci si può appellare
per mettere in evidenza un altro
importante alveo preso in esame da
Bachtin fin dall’inizio della sua
riflessione: il rapporto tra
l’autore e l’eroe dell’opera
letteraria. In questo senso
caratteristica precipua del romanzo
è “la distruzione della distanza con
un riorientamento temporale”; quella
del romanzo non è una raffigurazione
artistica sub specie aeternitatis e
il contatto del romanzo col presente
si risolve anche in un nuovo status
per l’autore: “questi è nelle stesse
dimensioni assiologico-temporali
della parola raffigurata del
personaggio e non può non stabilire
con essa rapporti dialogici e
ibridazioni, con tutto l’enorme
significato formale, compositivo e
stilistico che ne consegue”.
Il rapporto dell’autore con il suo
eroe è, anche per la filosofia
morale di Bachtin, l’oggettivazione
della necessità del rapporto con
l’altro e l’assunzione dell’altro
come centro di valore relazionabile
a quello proprio. Le opere di
Bachtin raggiunsero popolarità solo
dopo la sua morte, arrivando solo
tra gli anni ‘50 e ‘70 del ‘900 a
provocare in tutta l’Europa un
qualche sovvertimento nell’ambito
delle idee e dei metodi di critica
letteraria. Le sue analisi hanno
permesso di oltrepassare la visione
strettamente formalista del testo
letterario, il quale non può essere
trattato solo come un oggetto
filologico, storico o afferente a
una data cultura. Per tutta la sua
ricerca infatti, per la quale
inizialmente trae linfa dal pensiero
kantiano e neokantiano, Bachtin si
preoccupa di dimostrare come
un’appropriato intendimento del
testo letterario richieda uno
spostamento fuori dalla letteratura
e fuori dall’arte, richieda cioè un
processo di exotopia, in
quanto “il testo letterario
sussiste e si sviluppa nella sua
specificità grazie al
coinvolgimento, anche in senso
etico, con l’universo esterno”.
Bachtin è un intellettuale la cui
ricerca è profonda e “al limite”:
come le grandi opere della
letteratura, la sua opera vive nel
‘tempo grande’, perciò ogni
interpretazione, descrizione o
illustrazione di essa è destinata a
essere parziale e superficiale.
Riferimenti bibliografici:
Michail Bachtin, Estetica e
romanzo, Torino, Einaudi, 1975;
Stefania Sini, Soglie e confini
nel pensiero di Michail Bachtin,
Between, I.1 (2011);
Augusto Ponzio, Tra semiotica e
letteratura. Introduzione a Bachtin,
Milano, Bompiani, 2003; Augusto
Ponzio, La rivoluzione
bachtiniana, ed. Levante, Bari
2010;
Michail Bachtin, Problemi
dell'opera di Dostoevskij,
Edizioni dal Sud, Bari, 1997.