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storia & sport


N. 90 - Giugno 2015 (CXXI)

Michael Phelps
Il Cannibale di Baltimora

di Francesco Agostini

 

Mangiare, dormire e nuotare è tutto quello che so fare”. Questa è una delle più celebri, se non la più celebre, frase di Michael Fred Phelps, il “Cannibale di Baltimora”, considerato unanimemente il più grande atleta olimpico di tutti i tempi.

 

Le sue medaglie, così come le vittorie ai mondiali, oramai non si contano più: vincere, per Phelps non era qualcosa di straordinario ma semplicemente una mera formalità da espletare. Nonostante abbia avuto la concorrenza di un altro grande nuotatore come Ian Thorpe (“Thorpedo”), Michael Phelps ha saputo imporsi con la potenza e la prepotenza di un campione vero.

 

Per capire Phelps e il suo enorme successo bisogna partire dalla struttura fisica a dir poco imponente. L’americano è alto infatti 1,93 centimetri, pesa 88 kg e possiede il torso di un uomo mediamente alto 2 metri. In più, le braccia e le spalle sono decisamente più lunghe e larghe del normale, perfette per uno sport come il nuoto dove il movimento armonico è praticamente tutto.

 

Oltre alla particolare conformazione fisica, comunque, è chiaro che l’allenamento ha in ogni caso influito molto su tutti i suoi successi: massacrante, intensivo come pochi e quasi impossibile a sopportarsi per un atleta normale.

 

Questo allenamento maniacale (e ciò avviene in particolar modo nel nuoto) fa sì che gli atleti ogni tanto escano fuori dall'ordinario con atteggiamenti a dir poco sconsiderati e poco in linea con il personaggio. Anche Michael Phelps ne è stato la vittima.

 

Il primo episodio di guaio giudiziario lo ebbe nel 2004, a pochi mesi di distanza dalle trionfali Olimpiadi di Atene, quando venne fermato dalla polizia e fu trovato con un tasso alcolico superiore a quello consentito dalla legge americana.

 

In realtà Phelps aveva bevuto tre birre, non una quantità eccessiva di alcolici, ma per le rigide leggi americane, che prevedono di non superare il tasso alcolemico di 0,08%, tre birre erano abbastanza. In più, all’epoca dei fatti, Phelps non aveva ancora 21 anni ed era quindi ancora minorenne.

 

Il risultato fu la condanna a 305 dollari più l’obbligo di partecipare alle riunioni di gruppo delle Mothers Against Drunk Driving, un’associazione nata per persuadere i giovani a non mettersi alla guida di una macchina dopo aver bevuto.

 

I guai però sono solo all’inizio. Michael Phelps nel 2009, l’anno seguente alle trionfali Olimpiadi di Pechino, viene pizzicato mentre fuma marijuana in un party a cui era stato invitato. Le immagini che lo ritraggono sono più che eloquenti e l’americano non può far altro che ammettere con candore la sua condotta “non proprio da atleta”.

 

Il risultato è disastroso: viene sospeso per tre mesi dalla federnuoto statunitense (senza ricevere alcuno stipendio per quel periodo) e molti sponsor decidono di abbandonarlo. Tra di essi ci sono marchi mondiali come la Kellogg’s.

 

L’ultima bravata è del 2015 e Phelps ricade negli stessi problemi che lo avevano attanagliato nel 2004. Di ritorno da una gara, infatti, il nuotatore viene fermato dalla polizia per eccesso di velocità e guida in stato di ebbrezza.

 

Ancora una volta la punizione sarà severissima: pena pecuniaria e conseguente squalifica che gli impedirà di partecipare ai mondiali di Kazan.

 

Dunque, da quanto detto fino ad ora, è chiaro che Michael Phelps sia stato un grande campione ma controverso.

 

Dopotutto però, pensiamoci: quanti atleti sono allo stesso tempo genio e sregolatezza, croce e delizia?



 

 

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