N. 19 - Luglio 2009
(L)
MORTE DI UN DIO PROFANO
la fine di un mito controverso
di Laura Novak
Dopo
Elvis,
il
Re
di
Memphis,
solo
lui
poteva
prenderne
il
posto
sul
trono
della
musica
mondiale.
Michael
Jackson
è
morto
il
25
giugno
del
2009,
lasciando
allibiti
e
disorientati
milioni
di
suoi
fans
e
non,
in
ogni
parte
del
mondo.
In
queste
ultime
ore
però
la
domanda
più
interessante
è:
Chi
era
davvero
questa
figura
trans-umana,
dalla
voce
black
e le
movenze
androgine,
dal
complesso
desiderio
di
rinnegazione
della
sua
origine,
diventato
adulto
circondato
dalla
costante
adulazione?
Insieme
al
corpo
di
un
uomo
di
50
anni,
è
morto
soprattutto
un
personaggio
dall’impatto
mediatico
assoluto,
uno
straordinario
comunicatore
visivo,
un
uomo
fanciullo,
dall’ego
e
personalità
in
continuo
mutamento,
istrioniche
e
smisurate.
Ma
per
poter
comprendere
appieno
il
fenomeno
globale
che
è
stato
Michael
Jackson,
bisogna
analizzarne
i
successi.
Michael
inizia
la
sua
carriera
musicale,
nel
1966
ad 8
anni.
Il
gruppo
della
sua
famiglia,
i
“Jackson
5”
sono
da
anni
prodotti
da
una
delle
case
discografiche
per
la
musica
soul
e
black,
più
importanti
al
mondo.
Michael
ha
però
qualcosa
in
più,
il
talento
puro.
Cresce
ed
apprende
velocemente
uno
stile
di
vita
da
adulto.
In
un
clima
familiare
nient’affatto
disteso,
segnato
da
maltrattamenti
ed
umiliazioni
continue,
la
pressione,
esercitata
dai
genitori
delle
piccole
stars
e
dai
dirigenti
della
casa
discografica,
aumenta
in
proporzione
al
successo
ottenuto.
Nel
1972,
a
soli
14
anni
Michael
inizia
la
sua
carriera
solista.
Dopo
10
anni
il
boom
fa
parte
della
storia.
“Thriller”,
Album
del
1982,
che
nel
corso
di
25
anni
di
storia
ha
venduto
un
totale
di
110
milioni
di
copie,
ha
trasformato
il
mondo
della
musica
pop.
Lo
ha,
forse,
in
qualche
modo
inventato
o
riplasmato.
1987
Jackson
da
subito
dimostra
di
essere
molto
di
più
di
un
artista.
Il
suo
immenso
estro
creativo
e la
capacità
antesignana
di
comprendere
l’immensa
possibilità
comunicativa
dei
videoclip
nella
nuova
era
della
neo-nata
MTV,
lo
portarono
ad
essere
creatore
e
produttore
dei
suoi
più
imponenti
video
musicali
che,
sotto
la
direzione
di
grandi
registi
(da
Landis
a
Scorsese)
diventarono
cortometraggi
capolavoro,
mix
impegnativi
ed
ambiziosi
di
musica,
ballo
e
puro
spettacolo.
Jackson
fin
da
subito
diventa
icona
della
cultura
pop,
in
svariate
sfaccettature:
dagli
spot
pubblicitari
ai
gadget
promozionali,
dalla
moda
al
look,
fatto
di
giacche
sfavillanti,
mocassini,
calzini
bianchi
e
occhiali
da
sole,
fino
al
modo
di
rendere
una
coreografia
semplice
e
asciutta
in
una
groviglio
di
mosse
inimitabili.
In
un
modo
assolutamente
sui
generis,
Michael
Jackson
ha
iconizzato
se
stesso,
studiando
il
costume
della
sua
epoca
ed
esplorando,
come
solo
altre
pochissime
icone
erano
riuscite
a
fare,
nuovi
modi
di
trasmettere
un
immagine
unica
e
riconoscibile
di
successo.
Michael con l’icona della Pop Art, Andy Warhol
Ogni
ambito
della
sua
vita
era
strategia
di
marketing:
dall’aspetto
in
continua
metamorfosi
visiva,
fino
alle
sue
scelte
imprenditoriali,
passando
per
la
decisione
della
costruzione
dell’isola
che
non
c’è,
il
ranch
Neverland.
In
varie
occasioni,
affermerà
come
la
sua
opera
musicale
faccia
parte
di
una
grande
missione,
in
cui
il
suo
compito
sia
di
prendersi
cura
dei
bambini
sfortunati
del
mondo,
aiutandoli
non
solo
economicamente,
ove
possibile,
ma
donando
loro,
in
una
sorta
di
luogo
fantastico
senza
tempo
(Neverland
appunto),
periodi
di
felicità
e di
spensieratezza
infantile.
Un
Messia
per
il
mondo
ed
il
suo
disfacimento.
Di
certo
l’animo
di
questo
Re
degli
eccessi,
era
immerso
in
uno
squilibrio
emotivo.
Passarono
5
anni
di
silenzio,
in
cui
da
molte
parti
arrivavano
pressioni
perché
portasse
a
compimento
un
nuovo
album
di
inediti.
È il
1987
ed
esce
“Bad”.
Michael
apparve
trasfigurato.
Se
la
carnagione
era
leggermente
schiarita,
ma
ancora
non
completamente
bianca,
sono
i
suoi
lineamenti
a
suscitare
scalpore.
Il
naso,
forse
la
sua
più
grande
ossessione,
la
bocca,
gli
zigomi
e
persino
il
taglio
degli
occhi,
sembrano
trasformati.
1991
Nell’epoca
del
boom
della
chirurgia
plastica
come
metodo
innovativo
per
trasformarsi
in
ciò
che
la
volontà
umana
desidera,
Michael
ne
diventa
schiavo,
condizionato
da
cicatrici
infantili.
In
assoluta
coerenza
con
il
suo
personaggio,
un
Dio
assoluto
a
cui
i
fans
perdonano
ogni
esagerazione,
Michael
fornisce
spiegazioni
per
quel
cambiamento
al
limite
dell’assurdo.
Atteggiamento
che
continuerà
a
tenere
fino
alla
fine.
Monitorato
dalla
stampa
in
ogni
suo
mutamento
fisico,
ma
soprattutto
in
ogni
nuova
moda
lanciata,
Michael
vive
e
brucia
rapidamente
il
suo
momento
d’oro.
Scultura
di
Jeff
Koons:
“Michael
Jackson
and
Bubbles”
1988
Nel
1993,
dopo
l’uscita
del
suo
album
“Dangerous”
(l’ultimo
album
di
inediti
fino
al
2001),
Michael
deve
rendere
conto
al
mondo
della
sua
ulteriore
trasformazione
camaleontica.
Nonostante
la
versione
ufficiale
di
una
rara
malattia
dermica,
chiamata
Vitiligine,
supportata
da
sequenze
di
foto
prodotte
istericamente
dai
suoi
fans
più
accaniti,
la
tendenza
mondiale
fu
quella
di
considerare
il
repentino
schiarimento
di
Jacko
in
una
estrema
pratica
chirurgica,
al
limite
della
pazzia.
Il
soprannome
datogli,
da
lui
tanto
odiato,
Wacko
Jacko,
che
sottolineava
le
stranezze
incomprensibili
di
Michael,
fu
solo
una
dei
tanti
sbeffeggiamenti
con
cui
la
satira
bersagliò
Jackson
fino
alla
morte.
Ma
lui
rimaneva
il
Re
del
Pop
e le
vendite
così
come
il
suo
intuito
per
gli
affari,
in
società
con
la
Sony,
erano
dalla
sua
parte.
Il
1993
è
però
l’anno
di
svolta
nella
cronaca
morbosa
e
ossessiva
della
sua
vita
personale.
Un
bambino,
Jordan
Chandler,
supportato,
forse
anche
troppo,
dai
suoi
genitori,
e
ospitato
spesso
a
Nerveland
da
Jackson,
lo
accusa
di
molestie
sessuali.
Il
caso
monta
velocemente,
investendo
il
cantante
in
un
vortice
di
fango
senza
precedenti.
Jackson
decide
quindi
di
chiudere
il
prima
possibile
la
questione,
pagando
per
il
silenzio
sulla
vicenda,
con
un
accordo
privato
tra
le
parti
di
20
milioni
di
dollari
quale
risarcimento
alla
famiglia
del
bambino.
Nonostante
per
la
legge
un
accordo
privato
non
sia
ammissione
di
colpevolezza,
per
l’opinione
pubblica
la
sua
figura
perse
di
credibilità.
Ossessionato
dalla
richiesta
di
manifestare
il
suo
orientamento
sessuale,
inizia
a
girare
video
maggiormente
espliciti,
marcando
con
atteggiamenti
lussuriosi
le
sue
coreografie.
Ma
non
è
abbastanza.
Nel
1994
sposa
con
un
colpo
mediatico
senza
precedenti,
la
figlia
del
mito
Elvis
Presley,
anche
egli
icona
di
fascino,
musica
e
popolarità,
così
simile
in
molti
aspetti
al
suo
mito
costruito
ad
arte,
da
essergli
spesso
affiancato
in
varie
analisi
sociologiche.
Il
matrimonio
dura
ben
poco
ed
il
sapore
della
farsa
è lì
che
ne
distrugge
lentamente
la
rispettabilità.
Il
resto,
purtroppo,
non
è
più
storia
della
musica,
ma
bensì
storia
di
follia
dimostrativa
e di
genio
prosciugato.
Gli
anni
successivi
furono
anni
di
matrimoni
strampalati,
divorzi
annunciati
e
fulminei,
figli
concepiti
in
provetta
ed
esposti
come
trofei
a
penzoloni
da
balconi
di
hotel
di
lusso,
chirurgia
plastica
a
coprire
danni
di
altra
chirurgia
e
creatività
azzerata.
Ma
sono
principalmente
gli
anni
del
processo.
Omaggio a Michael Jackson sulla Rivista
Vogue Uomo per il 25° anniversario di “Thriller”, 2007
Nel
2003
fu
messo
in
onda
il
documentario
“Living
with
Michale
Jackson”,
un
documento
intervista
ad
opera
di
un
giornalista
americano,
che
per
otto
mesi,
seguì
a
fasi
alterne
il
cantante
nella
sua
vita
quotidiana
e
straordinaria.
Il
documentario,
condannato
da
Jackson
per
essere
stato
manipolato
in
fase
di
montaggio,
sarà
l’apripista
per
nuove
accuse
di
pedofilia,
innescando
il
processo
del
secolo.
Un
processo
alle
sue
abitudini
sessuali,
tacciate
di
essere
traviate,
ma
soprattutto
al
suo
stile
di
vita.
Un
eterno
fanciullo,
dai
passaggi
adolescenziali
saltati,
dalla
voce
infantile,
dalla
timidezza
assoluta,
rinchiuso
in
un
corpo
da
adulto.
Un
uomo
senza
freni
inibitori
sul
palco,
che
nelle
rare
interviste
rilasciate,
si
trasforma
in
un
fragile
bambino
senza
tempo,
alla
ricerca
del
suo
posto
nel
mondo,
convinto
della
sua
missione
divina
di
aiutare
gli
adulti
a
comprendere
il
fantasioso
universo
infantile.
Se
fosse
la
finzione
di
un’interpretazione
decennale
o
magari
l’immedesimazione
di
un
uomo
solo
in
un
personaggio
cartoon,
è
impossibile
capirlo.
E i
miti
si
sa
non
si
creano
solo
dalla
qualità
dell’opera.
Ed è
proprio
la
sua
vita
fatta
di
cronaca
e
contraddizioni
ad
averlo
reso
Il
Mito
moderno.
La
sua
musica
iniziale,
semplice,
diretta,
composta
per
essere
assorbita
fino
in
fondo,
dove
il
ritornello
non
esce
dalla
testa,
è
nata
per
essere
semplicemente
musica;
nessun
messaggio
politico
o
sociale
dietro.
Un
riff,
un
movimento,
un
intrattenimento
puro.
Nient’altro.
Ed è
stata
questa
la
vera
rivoluzione.
Proprio
come
Elvis,
e a
differenza
invece,
dei
grandi
degli
anni
‘60
e
‘70
(The
Doors,
The
Beatles,
Janis
Joplin,
The
Rolling
Stones)
dove
il
loro
carisma
era
accompagnato
dai
malesseri
della
generazione
delle
lotti
civili.
La
droga,
la
contestazione
politiche,
la
non
violenza
e la
libertà
sessuale
sono
temi
lontani,
superati.
Gli
anni
‘80
sono
gli
anni
della
musica
che
amalgama
la
massa.
Michael
Jackson
è
stato
e
rimarrà
l’unico
artista
al
mondo
in
grado
di
unire
generazioni
di
genitori
e
figli,
spettatori
e
ammiratori
dello
stesso
idolo.
Un
idolo
di
massa,
senza
distinzioni
di
razza
o
continente.
Globale,
assoluto,
riconoscibile
anche
solo
dal
suo
profilo.
Impersonato
in
tutto
il
mondo
da
performers
ossessionati
dalla
sua
figura,
idolatrato
ovunque
da
uomini
e
donne,
era
considerato
dai
suoi
fans
l’individuo
perfetto,
una
divinità
profana
sensibile
ed
eterea.
Nonostante
le
sue
controverse
abitudini
personali,
e
nonostante
la
scelta
o la
condizione
di
nero
non
più
nero,
la
comunità
black
in
maniera
inspiegabile,
non
lo
hai
mai
rinnegato
o
allontanato.
Al
contrario.
Nelle
ultime
48
ore
ho
rivisto
“Living
with
Michael
Jackson”.
Tralasciando
considerazioni
personali,
il
ritratto
che
ne
esce
è di
certo,
nel
bene
o
nel
male,
sensazionale.
Jackson,
in
difesa
di
una
privacy
che
per
primo
ha
coscientemente
lacerato,
viveva
prigioniero
di
se
stesso,
soggetto
malinconicamente
alle
mancanze
della
sua
adolescenza,
interprete
di
se
stesso,
un
maschera
di
cera
inespressiva,
ossessionato
dalle
malattie,
nascosto
da
veli
e
cappelli,
ridicolizzato
costantemente.
Beffa sul web per una delle sue ultime apparizioni in pubblico,
2008
Niente
della
sua
vita
quotidiana
era
nella
norma,
ma
tutto
era
in
linea
con
l’uomo
che
il
pubblico
si
aspettava
che
fosse.
Accantonate
leggende
assurde
di
follia
stupida
su
camere
iperbariche
o
templi
dedicati
ad
Elisabeth
Taylor,
Jackson
conduceva
una
vita
di
eccessi
infantili
e
puerili,
più
assurda
dell’immaginabile,
perché
considerata
da
lui
stesso
normale.
Nel
suo
aprirsi
completamente
all’intervistatore,
Michael
non
cede
mai
ad
un
ripensamento
su
quello
che
afferma.
Mai
un
cedimento,
mai
un
attimo
di
riflessione
sulla
possibile
morbosità
nell’affermare
di
dormire
nella
stessa
camera
di
un
bambino
di
12
anni.
In
una
atmosfera
timida
e
remissiva
Jackson
continua
a
tenere
stretta
nella
sua
mano,
la
mano
di
12enne,
quasi
nel
tentativo
di
afferrare
la
sua
gioventù
dispersa
negli
anni
da
bambino
prodigio.
1979
Jackson
perse
la
lucidità
nel
suo
mondo
megalomane
e
fantasioso,
senza
più
comprendere
come
il
mondo
potesse
percepirlo.
L’avvenuta
caduta
del
mito
negli
anni
2000,
nonostante
l’idolatria
scatenata
in
questi
giorni
di
lutto
per
la
sua
scomparsa,
deriva
forse
proprio
da
questo.
Innovatore,
anticipatore
di
mode
e
tendenze,
capace
di
calamitare
su
di
sé
l’attenzione
del
mondo
intero,
è
rimasto
vittima
del
suo
stesso
personaggio.
Con
la
conclusione
del
processo,
che
lo
vide
scagionato
da
tutti
e
dieci
i
capi
di
accusa,
Michael
perse
molto.
Sobbarcato
da
debiti
per
un
totale
di
500
milioni
di
dollari,
perse
Neverland,
pignorata
nel
2006,
molti
dei
suoi
cimeli
e
molti
dei
suoi
ammiratori,
oltre
ovviamente,
l’appoggio
delle
tv,
che
del
fenomeno
Jacko
ormai
avevano
spremuto
ciò
che
era
possibile,
lasciando
il
resto
all’oblio.
Nel
mese
di
luglio
avrebbe
dovuto
ritornare
sul
palco
dopo
quasi
10
anni
di
lontananza,
con
un
tour
di
50
date
solo
nella
città
di
Londra,
che
tanto
lo
aveva
amato
al
suo
inizio
di
carriera.
Locandina dei suoi ultimi show previsti a Londra, luglio
2009
Ma
come
ogni
mito
che
si
rispetta,
così
proprio
come
Elvis,
il
destino
ti
conduce
alle
porte
dell’immortalità,
del
mito
eterno,
della
fede
suprema.
Nelle
ore
che
sono
succedute
alla
sua
tragica
e
repentina
morte,
si
sono
condensate
folle
di
fans
in
lacrime
vicino
alla
sua
dimora
di
Beverly
Hills,
davanti
all’ospedale
di
Los
Angeles
dove
è
deceduto,
davanti
all’Apollo
Theatre
di
New
York,
nel
Bronx,
nelle
strade
della
sua
città
natale,
a
Gray.
Le
cause
della
sua
morte,
dopo
2
autopsie,
non
sono
ancora
chiare.
Abuso
di
farmaci,
depressione,
isolamento
dalla
vita
pubblica
che
tanto
lo
condannato,
una
morte
improvvisa…
la
possibilità
che
la
morte
sia
solo
un
diversivo
per
riuscire
a
ricostruirsi
una
vita
lontano
dai
riflettori…
Gli
ingredienti
perché
il
Dio
profano
degli
anni
‘90
diventi
la
più
grande
Leggenda
moderna
sono
già
allineati…
Il
suo
ultimo
tour
si
sarebbe
chiamato:
This
is
It...
"Questo
è
quanto".