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N. 102 - Giugno 2016 (CXXXIII)

mezzogiorno straniero
POTERE, INTRIGHI E PASSIONI AL TEMPO DELLE GUERRE NAPOLEONICHE - PARTE II

di Antonino La Mattina

 

Nell’estate del 1811 sbarcò a Palermo lord William Bentinck. La sua presenza bastò a spostare gli equilibri di forze nell’isola e a isolare definitivamente la corte borbonica. Gli Inglesi si trovarono di fronte a un altro bivio: sostenere o una corte, sempre più malvista e sempre più scomoda da mantenere economicamente, oppure i suoi oppositori, ovvero i baroni, che si dipingevano come “difensori della Nazione Siciliana”. Bentinck scelse la via più comoda, ossia quella di sostenere i baroni guidati dal principe di Belmonte. Tale decisione fu presa per evitare disordini popolari minacciati da Belmonte e poter così mantenere le basi navali, fondamentali per la guerra con la Francia.

 

Bentinck si mostrò molto riluttante nei confronti della Corte, che intimò di cessare la sua politica antipopolare, dichiarandosi apertamente a favore dei suoi oppositori che ne avevano catturato le simpatie. Tuttavia i baroni – nonostante si atteggiassero a rappresentanti della nazione e a ribelli contro una corte che opprimeva ogni libertà – non avevano nulla in comune con la classe borghese che si stava sviluppando altrove. I baroni cercarono un modo per fermare il loro declino, senza incitare nessuna rivoluzione popolare ma facendo sì che le loro richieste fossero quelle del popolo.

La Corte, decidendo di convocare il parlamento affinché approvasse nuovi sussidi per la monarchia, creò le condizioni per cui i baroni sollecitassero l’intervento inglese. Fu così che Bentinck si inserì nel parlamento promuovendo nuove leggi costituzionali e dettando le sue condizioni: libertà per i baroni, allontanamento dei rifugiati napoletani, la formazione di un governo in cui la regina sarebbe rimasta fuori gioco e la sospensione del sussidio alla corte. Carolina sembrò perdere quell’intraprendenza che aveva avuto negli anni addietro.

 

Gli inglesi ebbero l’opportunità di conquistare l’isola e nessuno si sarebbe loro opposto. Ma a differenza della Francia imperiale, essi tenevano a dimostrare che insieme a loro le nazioni venivano create libere. La Sicilia doveva rimanere “siciliana” e contribuire alla liberazione dell’Italia francese. Per Bentinck una Costituzione in Sicilia avrebbe aperto alle rivendicazioni nazionali degli italiani e colui che la avrebbe proclamata si sarebbe posto a capo di una lotta per un’Italia libera e unita. Egli diede il compito ai baroni Castelnuovo e Belmonte di preparare la Costituzione; costoro si affidarono all’abate Balsamo invitandolo a prender parte ai lavori costituzionali secondo il modello di quella inglese.

 

Nella seduta straordinaria del parlamento del 18 giugno 1812 venne annunciata la nuova costituzione tra feste e gioie da parte degli abitanti della città di Palermo. La Corte, a quel punto, fu rassegnata all’idea di una Costituzione con la speranza che essa rinfuocasse gli animi e permettesse la riconquista di Napoli. Ma la situazione di Carolina si rese sempre più precaria per via dei sospetti che il generale inglese le poneva. Bentinck esortò re Ferdinando a esiliarla. Egli, ad ogni modo, resistette alle pressioni, ma non poté fare nulla nel momento in cui gli inglesi si presentarono in armi. Carolina fu costretta a fuggire e in un viaggio di otto lunghi mesi riuscì a raggiungere Vienna, dove morì lontana da tutti l’anno seguente.

 

A Napoli, intanto, Murat, in seguito allo sfaldamento del rapporto con il cognato, mostrò sempre più palesemente intenti indipendentisti; di contro Napoleone gli sottrasse il comando delle truppe francesi, che furono affidate definitivamente al generale Grenier incaricato anche – in segreto – di sorvegliare Murat. Il ruolo di “vassallo” dell’Imperatore stava stretto per un carattere impetuoso e in cerca di gloria come quello di Murat; nonostante tutto, egli seguì il cognato nella grande campagna di Russia, dove, ancora una volta, mostrò tutto il suo valore di condottiero. Ad ogni modo, vedendo la situazione volgere al peggio nella lunga marcia di ritorno, il re di Napoli decise di fare rientro nel suo regno e iniziò le trattative segrete con l’Austria e la Gran Bretagna, firmando nel 1814 la Convenzione di Napoli, in virtù della quale si riconosceva il principio della legittimità dinastica per la sua discendenza sui territori italiani.

 

Ma una volta che Napoleone venne sconfitto e i lavori del Congresso di Vienna presero il via, Murat non fu considerato come alleato né dagli Austriaci né dagli Inglesi; piuttosto, si ristabilì che il Regno di Napoli sarebbe ritornato nelle mani dei Borboni.

 

Murat, a quel punto, non poté che aderire nuovamente alla sortita di Napoleone fuggito dall’Elba nel 1815. Partendo dalla capitale del suo regno, egli decise di marciare verso nord con l’intento di liberare la penisola e proclamò per la prima volta nella storia l’indipendenza d’Italia.

 

Il Proclama di Rimini fu il primo documento a inneggiare ad un’Italia Unita e ad esortare gli italiani a raggiungere tale scopo. Murat però non si rendeva conto che ancora i tempi non erano maturi a tal punto che gli italiani acquisissero coscienza di sé come “popolo”, e l’azione fu di per sé condotta in maniera molto azzardata. Inizialmente, l’esercito murattiano riuscì a cogliere numerose vittorie e in parecchie città Murat fu proclamato re d’Italia, ma ad Occhiobello tutte le euforie si spensero. Nella successiva battaglia di Tolentino l’esercitò liberatore venne definitivamente sconfitto. Il successivo trattato di Casalanza sancì una volta per tutte la sua caduta e il ritorno a Napoli dei Borbone.

 

Se nel continente la situazione era alquanto movimentata, la Sicilia continuava a vivere nel suo ormai secolare disordine interno, a causa delle lotte intestine tra i baroni, la Corte e i protettori inglesi. Dopo aver fatto esiliare la regina Carolina, Bentinck – confortato dalle manifestazioni di gioia che avevano seguito la proclamazione della Costituzione – lasciò l’isola alla volta della guerra in Spagna. Il suo allontanamento provocò qualcosa di inaspettato: la nobiltà provinciale e rurale aveva mal visto l’introduzione della Costituzione e il parlamento si trasformò in un campo di battaglia, dove i sostenitori della Costituzione erano in netta minoranza e dove si cercava di rimediare all’abolizione del feudalesimo. Gli inglesi rimasero stupiti e delusi dalla lotta che si era venuta a creare e molti esortavano Bentinck a tornare per porre nuovamente l’ordine.

 

L’elezione della nuova Camera dei Comuni siciliana portò alla disgregazione del partito costituzionale. Ma ciò che segnò tale disfatta derivò dal fatto che in Sicilia il self-government era sconosciuto, cosa che per gli inglesi veniva data per scontata. La Costituzione prevedeva l’elezione dei consigli civici, che a loro volta avrebbero dovuto esprimere le magistrature municipali; tracciava un decentramento amministrativo che prevedeva una classe dirigente diffusa nel territorio ma che in realtà nell’isola non esisteva. Tornato nell’autunno del 1813 lord Bentinck tentò di ricostituire il partito costituzionale applicando una vera e propria legge marziale a chi osava attentare alla Costituzione, trasformandosi, così, in un Dittatore.

 

La sconfitta di Napoleone in Russia suscitò in Bentinck la volontà di intraprendere una spedizione per liberare l’Italia dal giogo francese ed esportare anche lì la Costituzione del ’12. La propaganda inglese inneggiava all’ Unità e in contemporanea a quella di Murat, egli tentò di acquistarsi le simpatie degli italiani. Tuttavia anche l’autonomia di Bentinck era alle battute conclusive. Tornato a Palermo nell’estate del 1814, il constatare che il parlamentò non era in grado di funzionare efficientemente per le prepotenze e gli interessi divergenti tra i membri della classe baronale, il lord fece nuovamente dietrofront e abbandonò definitivamente la Sicilia, dove intanto si stavano svolgendo grandi feste per il ritorno al potere dei Borboni. Il 17 Maggio 1815, re Ferdinando s’imbarcò per far ritorno a Napoli e lo stesso giorno il parlamento venne chiuso. Iniziava per l’isola una nuova stagione.

 

Appreso del ritorno a Napoli dei Borboni, Murat si rifugiò in Corsica. Qui viene raggiunto da una folta schiera di seguaci che lo convinsero di intraprendere una spedizione verso Napoli in quanto nella città erano forti i sentimenti verso di lui. Ma la vecchia popolarità di Murat si era spenta così velocemente come si era venuta a creare. Sbarcato a Pizzo di Calabria dopo che gran parte dei suoi uomini erano morti durante la traversata a causa di una tempesta, venne catturato e imprigionato da un capitano borbonico di nome Trentacapilli. Giunta la notizia al re Ferdinando, venne nominata una commissione che lo avrebbe giudicato di lì a poco. Fu condannato come nemico pubblico con lo stesso processo con cui lo stesso Murat aveva condannato numerosi briganti e sostenitori dei Borboni. Portato davanti al plotone di esecuzione la sera del 13 Ottobre 1815 egli seppe uscire di scena, fiero e a testa alta, con la frase: “Sauvez ma face — visez mon cœur — feu!”, che sottolineava tutto il suo spirito di combattente e di soldato modello. Della sua morte Napoleone espresse una sentenza lapidaria, criticandolo di aver tentato di conquistare un regno con poche decine di uomini quando non era riuscito a mantenerlo con migliaia.

 

Con la morte di Murat trionfava la restaurazione nel Mezzogiorno e si chiudeva la parentesi che lo aveva visto stretto nella morsa dei due blocchi inglese e francese.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Capra C., Storia Moderna 1492-1848, Milano 2011.

Coletti A., La Regina di Napoli. La vita appassionata di Maria Carolina protagonista di splendori e miserie del settecento napoletano, Novara 1986.

Crisantino A., Breve storia della Sicilia. Le radici antiche dei problemi di oggi, Trapani 2012.

D’Andrea D., Nel decennio inglese 1806-1815. La Sicilia nella politica britannica dai «Talenti» a Bentinck, Rubettino 2008

Iachello E., La riforma dei poteri locali nel primo ottocento in Storia della Sicilia. Dal Seicento a Oggi, a cura di F. Benigno e Giarrizzo G., Vol. 2, Roma 2003.



 

 

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