contemporanea
CATTIVA RECLAME
IMMAGINI E RAPPRESENTAZIONI DELL’ALTRO
di Sara Fresi
L’immagine della caduta del muro di
Berlino nel 1989 è un passato recente,
che ricorda la fine della divisione tra
zona americana e quella sovietica e
costituisce la tappa principale verso la
riunificazione dell’Europa. Venne
diffusa l’idea di un Europa libera e
unita all’insegna della democrazia e
della libera circolazione di merci e
persone. Dopo la caduta del muro di
Berlino e l’apertura dei confini
l’attenzione dei mass media si rivolse a
un nuovo e ingente flusso migratorio
proveniente dall’Est Europa. Le
conseguenze che ne derivarono furono
avversione, intolleranza e xenofobia nei
confronti dei migranti.
L’Italia in quel periodo si interessò al
fenomeno dell’immigrazione con fatti di
cronaca, leggi e provvedimenti statali.
La televisione contribuì a plasmare
l’opinione pubblica: da una parte
venivano trasmesse immagini di migranti
che non proferivano parola, perché
narrare i fatti era compito del cronista
o del presentatore e, dall’altra, si
assisteva alla nascita di nuovi partiti
pronti a fare una crociata contro gli
“invasori”.
Ieri come oggi sono presenti formazioni
politiche che assegnano ai migranti la
responsabilità dell’insicurezza che i
cittadini europei vivono, senza
affrontare in maniera oggettiva e
concreta le problematiche che hanno
radici negli sconvolgimenti epocali e in
una globalizzazione economica fuori da
ogni controllo. Questo atteggiamento ha
l’obiettivo di creare nell’opinione
pubblica l’immagine di uno Stato vigile,
che si preoccupa della sicurezza dei
suoi cittadini.
Gli operatori della comunicazione hanno
rappresentato il fenomeno migratorio con
titoli e immagini sensazionalistiche,
spesso amplificando gli avvenimenti, e
ciò ha contribuito ad aumentare la
percezione del clima di insicurezza,
paura e odio di tanti italiani che si
sentivano inermi e deboli davanti a
narrazioni di orde di migranti pronte a
invadere l’Italia e “rubare il lavoro”
agli italiani.
Questi fatti hanno contribuito a
diffondere immagini superficiali e
stereotipate dei nuovi arrivati,
direttamente nelle case degli italiani.
Sono proliferati messaggi pubblicitari
che promuovevano i prodotti di consumo
contribuendo a veicolare pregiudizi. I
pubblicitari hanno usato la psicologia
del profondo per attrarre le menti
inconsapevoli dei consumatori,
attraverso l’utilizzo di tecniche
subliminali di persuasione. Senza
accorgersene le persone sono state
manipolate, ma dietro c’era un lavoro
eseguito dalle agenzie pubblicitarie,
dai fotografi e dagli analisti della
motivazione.
Ieri come oggi il testo pubblicitario ha
finalità informative; una delle
principali esigenze è quella di attirare
il pubblico e distinguersi nella folla
di messaggi analoghi, pertanto i
pubblicitari devono elaborare il
messaggio in modo sempre più articolato
e complesso. Negli anni il testo ha
visto potenziare e moltiplicare le sue
possibilità comunicative, presentandosi
ormai con un testo espressivo a tutti
gli effetti.
Acquisisce importanza la necessità di
inviare una o più informazioni dal
produttore a un consumatore,
quest’ultimo sempre più saturo di
pubblicità e oggetti superflui. Spesso
una pubblicità è il risultato
dell’interazione di più codici
comunicativi, tra cui suoni, lingua e
immagini, che vanno a costruire la
completezza del messaggio integrandosi o
sovrapponendosi l’un l’altro.
Le immagini sono utili a comunicare
suggestioni, componenti fondamentali di
un messaggio pubblicitario, forse più
delle caratteristiche reali del prodotto
o di particolari offerte economiche. Nel
testo prevalgono dati non informativi,
questi possono essere scritti o
pronunciati e vanno a formare lo slogan:
una breve frase, sintetica e incisiva,
che vuole colpire per la sua acutezza e
vivacità. Spesso lo slogan è formato da
giochi di parole con ripetizioni e le
informazioni utili sono posizionate in
secondo piano.
Oggigiorno la persuasione può essere
potenziata dai mezzi di comunicazione di
massa ed è diventata uno dei pilastri
dei sistemi politici ed economici. È
necessario difendersi dalla pressione
persuasiva, per mantenere autonomia di
pensiero e di scelte, quindi bisogna
essere in grado di comprendere dove è
collocata la componente persuasiva nei
messaggi che spesso è nascosta o
minimizzata.
“La pubblicità si serve dei suoni, delle
immagini, del prestigio o della simpatia
di personaggi famosi, dell’attrazione
che un bell’esemplare dell’altro sesso
esercita sul mammifero che è in noi. E
si serve anche del linguaggio. La
conoscenza approfondita delle strutture
linguistiche è una delle condizioni per
smascherare i trucchi, almeno quelli di
natura linguistica, di cui si serve la
comunicazione tendenziosa, e quindi per
esserne un po’ più immuni”.
Nei messaggi persuasivi ci sono trucchi
linguistici; come può essere utilizzata
la grammatica per persuadere?
Anche la pubblicità ha subìto un
evoluzione, se in passato il messaggio
era chiaro ed esplicito, è stato
compreso che per essere efficaci non è
necessario affermare che il prodotto è
particolarmente buono, per non stimolare
lo spirito di contraddizione dei
potenziali acquirenti: piuttosto,
risulta più conveniente creare simpatia
e prestigio intorno ad esso.
La maggior parte dei messaggi
pubblicitari non propongono in modo
esplicito le migliori caratteristiche
per indurre i potenziali clienti ad
acquistare il prodotto, ma questo deve
entrare nella mente del pubblico in modo
indiretto. È per questo che si fa
ricorso alle immagini e ai suoni, alle
ragazze nude o a modelli convenzionali
di comportamenti e di discorsi
riconosciuti e condivisi dalla
maggioranza, o presunta tale, del gruppo
sociale di appartenenza.
Sono stati tanti i messaggi pubblicitari
trasmessi in radio oppure in
televisione, con un retrogusto razzista,
pensati sia ad un pubblico giovanile che
adulto. Il pensiero va al simpatico
Calimero, apparso per la prima volta nel
1963 nel programma televisivo Carosello.
La storia è quella di un pulcino tutto
nero, con un timbro di voce debole, che
non viene riconosciuto dalla madre, ma
quando si lava diventa tutto bianco e
dice lo slogan «Ava come lava!»
per pubblicizzare la nota marca di
detersivo Ava. Questo spot è stato visto
da milioni di italiani e riferimenti
razzisti non sono neanche troppo
subliminali.
Questo spot televisivo rievoca
l’immagine dei manifesti pubblicitari
del secolo scorso. Nel 1910 un’azienda
americana realizzò il manifesto «Useremo
Clorinolo e saremo come un negro bianco»
per pubblicizzare la soda utilizzata per
lo sbiancamento. Una pubblicità razzista
rivolta a individui afroamericani e
pensata da persone “bianche”. Un
annuncio che idolatra il colore della
pelle bianca su qualsiasi altro
colore. Tutte le persone ricevono il
messaggio che dovrebbero aspirare ad
essere bianchi, anche se sanno che la
vera “bianchezza” non può essere
raggiunta. Questa pubblicità incoraggia
ulteriormente le persone a cambiarsi in
razza bianca, anche attraverso misure
drastiche, al fine di adattarsi meglio a
ciò che la società ritiene più
desiderabile e accettabile.
Nel 1935 un’azienda con sede a Chicago
utilizzò lo spot Elliott’s White
Veneer per creare un annuncio
pubblicitario. Nel manifesto si
affermava quanto fosse bianca la vernice
e, per dimostrarlo, c’erano due
ragazzini afroamericani, uno dei quali
stava spargendo la vernice bianca
sull’altro. Lo slogan diceva: «Guarda
come copre il nero». Questo annuncio
è molto forte e razzista; è sbagliato e
non etico ritrarre un’etnia in modo così
irrispettosa. È incredibile come le
persone siano state così inconsapevoli
del fatto che certi personaggi dei
cartoni animati erano ritratti come
afroamericani e che il loro colore della
pelle veniva confrontato con la vernice
bianca.
Oggigiorno sono molte le pubblicità che
si avvalgono di comparse di uomini
“neri” vestiti da indigeni, con il
corredo di arco e frecce, e abiti
succinti; protagonista è l’uomo “bianco”
che spesso agisce e parla con tono di
superiorità nei confronti dell’indigeno.
Sono immagini che rievocano un passato
coloniale con gli europei che
consideravano i nativi del luogo come
barbari, persone prive di cultura quindi
da “addomesticare”.
Troviamo una vasta letteratura di
missionari, conquistatori, scrittori e,
nella storia recente, romanzi, cartoni
animati e film. Stereotipi utilizzati
per esagerare tratti della realtà:
persone più o meno rozze, più o meno
violente. Sono omesse sfumature, ma
vengono creati modelli applicati anche
in contesti culturali differenti. Così
come l’idea del “buon selvaggio”, non
ribelle e sottomesso, figura che ebbe
successo nel Settecento, periodo storico
che vide l’intensificarsi della tratta
degli schiavi dall’Africa all’America
latina. Milioni di africani e di
indigeni furono considerati “buoni” per
essere sfruttati e sottomessi al
servizio degli europei occidentali.
Questi sono stereotipi rozzi basati
sulla convinzione che “noi” siamo umani
e civili, mentre “loro” sono poco
diversi da animali. Proprio sulla
bestialità non mancano storici
riferimenti che gli occidentali fecero,
per esempio, nei confronti dei turchi.
Per tanti secoli Islam e Occidente
vissero all’interno di un mondo
permeabile e aperto allo scambio; il
momento di svolta fu la presa di
Costantinopoli da parte dei turchi nel
1453. La capitale dell’Impero d’Oriente,
erede dell’Impero romano, venne occupata
da Mehmed II: fu la vittoria eclatante
dei turchi che venne avvertita come
fonte di pericoli da parte di Spagna,
Francia, Impero asburgico, stati della
penisola italiana e Chiesa di Roma.
Da quel momento il turco divenne un
nemico agguerrito, temibile e
sanguinario. Per denigrare il nemico
vennero diffusi stereotipi e pregiudizi:
inaffidabile nel commercio, maestro di
furberie, lussurioso e tanto altro
ancora. Quel mondo favoloso, lontano e
sensuale venne narrato nelle Mille e
una notte di Antoine Galland,
raccolta di racconti diffusi in Europa
tra il 1704 e il 1717. Gli occidentali
manifestarono interesse, quasi invidia,
per quel mondo misterioso e
affascinante. Con il Grand Tour
si diffuse la volontà di comunicare
suggestioni, esperienze vissute o
immaginate e, in questo contesto, è
stata pubblicata una vasta letteratura e
diaristica relativa alla scrittura di
viaggio.
Molti cristiani che per fede e religione
erano monogami, svilupparono forme di
invidia per i turchi che erano poligami,
quindi li immaginavano lussuriosi e
peccatori e le donne sottomesse e
disponibili. Diffusi i casi di cristiani
che rinnegarono la loro religione per
diventare islamici. Questi stereotipi si
trovano anche in recenti spot: arabi
scaltri, donne disponibili e, sovente,
l’accostamento di fatti terroristici
alla religione islamica.
È necessario chiarire che l’Islam non è
terrorismo. I tragici fatti e le azioni
criminali a cui abbiamo assistito sono
state messe in atto da frange estremiste
giustificate da una lettura deviata e
politicizzata dell’Islam. Questa
operazione di accostare la religione
islamica al terrorismo viene effettuata
da molti mass media ed è per questo che
una lettura sommaria dei fatti e visione
parziale della storia potrebbe portare a
pensare che ci siano religioni cattive e
altre buone. Sembra quasi la volontà di
evocare quei fantasmi e quelle paure che
gli occidentali europei patirono nella
metà del Quattrocento con la presa di
Costantinopoli che, allora,
rappresentava la roccaforte e simbolo
della grandezza dell’Impero romano.
Attualmente in televisione vengono
trasmessi spot con messaggi negativi
sull’etnia, probabilmente sono meno
diffusi rispetto al passato perché, in
una società di consumi e globalizzata
quale la nostra, certi messaggi
offenderebbero una fascia di presunti
consumatori. Per evitare di ricevere
critiche negative, diminuzione delle
vendite e, perfino, sanzioni da parte
delle autorità preposte, spesso tali
spot vengono rimossi e, non di rado, la
rimozione è seguita dalle scuse
dell’azienda.
In Italia dal 1966 esiste l’Istituto
dell’Autodisciplina Pubblicitaria,
che ha l’obiettivo di vigilare affinché
una comunicazione commerciale sia
onesta, veritiera e corretta.
All’interno è presente un sistema
consolidato, rapido ed efficace, in
grado di eliminare la cattiva pubblicità
e di tutelare quella buona.
Lo IAP ha elaborato un Codice di
Autodisciplina che è vincolante per le
aziende che investono in comunicazione,
agenzie, consulenti, mezzi di
diffusione, concessionarie e per tutti
coloro che lo abbiano accettato tramite
la propria associazione, o mediante la
conclusione di un contratto di
inserzione pubblicitaria. Gli organismi
aderenti, infatti, si impegnano a
inserire nei propri contratti, o in
quelli dei propri associati, una
speciale clausola di accettazione del
Codice e delle decisioni
autodisciplinari. Quindi la larga
generalità della comunicazione
commerciale italiana è tenuta a
rispettarli.
Tutti possono fare una segnalazione: se
un utente è convinto che una pubblicità
sia offensiva, ingannevole, violenta o
volgare può fare una segnalazione
compilando e inviando il modulo presente
sul sito web dell’Istituto
dell’Autodisciplina Pubblicitaria.
Riferimenti bibliografici:
Formica M., Lo specchio turco. Immagini
dell’Altro e riflessi del Sé nella
cultura italiana d’età moderna Donzelli
editore, Roma 2012, pp. 18-19.
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