Mesenzio, o Mezenzio, re etrusco
Una figura mitologica
di
Fabio Serafini
La lettura delle fonti coeve
permette di conoscere aspetti del
passato, sebbene talvolta occorra
interpretare le informazioni
riportate dai documenti o testi
presi in considerazione. Un esempio
di quanto appena affermato è dato
dal re etrusco Mesenzio o Mezenzio –
a seconda delle fonti –, il quale ha
trovato spazio in varie opere pur
risalenti a vari secoli successivi
ai presunti eventi narrati.
Catone, vissuto fra il 234 circa e
il 149 a.C., lo inserì nel suo
Origines – di cui sono giunti in
epoca contemporanea solo dei
frammenti –, scritto fra il 174 a.C.
e l’anno della sua morte. Il re
etrusco Mezenzio si alleò con i
Rutuli di re Turno per combattere i
Latini e gli esuli troiani guidati
da Enea; sopravvisse sia a Enea che
a Turno, ma perse la vita o fu
sottomesso da Ascanio, figlio di
Enea, a seguito di un duello.
Catone, inoltre, riportò l’origine
della festività del Vinalia,
celebrate in onore di Giove – il 23
aprile, quando si usava il vino
nuovo – e di Venere – il 19 agosto
–, aggiungendo che Mezenzio avrebbe
preteso da Turno l’offerta del vino
nuovo mentre i Latini lo offrirono a
Giove. Per essersi quindi arrogato
gli onori riservati agli dei, il re
etrusco fu denominato “spregiator
degli dei” e un tale appellativo si
ritroverà anche nelle opere
successive al Catone.
Stando a quanto riportato
successivamente da Plinio il
Vecchio, Marco Terenzio Varrone,
vissuto fra il 116 e il 27 a.C. citò
l’episodio della richiesta del vino
nuovo da parte di Mesenzio al re dei
Turni in cambio del suo aiuto
militare.
L’opera più famosa in cui si ritrova
il re etrusco oggetto del presente
studio è l’Eneide di
Virgilio, scritta fra il 29 o 27 e
il 19 a.C., l’unico a essere un
poema e non un’opera storica come i
testi degli altri autori citati –
salvo una eccezione su cui si
tornerà –, oltre a essere l’unico
testo a chiamare la figura etrusca
Mesenzio e non Mezenzio.
La seconda metà dell’Eneide è
dedicata alla guerra che ha visto
coinvolti gli esuli troiani e i
Latini da una parte e, dall’altra, i
Rutuli di re Turno e gli Etruschi di
Cere – in realtà l’etrusca Caere,
precedentemente denominata Agylla
dai Greci e successivamente
diventata Cerveteri – il cui re era
Mesenzio, sebbene sia definito re
dei Tirreni e non degli Etruschi.
Mesenzio fu qui definito
“bestemmiatore dei Numi”, intesi
sicuramente con gli dei, o
“sacrilego bestemmiatore”, oltre a
essere definito “esecrato tiranno” –
quindi detestato –, tanto che già il
figlio Lauso avrebbe preferito un
padre migliore, oltre a subire una
rivolta dal suo stesso popolo.
In Virgilio Mesenzio perderà la vita
per mano di Enea, il quale poi userà
le armi dell’Etrusco per addobbare
una quercia, oltre a glorificarsi
con i compagni di aver ucciso
Mesenzio.
Nella Storia di Roma, Tito
Livio – vissuto fra il 59 e il 17
a.C. – riportò Mezenzio come re di
Caere, definita opulenta e, seguendo
Catone, l’Etrusco sopravvisse a Enea
prima di essere sconfitto dai Latini
e ciò permise il termine della
guerra.
Secondo la mitologia romana, almeno
in parte riportata da Tito Livio, ad
Ascanio – nella versione greca – o
Iulo – nella versione latina – si
deve la fondazione di Alba Longa,
così come Enea fondò precedentemente
la città di Lavinio. Tito Livio,
infine, ripose nella preoccupazione
di Mezenzio per la fondazione di
quest’ultima località il motivo
dell’alleanza fra Etruschi e Rutuli
a seguito della quale scaturì la
guerra contro Latini ed esuli
troiani.
Ovidio, vissuto fra il 43 a.C. al 17
d.C., differisce in parte dagli
altri autori, poiché nei Fasti
i Rutuli erano già in guerra quando
re Turno chiese all’omologo Mezenzio
di impegnarsi contro Enea. L’Etrusco
accettò la richiesta, a condizione
di ricevere in cambio l’offerta del
vino nuovo, mentre Enea offerse a
Giove la medesima tipologia di bene:
la successiva sconfitta di Mezenzio
appare perciò come l’esito negativo
di chi prescinde e si discosta da
quanto è ritenuto sacro.
In Ovidio, quindi, Mezenzio è
ritenuto ancora una persona
sacrilega, ma vi è la novità di aver
inserito lo stesso nell’origine
mitologica della festività dei
Vinalia o almeno a quella festività
di aprile dedicata a Giove, in virtù
sia dell’aver menzionato il vino
nuovo che dell’offerta a Giove e non
anche a Venere.
Verrio Flacco, invece, vissuto fra
il 55 a.C. e il 20 d.C., autore del
calendario denominato Fasti
Prenestini, per il giorno
dedicato alla festività della
Vinalia di inizio anno, riposto al
23 aprile, riporta come Mezenzio
richiese e ottenne dai Rutuli un
tributo annuo di vino in cambio del
suo aiuto: si tratta quindi di un
riferimento al vino nuovo per la
festività di inizio anno dedicata a
Giove.
Sesto Pompeo Festo, vissuto nel II
secolo d.C. e autore del verborum
significatu, trasportò invece
l’evento riportato da Verrio Flacco
alla festività del Vinalia del 19
agosto, quando Mezenzio richiese
vino come offerta sacra, quindi come
donazione non per sé ma per le
divinità.
L’Origo gentis Romanae,
risalente al IV secolo d.C., è
l’ultimo testo prodotto dalla
cultura romana in cui si può trovare
la figura di Mezenzio. Il suo
autore, rimasto anonimo, ha seguito
la versione di Dionigi di
Alicarnasso, vissuto nel I secolo
a.C. e su cui si tornerà a breve,
con l’eccezione del tributo di vino
richiesto dal re etrusco: in cambio
dell’alleanza con i Rutuli,
l’imposizione di vino sarebbe durata
solo per alcuni anni.
Alle opere di matrice romana ne
vanno aggiunte due pubblicate da
autori greci, il primo dei quali il
già menzionato Dionigi di
Alicarnasso. Questi ripropose la
versione secondo cui Mezenzio, re
dei Tirreni come in Virgilio,
richiese ai Rutuli un tributo
annuale in vino in cambio del suo
sostegno – come proposto da Verrio
Flacco – e sopravvisse a Enea e a
Turno. Inoltre, a seguito di una
sconfitta in battaglia in cui perse
la vita il figlio, Mezenzio chiese e
ottenne da Ascanio la tregua e
successivamente vi fu un rapporto
amichevole fra il re etrusco e i
Latini.
Dionigi di Alicarnasso si soffermò
anche su una leggenda sulla
fondazione di Lavinio: in una
foresta vicina la città divampò un
incendio, alimentato da un lupo e
un’aquila, che ebbero poi la
meglio, mentre una volpe tentò di
spegnerlo.
Mezenzio è definito innanzitutto
“generale degli Etruschi” e si può
quindi supporre che egli non sarebbe
stato re. Plutarco nella sua opera
Questioni romane riportò,
sotto forma di domanda, come
Mezenzio offrì la pace a Enea, a
condizione che quest’ultimo offrisse
all’Etrusco il vino prodotto
nell’anno in corso. Il rifiuto
dell’esule troiano fece scaturire la
guerra e Mezenzio promise al suo
popolo di impadronirsi del vino
richiesto ma non ottenuto; al
termine del conflitto Enea consacrò
il vino agli dei, offrendolo al
tempio di Venere, quindi forse
collegandolo alla festività della
Vinalia di agosto.
Per concludere, va innanzitutto
ricordato come in varie civiltà del
mondo antico 0 come nelle
popolazioni della Persia, di Sparta
e di Cartagine – era diffusa la
richiesta di beni come tributi.
L’informazione secondo la quale
Mezenzio richieste il vino in cambio
dell’aiuto ai Rutuli può quindi
essere una per così dire eco
del passato, sebbene non
propria di Roma.
Catone, come si è visto, fu infatti
il primo a riportare una simile
richiesta e lo stesso Catone visse
in quell’età repubblicana durante la
quale Roma combatté quelle guerre
puniche contro la Cartagine dove
erano in uso quei tributi affini a
quanto riportato dal medesimo
autore.
Il personaggio Mesenzio o Mezenzio è
apparso nella letteratura romana –
per lo più nelle opere storiche –
secoli dopo la sua ipotetica vita e,
in base alle attuali conoscenze, si
può dubitare di una sua realtà
storica. Tuttavia è stato rinvenuto
a Caere un vaso risalente al secondo
quarto del VII secolo a.C. che
riporta una iscrizione etrusca in
cui sono si legge “mi Laucies
Mezenties”, traducibile con “Io
sono Lucio Mezenzio”.
Ciò significa che è effettivamente
esistito un Mezenzio originario o
quantomeno vissuto in età adulta a
Caere, ma questi non deve essere
identificato con il Mezenzio della
letteratura presa in considerazione
poiché vissuto circa cinque secoli
dopo. Il personaggio di Mezenzio
potrebbe invece avere un significato
politico in cui rappresenterebbe la
monarchia assoluta e la teocrazia
dei popoli confinati a quello
romano, mentre quest’ultimo era alla
ricerca della libertà.
La leggenda dell’incendio di
Lavinio, invece, ha fatto ipotizzare
l’identificazione della volpe con
Mezenzio, opposto alle divinità di
Pico – l’uccello – e Fauno – il
lupo; inoltre si è voluto
identificare il Castrum Inui,
oggi nel territorio di Ardea, con la
roccaforte di Mezenzio.
Sempre in epoca contemporanea
Lorenzo Da Ponte scrisse una
tragedia nel 1791 intitolandola
Il Mezenzio, ripubblicata
successivamente. Anne-Louis Girodet
de Roussy-Trioson, vissuta a cavallo
fra la fine del XVIII secolo e
l’inizio del successivo, produsse
due disegni sul combattimento fra
Mezenzio ed Enea, mentre Louis-Jean
Desprez ne dipinse uno. Tre
sculture, infine, furono eseguite da
Louis-Léon Cugnot, Alexandre
Falquiére e Denys Puech,
quest’ultimo vincitore del Prix de
Rome nel 1884.
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