N. 146 - Febbraio 2020
(CLXXVII)
MENZOGNE
E
ABUSI
DI
POTERE
NEI
PROCESSI
POLITICI
IN
TURCHIA
IL
CALVARIO
DEGLI
OPPOSITORI
di
Leila
Tavi
In
Turchia
è
ormai
da
tempo
impossibile
esprimere
il
proprio
dissenso
senza
che
la
morsa
della
giustizia
asservita
al
potere
non
si
accanisca
sui
singoli
intellettuali
od
oppositori
politici.
È
di
ieri
pomeriggio
la
notizia
dell’arresto
di
un
direttore
del
TG
di
un
canale
televisivo
indipendente,
Oda
TV.
Il
giornalista
si
chiama
Barış
Terkoğlu
e la
sua
colpa
è
quella
di
aver
mandato
in
onda
i
funerali
di
un
agente
dei
servizi
segreti
turchi
ucciso
in
Libia.
Il 3
marzo
l’emittente
turca
ha
divulgato
un
servizio
sul
funerale,
che
si è
svolto
nella
provincia
occidentale
di
Manisa,
mettendo
in
evidenza
il
fatto
che
non
si
fosse
scelta
la
formula
dei
funerali
di
Stato,
alla
presenza
di
alte
cariche.
Oltre
a
Barış
Terkoğlu,
è
stata
arrestata
la
reporter
Hülya
Kılınç,
con
l’accusa
di
“aver
rivelato
in
modo
incauto
l’identità
di
un
funzionario
dell’agenzia
di
intelligence”.
Terkoğlu
si
trova
ora
nel
carcere
di
Silivri,
mentre
Hülya
Kılınç
nel
carcere
femminile
di
Bakırköy
a
Istanbul.
Secondo
le
dichiarazioni
dell’ufficio
stampa
di
Oda
TV,
l’identità
dell’agente
segreto
ucciso
era
già
stata
rivelata
da
un
deputato
di
Istanbul
del
partito
di
opposizione
İYİ
(Buono),
Ümit
Özdağ,
durante
una
conferenza
stampa
in
Parlamento
trasmessa
online.
Terkoğlu
era
già
stato
arrestato
nel
2011,
insieme
ad
altri
redattori
di
Oda
TV,
nell’ambito
delle
indagini
legate
ai
processi
nei
confronti
della
presunta
organizzazione
terroristica
Ergenekon,
considerata
dal
governo
come
un
affiliato
del
gruppo
terroristico
FETÖ,
con
infiltrazioni
all’interno
della
magistratura
turca.
Il
derin
devlet
corrisponde
allo
Stato
profondo,
quello
Stato
parallelo
che
noi
Italiani
abbiamo
imparato
a
conoscere
con
Gladio
e
che
opera
in
piena
clandestinità
e in
accordo
con
la
criminalità
organizzata.
Ahmet
Özcan
fu
il
primo
studioso
a
dare
nel
1996
una
definizione
di
Ergenekon
come
network
ultranazionalista.
Il 5
gennaio
1997
il
quotidiano
Aydinlik
intervistò
un
ufficiale
di
marina
in
pensione,
Erol
Mütercimler,
che
dichiarò,
durante
un
dibattito
pubblico
in
occasione
dello
scandalo
del
Susurluk,
l’organizzazione
clandestina
Ergenekon
come
al
di
sopra
del
Parlamento
e
della
legge.
Nello
stesso
anno
Can
Dündar
e
Celal
Kazdağlı
pubblicarono
una
monografia
su
Ergenekon,
con
una
nuova
dichiarazione
di
Mütercimler
riguardo
a un
generale
in
pensione:
“È
al
di
sopra
dello
Stato
Maggiore
Generale,
dell’Agenzia
Nazionale
di
Intelligence
e
del
Primo
Ministro.
Ci
sono
generali,
capi
dei
dipartimenti
di
polizia
e
uomini
d’affari
in
questa
organizzazione”.
Il
libro,
scritto
con
uno
stile
reportagistico,
accennava
a
una
rete
di
“cecchini”
di
destra
ultranazionalisti,
a
stretto
contatto
con
i
servizi
segreti
e le
forze
di
sicurezza
turche.
Successivamente
è
stato
scoperto
che
quegli
agenti
irregolari
erano
solo
la
punta
dell’iceberg
di
una
rete
più
ampia,
in
grado
di
utilizzare
diversi
segmenti
ideologici
della
società
per
i
propri
obiettivi.
I
giudizi
degli
analisti
politici
sull’associazione
segreta
non
sono
unanimi:
per
alcuni
di
loro
lo
Stato
profondo
è la
somma
di
diversi
gruppi
che
non
lavorano
coesi
dietro
le
quinte,
ma
in
competizione,
ognuno
alla
ricerca
del
proprio
tornaconto.
Altri
studiosi
lo
definiscono
invece
una
rete
di
interessi
con
una
supremazia
basata
sull’alto
grado
di
autonomia
militare,
che
permette
all’apparato
di
sicurezza
di
scardinare
le
istituzioni
democratiche
formali
(in
primo
piano),
utilizzando
un
repertorio
sui
generis
di
istituzioni
informali
(in
secondo
piano),
come
la
minaccia
di
un
putsch,
circoli
segreti
di
stampo
autocratiche,
mafia,
criminalità
organizzata
e
corruzione.
Si
fa
risalire
l’origine
dello
Stato
profondo
in
Turchia
agli
anni
Settanta,
durante
il
primo
mandato
di
Mustafa
Bülent
Ecevit,
quando
rivelò
l’esistenza
di
una
controparte
turca
all’operazione
italiana
Gladio,
la
Kontrgerilla,
per
contenere
la
sfera
d’azione
sovietica
a
livello
internazionale.
Come
in
Italia,
la
Contro-Guerriglia
turca
è
stata
sospettata
di
aver
organizzato
numerosi
atti
terroristici
rimasti
impuniti,
esercitando
una
grande
influenza
sulla
storia
del
Turchia
durante
la
Guerra
Fredda,
in
particolare
per
aver
dato
vita
ai
colpi
di
stato
militari
del
1971
e
del
1980.
Nel
2008
il
procuratore
Zekeriya
Öz
ha
formulato
il
primo
atto
d’accusa
e ha
classificato
Ergenekon
come
un’organizzazione
ultranazionalista
e
clandestina,
composta
da
funzionari
pubblici,
militari
e
agenti
di
sicurezza,
con
l’obiettivo
di
preparare
un
colpo
di
Stato
per
rovesciare
il
governo
del
partito
AK.
Nel
tempo,
a
quell’atto
d’accusa
ne
sono
seguiti
diversi
altri
e,
durante
durante
il
processo,
ci
sono
stati
23
accusati
e
275
sospettati,
tra
i
quali
ufficiali,
giornalisti
e
avvocati
non
allineati
con
il
regime.
Nell’aprile
del
2016
la
Corte
Suprema
d’Appello
turca
ha
emesso
una
sentenza
che
negava
l’esistenza
di
Ergenekon.
In
passato
gli
ultranazionalisti,
adesso
i
terroristi
islamici,
la
morsa
della
tirannia
si
fa
sempre
più
stretta
su
ciò
che
resta
della
società
progressista
e
democratica
turca.
Ricordiamo
il
caso
di
Osman
Kavala,
del
quale
abbiamo
parlato
il
mese
scorso
in
occasione
del
Gezi
Park
Trial.
Il
filantropo
e
attivista
per
i
diritti
umani
è
stato
scagionato
dall’accusa
di
aver
organizzato
le
proteste
di
piazza
a
Istanbul
nell’estate
del
2013
dopo
oltre
due
anni
di
detenzione
preventiva.
Kavala
è
stato
scagionato
a
metà
del
mese
scorso,
ma
la
sua
libertà
è
durata
solo
pochi
giorni,
poiché
è
stato
arrestato
di
nuovo
con
l’accusa,
questa
volta,
di
aver
partecipato
al
fallito
tentativo
di
colpo
di
Stato
del
luglio
2016.
Vogliamo
concludere
questo
articolo
con
la
dichiarazione
rilasciata
da
Kavala
il
21
febbraio
scorso:
“Sebbene
il
mancato
rispetto
della
decisione
della
Corte
europea
dei
diritti
dell’uomo
e il
prolungamento
della
mia
detenzione
siano
stati
una
grave
violazione
dei
diritti,
la
sentenza
di
assoluzione
della
Corte
penale
n.
30
di
Istanbul
è
rappresentato
un
passo
positivo.
Speravo
che
le
menzogne
senza
fondatezza,
l’illegalità
e
l’uso
della
detenzione
preventiva
nel
procedimento
penale
di
Gezi
contribuissero
alla
comprensione
delle
disfunzioni
all’interno
della
magistratura,
fornendo
così
un
impatto
riparatore.
Eppure,
purtroppo,
l’intervento
del
Presidente
della
Repubblica
della
Turchia
ha
impedito
questa
possibilità,
sono
stato
così
arrestato
di
nuovo,
in
un
modo
ancora
più
illegale
e
con
un’accusa
ancora
più
priva
di
logica
rispetto
alla
prima
volta.
L’accusa
di
aver
avuto
frequenti
contatti
con
Henri
Barkey,
che
era
l’unico
fondamento
del
capo
di
imputazione
che
mi
era
stato
rivolto
due
anni
e
mezzo
fa,
è
stata
smentita
molto
tempo
fa
con
i
verbali
e le
intercettazioni
forniti
dalla
Direzione
di
Sicurezza.
L’accusa
che
abbia
pianificato
il
tentativo
di
colpo
di
Stato
del
15
luglio
è
molto
più
irragionevole
dell’accusa
già
irragionevole
che
abbia
pianificato
e
organizzato
le
Proteste
di
Gezi
e
dimostra
un
chiaro
intento
maligno.
Spero
che
questa
illegalità
di
cui
sono
stato
vittima
non
duri
a
lungo
e
che
il
danno
che
sta
provocando
alla
magistratura
non
sia
permanente.