N. 130 - Ottobre 2018
(CLXI)
L’estasi della Menade
Il
furor
dionisiaco
nelle
fonti
e
nell’iconografia
antica
di
Alessandra
Romeo
Le
Menadi,
termine
greco
che
indica
«le
deliranti»,
sono
le
seguaci
di
Dioniso,
protagoniste
indiscusse
della
tradizione
letteraria
e di
quella
iconografica
antica.
Come
afferma
Euripide
nelle
Baccanti,
altro
termine
usato
per
indicare
le
devote
al
dio,
esse
rinunciano
alla
consuetudine
quotidiana
imposta
al
loro
sesso
e si
lasciano
pervadere
dall’estasi
divina:
Lontane
dai
telai,
lontano
dalle
spole
le
ha
incalzate
il
pungolo
di
Dioniso.
[E.
Ba.
118-119;
Trad
it.
A.
Tonelli]
Sotto
il
pungolo
della
follia
e
con
grida
esaltate
(cfr.
E.
Ba.
34),
abbandonate
le
loro
case,
gioiscono
in
danze
sfrenate
(cfr.
E.
Ba.
62-63;
379;
568-569;
863-877)
al
suono
di
timpani
e
flauti
(cfr.
E.
Ba.
59;
157;
380;
514;
160)
e
folli
corse
tra
i
monti
(cfr.
E.
Ba.
136;
162-163;
727;
748-749).
Esse,
inoltre,
praticano
l’omofagia,
il
nutrirsi
del
sangue
e
delle
carni
crude
degli
animali
sacrificati
per
entrare
in
contatto
col
divino,
cibandosene
simbolicamente
(cfr.
E.
Ba.
138),
e lo
sparagmós,
lo
smembramento
rituale
(cfr.
E.
Ba.
734-747).
Contrariamente
all’immaginario
comune,
tuttavia,
queste
donne
non
sono
dedite
a
osceni
amplessi
e
all’ubriachezza
(cfr.
E.
Ba.
686-688).
Altra
caratteristica
è il
grido
sacro
che
il
dio
suscita
nelle
donne
invasate,
l’euoé
(cfr.
E.
Ba.
23;
67;
129;
141;
149-151;
158-159;
568;
579;
1166).
Secondo
la
testimonianza
di
Euripide,
le
donne
possedute
rapiscono
i
bambini
dalle
case,
indossano
indumenti
senza
l’uso
di
corde
o
fibule,
hanno
i
capelli
avvolti
nel
fuoco
senza
che
brucino,
detergono
le
guance
sporche
di
sangue
con
le
lingue
di
serpenti
(cfr.
E.
Ba.
754-769)
e
lasciano
i
capelli
sciolti
sulle
spalle
(cfr.
E.
Ba.
695;
831).
I
tratti
che
caratterizzano
le
Menadi
sono
quelli
delle
donne
che
rompono
i
rigidi
schemi
sociali
imposti,
ne è
esempio
anche
Medea.
Donna,
straniera
e
maga,
quintessenza
della
marginalità
sociale
agisce
secondo
i
principi
dell'inversione:
non
indossa
costrizioni
vestiarie
alla
vita
e
lascia
le
vesti
fluide
e
morbide,
porta
i
capelli
sciolti
e
non
raccolti
sulla
nuca,
non
rimane
confinata
in
casa
ma
vaga
senza
meta,
uscendo
persino
di
notte,
libera
la
bocca
per
dare
sfogo
ai
suoi
lamenti
noncurante
delle
convenzioni
sociali
(cfr.
A.R.
3,
828
ss.;
Ov.
met.
7,
180-191).
Altro
tratto
in
comune
con
la
maga
è la
capacità
di
compiere
prodigi.
Così
come
Medea
è
un’esperta
di
pozioni
e
incantesimi
(cfr.
A.R.
4,
41-42;
59-61;
126-161;
1665-1671;
E.
Med.
784-789;
1156-1177;
Myrsil.
FGrHist
477
F I;
Pherecyd.
FGrHist
3F
113
ab;
Simon.
fr.
551
Page;
Lyc.
1315;
A.
fr.
246a
Radt.;
Apoll.
Epitome
1,
5-6;
Apoll.
Bibliotheca
1,
9,
28;
Paus.
2,
3,
7),
anche
le
Baccanti
sono
capaci
di
azioni
magiche:
creano
zampilli
di
rugiada
battendo
il
tirso
sulla
roccia,
fanno
sgorgare
una
fonte
di
vino
con
un
colpo
di
tirso
sul
terreno,
grattano
la
terra
e
ricavando
zampilli
di
latte
(cfr.
E.
Ba.
703-710).
Il
delirio
bacchico
e la
possessione
del
dio,
infine,
donano
anche
grandi
capacità
divinatorie
(cfr.
E.
Ba.
299-301).
Pochi
sono
gli
episodi
del
mito
in
cui
la
possessione
bacchica
si
manifesta
e
coloro
i
quali
vi
si
oppongono,
offendendo
così
Dioniso,
subiscono
la
punizione
divina.
Il
più
celebre
è il
caso
di
Penteo:
Le
incatenerò
con
catene
di
ferro:
le
farò
smettere
subito
di
abbandonarsi
a
questo
baccheggiare
depravato.
[E.
Ba.
231-232;
Trad
it.
A.
Tonelli]
La
tracotanza
dello
stolto
fu
ben
presto
punita
con
una
morte
atroce:
con
uno
stratagemma
Dioniso
fece
in
modo
che
il
giovane,
travestito
da
donna,
spiasse
le
Baccanti
e
cadesse
loro
preda.
Il
furor
dionisiaco
fece
sì
che
sua
madre
in
persona,
Agave,
ne
strappasse
le
membra
con
forza
disumana
destata
dal
dio,
sbavando,
ruotando
le
pupille
stravolte
e
incapace
di
intendere.
Cruenta
la
descrizione
della
scena,
in
cui
ciascuna
donna
stacca
e
porta
via
un
pezzo
dal
corpo,
tra
cui
un
piede
con
tutto
il
calzare,
i
suoi
brandelli
sono
lanciati
come
nel
gioco
della
palla
e la
testa
conficcata
sulla
punta
del
tirso
(cfr.
E.
Ba.
810
ss.).
Straziante
il
momento
in
cui
Agave
riacquista
il
senno
e
scopre
di
aver
commesso
il
turpe
delitto.
Nella
produzione
vascolare
attica
il
mito
è
rappresentato
in
maniera
cruenta.
Ne è
un
esempio
l’hydria
attica
a
figure
rosse,
il
cui
stile
ricorda
quello
del
Gruppo
dei
Pionieri,
datata
al
500
a.C.
e
conservata
all’Antikensammlung
di
Berlino
(inv.
1966.18),
nella
quale
sono
rappresentate
due
Menadi
che
reggono
torace,
braccia
e
una
gamba
del
giovane,
e
Agave
con
la
testa
e
l’altra
gamba
dello
sventurato.
Figura
1.
Smembramento
Penteo.
Hydria,
Vicino
al
Gruppo
dei
Pionieri,
500
a.C.
ca.,
particolare.
Disegno
di
A.
Romeo.
Un
altro
esempio
di
smembramento
bacchico
è
quello
di
Orfeo.
Tra
le
varianti
del
mito,
spicca
quella
secondo
la
quale
l’indovino
fu
fatto
a
brandelli
dalle
Menadi:
l’episodio
è
ricordato
da
Apollodoro
(Apollod.
Bibliotheca
1,
3,
2),
nella
tragedia
perduta
di
Eschilo
Bassaridi,
dove
si
narra
che
Dioniso
volle
punire
Orfeo
per
non
avergli
dato
i
giusti
onori
inviando
le
Menadi
tracie
a
dilaniare
il
suo
corpo
(cfr.
A.
frr.
23-25
Radt)
e da
Conone,
che
afferma
che
le
donne
tracie
e
macedoni
si
vendicarono
perché
Orfeo
non
voleva
renderle
partecipi
dei
misteri
dionisiaci
da
lui
inventati
(cfr.
Apollod.
Bibliotheca
1,
3,
2;
D.S.
1,
69,
4;
1,
92,
3;
1,
96,
2-3;
1,
97-98;
4,
25,
3;
E.
Rh.
943
ss.;
Ar.
Ra.
1032;
Orphica
A.
11 )
e,
dopo
averlo
fatto
a
pezzi,
gettarono
i
brandelli
nel
mare
(Conon
Narrat.
45).
Altri
esempi
in
cui
le
donne
sono
possedute
dal
dio
sono
gli
episodi
in
cui
Dioniso
rende
folli
le
donne
di
Argo
(cfr.
Apollod.
Bibliotheca
1,
9,
12;
D.S.
4,
68,
4) e
le
figlie
di
Preto,
colpevoli
di
non
aver
accettato
i
riti
iniziatici
del
dio
(Apollod.
Bibliotheca
2,
2,
2).
Il
mito
indica,
seppur
non
esplicitamente,
anche
la
prima
donna
che
mostra
l’invasamento
bacchico:
Semele,
madre
di
Dioniso.
Sublimi
i
versi
di
Nonno
di
Panopoli
che
ne
descrivono
lo
stato
di
esaltazione
durante
la
gravidanza
e
che
fanno
di
essa
l’archetipo
della
Menade
posseduta
dal
dio:
E
pur
appesantita
com'era
del
divino
nascituro,
se
mai
un
vecchio
pastore
suonava
con
la
zampogna
e
lei
nei
paraggi
sentiva
eco
rimandarle
il
suono
dai
campi,
con
indosso
solo
una
tunica
si
slanciava
fuori
del
talamo
urlando
in
delirio,
se
poi
le
giungeva
all'orecchio,
rimbalzato
dai
monti,
il
suono
di
un
aulos
doppio,
balzando
senza
sandali
fuori
dall'alto
palazzo
correva
da
sola
verso
le
solitudini
di
un
declivio
boscoso;
se
un
cembalo
risuonava,
volteggiava
a
passo
di
danza,
saltando
di
lato
con
i
piedi
inarcati.
Se
udiva
il
muggito
di
un
toro
dalle
lunghe
corna,
anche
lei
muggiva
di
rimando
proprio
come
un
toro;
talvolta
ai
piedi
dei
pascoli
collinari
con
voce
invasata
accompagnava
le
melodie
di
Pan
e
nel
ripeterle
diveniva
Eco;
e in
risposta
al
suono
pastorale
di
un
aulos
di
corno,
dava
al
suo
passo
l'inflessione
della
danza.
Il
fanciullo
non
ancora
nato,
ma
già
cosciente,
danzava
insieme
alla
madre
saltando
nel
suo
ventre,
proprio
come
se
fosse
invasato
dall'aulos
e,
pur
compiuto
a
metà,
d’istinto
faceva
echeggiare
un
canto
dall’utero
materno.
[Nonn.
D.
8,
13-30;
Trad.
it.
D.
Gigli
Piccardi]
Il
legame
di
Semele
con
la
sfera
dionisiaca
è
riscontrato
anche
nella
produzione
ceramica.
La
donna
è
rappresentata
come
una
Menade
ed è
sempre
in
connessione
con
Dioniso:
in
scene
legate
al
culto,
al
momento
del
parto
o,
ancora,
in
primo
piano
accanto
al
figlio.
Un
esempio
è la
kylix
ABV
203.1,
attribuita
al
Pittore
di
Kallis,
datata
al
530
a.C.
e
conservata
al
Museo
Archeologico
di
Napoli
(inv.
SA172).
Figura
2.
Dioniso
e
Semele.
ABV
203.1,
Pittore
di
Kallis,
530
a.C.,
particolare.
Disegno
di
A.
Romeo.
Attributi
delle
Menadi,
riscontrati
sia
in
letteratura
come
nell’iconografia,
sono
la
nebride,
ossia
la
pelle
di
cerbiatto
(cfr.
E.
Ba.
23;
110;
136;
696-697;
835),
il
tirso,
un
lungo
bastone
avvolto
di
edera
o
vite
(cfr.
E.
Ba.
80;
112;
145;
307;
703;
705;
724;
732;
799;
835),
dardi
e
corone
d’edera
(cfr.
E.
Ba.
23-24;
80;
106),
corone
di
quercia
e di
smilace
fiorito
(cfr.
E.
Ba.
108;
701-702);
rami
di
quercia
e di
abete
(cfr.
E.
Ba.
109);
timpani,
flauti,
torcia
di
pino
(cfr.
E.
Ba.
146;
306)
e
serpenti
(cfr.
E.
Ba.
697;
768).
Figura
3.
Menade.
ARV²
490.115,
Hermonax,
460
a.C.
ca.
Le
Menadi
sono
rappresentate
secondo
precisi
schemi
iconografici:
da
sole,
nel
tiaso,
la
processione
in
onore
di
Dioniso,
alla
presenza
del
dio
e in
compagnia
di
Satiri,
in
genere
raffigurati
mentre
tentano
un
approccio
sessuale
con
le
donne.
Figura
4.
Rilievo
con
danza
estatica,
27
a.C.-68
d.C.
Ne
sono
esempi
alcuni
reperti
conservati
al
Metropolitan
Museum
di
New
York:
la
lekythos
attica
ARV²
490.115,
attribuita
a
Hermonax
e
datata
al
460
a.C.
circa
(41.162.19),
sulla
quale
una
Menade
è
rappresentata
con
tirso,
corona
di
edera,
nebride
e
serpente;
il
rilievo
in
terracotta
(12.232.8a),
datato
dal
27
a.C.
al
68
d.C.,
che
raffigura
la
danza
estatica
sei
seguaci
di
Dioniso;
l’anfora
a
collo
distinto
attica
ARV²
605.61,
attribuita
al
Pittore
dei
Niobidi
e
datata
al
460-450
a.C.
(inv.
99.13.2),
sulla
quale
è
raffigurata
una
scena
di
offerta
sacrificale
con
Dioniso,
recante
un
tirso
e un
kantharos,
suoi
attirbuti
iconografici,
e
due
Menadi
con
rami
di
edera;
il
cratere
a
colonnette
attico
ARV²
564.15,
attribuito
al
Pittore
dei
porci,
datato
al
475–465
a.C.
circa
(inv.
06.1021.152),
su
cui
è
raffigurata
una
Menade,
riconoscibile
grazie
agli
attributi
iconografici
sopra
elencati,
inseguita
da
un
Satiro
itifallico.
Nel
corso
dei
secoli
gli
attributi
e
gli
schemi
iconografici
delle
Menadi
rimangono
pressoché
invariati.
Figura
5.
Dioniso
e
Menadi.
ARV²
490.115,
Hermonax,
460
a.C.
ca.
Figura
6.
Satiro
e
Menade.
ARV²
564.15,
Pittore
dei
porci,
475–465
a.C.
ca.
Riferimenti
bibliografici:
ABV
:
Beazley,
J.D.,
Attic
Black-Figure
Vase-Painters,
Oxford
1956.
ARV²
:
Beazley,
J.D.,
Attic
Red-Figure
Vase-Painters,
Oxford
1963.
FGrHist:
Jacoby,
F.,
Die
Fragmente
der
griechischen
Historiker.
Maxwell-Stuart,
P.G.,
Storia
delle
streghe
e
della
stregoneria.
Una
storia
completa
della
stregoneria
occidentale,
dalle
origini
alla
persecuzione
delle
streghe
come
eretiche
nel
XVI
secolo,
fino
alle
streghe
pagane
del
Novecento
(trad.
it.
di
D.
Ballarini),
Newton
&
Compton,
Roma
2003,
p.
27.