“Memorial” di San
Pietroburgo
sul sequestro
del materiale
d'archivio
di Umberto Vitiello
Nel novero delle ormai tantissime azioni censorie che
continuano ad essere perpetrate in Russia sempre più
frequentemente a partire dal 2000, anno in cui Vladimir
Putin assurse al potere, grande scalpore ha destato in
tutto il mondo la notizia che il 4 dicembre scorso la
sede in via Rubinstein di San Pietroburgo del
Naučno-Informacionnij Centr “Memorial” è stata
sottoposta a una lunga perquisizione da parte di sette
agenti di polizia inviati dalla Procura, alla fine della
quale sono stati sequestrati numerosi documenti cartacei
e gli undici dischi rigidi dei computer.
Oltre
diecimila foto d’epoca, diari e documenti, la voce dei
sopravvissuti, i risultati delle perizie sulle fosse comuni:
testimonianze sulla storia dell’Arcipelago Gulag, i
campi di concentramento sovietici, coi nomi di oltre
cinquantamila vittime, quasi tutte della regione
chiamata ancora di Leningrado nonostante il suo
capoluogo abbia ripreso quello storico di San
Pietroburgo.
La
memoria delle vittime contro quelle dei loro repressori,
la storia vissuta sulla propria pelle contro la Storia
Ufficiale: una ricerca di circa venti anni di lavoro
certosino che rischia di essere perduta per sempre.
Il
motivo della perquisizione con il conseguente sequestro
del materiale è il presunto finanziamento da parte di
“Memorial” del giornale locale di opposizione al governo
russo “Novyj Peterburg”, fatto chiudere dalle autorità
governative nel 2007 per avere appoggiato le
manifestazioni antiputiniane represse da parte delle
forze speciali di polizia con l’arresto di numerosi
partecipanti.
Il
giornale era stato accusato d’aver pubblicato un
articolo “estremista” con “istigazione all’odio”,
definizione quest’ultima in cui, secondo la legge russa,
ricade una miriade di “reati”, come i proclami xenofobi,
l’integralismo religioso e perfino la critica al potere
costituito.
Il
Centro di Ricerca Scientifica e Attività Informativa
detto “Memorial” - quello di Mosca fu il primo e nacque
ufficialmente nel 1989, ma era già attivo come movimento
nel 1987 - fin dalla sua fondazione ha per scopo non
solo il tentativo di salvare la memoria delle vittime
delle repressioni sovietiche, ma anche la difesa e la
salvaguardia del diritti umani e il monitoraggio dello
sviluppo democratico della Russia post-sovietica.
Grazie
a questa encomiabile organizzazione che porta il nome
del dissidente scienziato e fisico sovietico Andrei
Dmitrievič Sacharov (1921 – 1989), premio Nobel per la
Pace, sono stati emanati i pochi provvedimenti statali a
tutela della memoria delle vittime dello stalinismo e,
sempre grazie a Memorial, sono state denunciate numerose
violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito
russo in Cecenia.
Come
alcuni giornalisti russi coraggiosi hanno fatto e
continuano a fare nonostante la morte non certo
accidentale di diversi loro colleghi: un esempio tra
tutti, Anna Politkovskaja, giornalista di Novaja Gazeta,
freddata con dei colpi di pistola nel portone di casa
sua a Mosca nel settembre del 2006, appena poco più di
due anni fa.
L’attività di Memorial è riconosciuta
internazionalmente, come dimostra la sua candidatura al
Premio Nobel per la Pace nel 2007 e nel 2008, ma
purtroppo è osteggiata in patria, dove nei libri
scolastici di storia riaffiora sempre più
prepotentemente il mito di Stalin .
L’operazione del 4 dicembre, che ha messo a repentaglio
non solo il materiale contenuto negli archivi della sede
pietroburghese di “Memorial” ma anche il centro stesso,
è l’ennesima dimostrazione di questa costante ostilità.
Contro
la quale, mettendo in risalto l’importanza dell’archivio
del “Memorial” di San Pietroburgo che, oltre a quanto
già detto, contiene il testo di riferimento del “Museo
virtuale del Gulag”, una risorsa online unica al mondo
che riunisce oltre cento musei russi locali sui Gulag,
sono stati scritti innumerevoli accorati appelli e
lettere di protesta che denunciano la persecuzione ai
danni dell’unica organizzazione non governativa della
Russia e chiedono oltre alla restituzione di quanto le è
stato sequestrato anche la garanzia per i suoi attivisti
di poter operare liberamente.
Gli
appelli dell’intellighenzia internazionale sono stati
indirizzati al presidente russo Medvedev, alla
presidente della regione di Leningrado Matvienko, al
Procuratore di San Pietroburgo Čaika, ai ministri
dell'interno e degli esteri della Federazione e alla
Commissione Russa per i Diritti Umani.
Anche
dall’Italia sono partiti non pochi vigorosi e
significativi appelli, tra cui quello del professore
universitario e ricercatore di Storia dell’Europa
Orientale Marco Clementi che ho sottoscritto senza
esitare un solo istante, convinto che una mobilitazione
ampia ed immediata di studiosi di tutto il mondo possa
ottenere in casi come questo molto più di altri
interventi, compresi quelli comunque auspicabili delle
Organizzazioni Internazionali, come l’ONU e la sua
emanazione culturale, l’UNESCO.