N. 84 - Dicembre 2014
(CXV)
Melencolia I
Sull’incisione di Albrecht Dürer – parte iI
di Federica Campanelli
Alla
trattazione
fisionomica
diremmo
"classica"
che
Dürer
fa
della
Melanconia,
si
affiancano
alcuni
attributi
fin'ora
estranei
alla
tradizione
iconografica.
Ai
piedi
di
quella
figura
alata
rapita
da
un
"altrove"
fittizio,
oltre
la
realtà
tangibile,
Dürer
inserisce
un
nutrito
ed
eterogeneo
repertorio
di
oggetti.
Clessidra,
regolo,
compasso
a
calibro
e
bilancia
sono
strumenti
di
misura
di
grandezze
fisiche
come
tempo,
spazio
e
massa;
l'athanor
(la
fornace
alchemica
davanti
a
cui
siede
la
figura
della
Melanconia),
crogiolo,
molle,
mantice,
tenaglie,
sega,
chiodi
e
martello,
sono
elementi
e
utensili
relativi
ad
attività
artigianali
metallurgiche
e di
falegnameria.
L'immagine
del
cane
emaciato,
mestamente
accucciato,
ha
probabilmente
contribuito
al
perpetuarsi
dello
stereotipo
del
cane,
animale
di
antichissima
addomesticazione
e
dalla
conclamata
sensibilità,
quale
"compagno
di
sofferenza
della
Melanconia".
Tuttavia
possono
emergere
accezioni
plurime
del
motivo
raffigurato.
A
tal
proposito
è
interessante
ricordare
la
partecipazione
di
Dürer
come
illustratore
al
prodotto
editoriale
Hieroglyphica,
antico
codice
dell'alessandrino
Horus
Apollo
(V
secolo
d.C.)
di
cui
l'umanista
tedesco
Willibald
Pirckheime
curò
la
traduzione
latina
nel
1512.
Trattasi
di
una
ricerca
sul
carattere
arcano
dell'alfabeto
egizio
in
cui
si
fa
riferimento
al
geroglifico
del
cane
come
simbolo
dei
"profeti",
delle
"scritture
sacre"
e
della
"milza"
(Klibansky,
Panofsky,
Saxl):
dopotutto
la
bile
nera
era
per
i
fisiologi
antichi
il
fluido
che
passa
proprio
attraverso
questo
organo.
Un
cane
magrissimo,
nella
sua
forma
ancestrale
di
lupo,
è
anche
l'animale
che
accompagna
l'allegoria
dell'Avaritia
in
quanto
«[...]
come
racconta
Christofano
Landino,
è
animale
avido,
&
vorace,
il
quale
non
solamente
fa
preda
aperta
dell'altrui,
ma
ancora
con
agguati,
&
insidie
furtivamente
[...]»
(Cesare
Ripa,
Iconologia,
parte
I).
Il
pipistrello
in
volo,
sulle
cui
ali
è
inciso
il
titolo
dell'opera,
è
un'invenzione
düreriana
probabilmente
dovuta
alla
duplice
valutazione,
positiva
e
negativa,
dell'animale
rispetto
alla
sua
attività
notturna.
Il
pipistrello,
o
meglio
la
nottola,
è
l'animale
che
volteggia
intorno
alla
figura
allegorica
della
Notte,
dimensione
ideale
della
Melancolia;
è il
simbolo
dell'ignoranza
poiché
rifugge
dalla
luce,
ma
in
senso
diametralmente
opposto
può
anche
esser
metafora
di
vigilanza
notturna.
L'opera
è
stata
spesso
identificata
come
parte
di
un
trittico
detto Meisterstiche
('incisioni
maestre')
comprendente
Il
Cavaliere,
la
Morte
e il
Diavolo
(1513)
e il
San
Gerolamo
nella
cella
(1514).
Nell'ambito
di
questa
interpretazione
Friedrich
Lippmann
(1838-1903)
propone
le
tre
incisioni
come
allegoria
delle
tre
umane
virtù:
intellettuale
(Melencolia
I),
morale
(Il
Cavaliere,
la
Morte
e il
Diavolo)
e
teologica
(San
Gerolamo
nella
cella).
Ad
avallare
tale
teoria,
vi è
la
conformità
tra
l'opera
düreriana
e le
descrizioni
fornite
dal
trattato
enciclopedico
Margarita
Philosophica di
Gregor
Reisch
(1503),
noto
compendio
d'ogni
sapere
teorico
e
tecnico
dell'epoca.
Un'accreditata,
seppur
non
esclusiva,
lettura
della
composizione,
è
quella
di
Maurizio
Calvesi
che
propone
la
chiave
alchimistica
per
la
corretta
comprensione
dell'opera.
Muovendo
dall'interpretazione
del
numero
I
riportato
dal
titolo
dell'incisone,
Calvesi
precisa
che
l'opus
alchimistico
inizia
con
la
fase
detta
nigredo
o
"opera
al
nero".
Questo
è il
processo
di
disfacimento
materico
che
precede
le
successive
fasi
di
purificazione
e
ricomposizione
della
materia
attraverso
l'
albedo
(opera
al
bianco),
la
citrinitas
(opera
al
giallo)
e
infine
la
rubedo
(opera
al
rosso).
Per
la
sua
attitudine
allo
svisceramento
e al
totale
smembramento
interiore
volto
alla
ricerca
della
propria
ombra
e
all'autoconoscenza,
la
figura
della
Melanconia,
emblema
di
acuta
solitudine,
si
sovrappone
alla
nigredo,
la
fase
I.
Il
putto
in
tale
contesto
incarnerebbe
il
puer
aeternus
Mercurio,
cioè
il
mercurio
alchemico,
il
principio
attivo
volatile
alla
base
di
tutti
i
processi
di
trasmutazione.
Quindi
la
scala
a
sette
pioli,
immediato
riferimento
ai
sette
gradi
di
trasmutazione
alchemica,
ai
sette
metalli
noti
e i
corrispettivi
sette
corpi
celesti:
gli
elementi
oro,
argento,
mercurio,
rame,
ferro,
stagno
e
piombo
nell'opus
alchemico
sono
sistematicamente
connessi
al
Sole,
Luna,
Mercurio,
Venere,
Marte,
Giove
e
infine
Saturno.
L'oggetto
sicuramente
più
affascinante
è il
quadrato
magico,
o
quadrato
planetario.
Nell'opera
di
Dürer
è
una
matrice
di
quarto
ordine
in
cui
compaiono
tutti
i
numeri
interi
compresi
tra
1 e
n2
(dove
n=4)
disposti
in
tal
modo
che
la
somma
su
ogni
riga,
colonna
e
diagonale,
nonché
nelle
quattro
caselle
centrali
e
angolari,
fornisca
sempre
lo
stesso
risultato:
34.
Identificato
con
la
Mensula
Jovis,
il
quadrato
magico
della
Melencolia
I
è
simbolo
iatromatematico
di
Giove
e la
sua
presenza,
scrive
Calvesi,
«potrebbe
spiegarsi
in
due
modi:
come
allusione
alla
fase
alchimistica
destinata
a
subentrare
a
quella
della
nigredo,
fase
seconda
che
è
appunto
sotto
il
segno
di
Giove,
mentre
la
prima
è
sotto
quella
di
Saturno.
O
invece
come
simbolo
del
fuoco,
che
arde
all'interno
dell'athanor»
(Calvesi).
Infine,
secondo
la
proposta
del
Panofsky,
in
tali
oggetti
apparentemente
sparsi
senz'ordine,
e
nel
complesso
attinenti
all'ingegnosità
umana,
si
può
riconoscere
l'allusione
alla
Geometria,
una
delle
sette
arti
liberali:
«[...]
Essa
[l'incisione
düreriana,
ndr]
fonde
e
trasforma
due
grandi
tradizioni
rappresentative
e
letterarie,
quella
della
melanconia
come
uno
dei
quattro
umori
e
quella
della
Geometria
come
una
delle
sette
arti
liberali.
Simboleggia
l'artista
del
Rinascimento
che
rispetta
l'abilità
pratica,
ma
aspira
con
tanto
più
fervore
alla
teoria
matematica
–
che
si
sente
'ispirato'
dalle
influenze
celesti
e
dalle
idee
eterne,
ma
soffre
tanto
più
intensamente
per
la
sua
umana
fragilità
e
finitezza
intellettuale»
(Panofsky).
Tra
gli
elementi
più
enigmatici,
compare
il
cosiddetto
poliedro
di
Dürer,
interpretato
differentemente
come
romboedro
o
cubo
troncato
su
due
cuspidi
opposte:
in
entrambi
i
casi
l'esaedro,
unitamente
alla
sfera,
potrebbe
ricondurre
alla
geometria
descrittiva,
così
come
il
compasso,
la
squadra
e il
martello
alluderebbero
alla
geometria
applicata.
Nondimeno
la
pietra
cubica
è
simbolo
alchemico
della
terra,
vale
a
dire
della materia
prima
solida
a
cui
deve
essere
impressa
una
forma.
Precedenti
iconografici,
tra
cui
una
Geometria
riprodotta
nel
già
citato
Margarita
Philosophica,
dimostrano
una
sostanziale
differenza
con
la
Melencolia
I.
La
donna
alata
di
Dürer,
pur
tenendo
in
mano
il
compasso,
pur
circondata
da
molti
strumenti,
non
sembra
impegnata
in
nessuna
attività
pratica.
La
prostrazione
e il
torpore
spirituale
della
Melanconia
evoca
piuttosto
quella
nozione
di
Acedia
che
in
ambito
cristiano
designava
la
pericolosa
svolta
a
cui
la
vita
monastica
(e
contemplativa
in
generale)
poteva
giungere
permanendo
in
uno
stato
di
distacco,
sofferenza
e
inattività.
Non
a
caso
il
"vizio"
della
tristezza,
originariamente
annoverato
tra
i
sette
vizi
capitali
in
quanto
possibile
corruzione
dello
spirito,
fu
in
seguito
accorpato
all'Accidia
come
sua
inesorabile
conseguenza.
Nella
figura
della
Melanconia
convergono
simultaneamente
l'abilità
intellettuale
dell'ars
geometrica
–
forza
razionale
– e
la
dolorosa
affezione
dell'animo
umano.
È
l'amara
e
infausta
consapevolezza
dei
limiti
imposti
dalla
realtà
tangibile,
misurabile;
un
confine
invalicabile
ed
eterno.
Riferimenti
bibliografici:
Biederman
H.,
Enciclopedia
dei
Simboli,
Garzanti,
2001.
Calvesi
M.,
La
Melanconia
di
Albrecht
Dürer,
Torino,
Einaudi,
1993.
Esiodo,
Teogonia,
a
cura
di
Eleonora
Vasta,
Milano,
Mondadori,
2004.
Klibansky
R.,
Panofsky
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Saxl
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Saturno
e la
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Torino,
Einaudi,
2002.
Ovidio,
I
Fasti,
trad.
di
Luca
Canali,
Milano,
Bur,
1998.
Panofsky
E.,
La
vita
e le
opere
di
Albrecht
Dürer,
Milano,
Abscondita,
2006.
Ripa
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Iconologia,
a
cura
di
Pietro
Buscaroli,
Milano,
Tea,
2002.