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L’ALTRA CRISI DEL TRECENTO
III / I TERREMOTI SECONDO I CRONISTI
TOSCANI
di Matteo Buzzurro
Siamo giunti al termine del nostro viaggio sugli
aspetti meno battuti della crisi del Trecento e per
l’esattezza affronterò gli sconvolgenti terremoti
del 1345 e del 1349 che distrussero il centro
Italia e che andarono a intersecarsi nel groviglio
spinoso della peste che in quel momento
imperversava. Anche in questo caso parleranno le
fonti cronachistiche che poterono vedere il fenomeno
da vicino.
La prima scossa che vorrei analizzare fu quella del
dicembre del 1345 che colpì Firenze con una
magnitudo del sesto grado che sconvolse la Toscana
centro settentrionale. Il 22-25 dicembre «sul
vespro furono grandi terremuoti i quali abbatterono
Borgo San Sepolcro dove una parte degli
edificj con danno di bene cinquecento tra huomini,
femmine e fanciulli morti».
Sebbene il nostro cronista racconti utilizzando
delle fonti a suffragio le stime risultano essere
coerenti. Le repliche furono fortissime «che
quasi tutti gli edifici di quella terra [Borgo
San Sepolcro] fece rovinare in cui per lo
scotimento per la notte e per le rovine d’ogni
parte, poche ne poterono campare». Le persone
furono talmente scosse e prese in controtempo che
dovettero fuggire «ignudi nelli orti e nelle
piazze e coloro che rimasero come i forestieri
che v’erano, fecioni delle case sepolture a’
lacerati corpi».
Molti furono i morti,
secondo il cronista addirittura duemila, altri
invece riuscirono a scappare ma ebbero una triste
notizia: «[alcuni] che per paura de’ primi
tremuoti, erano usciti della terra stavano a campo,
e sarebbero campati ma per tema della terra messer
Piero Sacconi e Vieri da Faggiuola, col vicario
dell’arcivescovo vi cavalcarono, e per forza
costrinsero i terrazzani, e i soldati
[sopravvissuti]
a ritornare nella terra».
Il secondo terremoto, ovvero quello dell’Appennino
abruzzese, che analizzeremo è per noi un motivo di
ricordo molto vicino, come, infatti, non ricordare
il terremoto dell’Aquila o di Amatrice e perciò
tutto quello che si leggerà sarà per noi fin troppo
presente facendo nascere nel nostro animo la
tentazione di confrontarlo con il presente.
Innanzitutto il 1349 fu un periodo di grossi
sconvolgimenti sismici che non interessarono solo il
centro Italia ma anche molti centri tanto che questi
scossoni «diffusati e maravigliosi, i quali in
più parti del mondo durarono più dì» deturpando
fortemente Roma dove caddero «il campanile della
Chiesa grande di San Pagolo, con parte di quelle
logge di quella chiesa una parte nobile della torre
delle Milizie lasciando in molte parti di Roma
memoria delle sue rovine».
Un’altra città che fu colpita fu Napoli dove il
terremoto «fece cadere il campanile e la faccia
della chiesa del Vescovado e di santo Giovanni
maggiore e in assai parti della città ne fece
rovina». Secondo gli archivi dell’Istituto
Nazionale di Geofisica e Vulcanologia il terremoto
fu associato a uno sciame sismico che il 9 settembre
del 1349 investì il centro Italia con epicentro
negli Appennini Centrali di Abruzzo e Lazio dove la
città dell’Aquila «ne fu quasi distrutta che
tutte le Chiese e grandi difici della città caddono
con grande mortalità d’huomini e di femmine». Il
terremoto dunque fu devastante tanto che i «Cittadini
et eziando i forestieri si misono stare il dì e la
notte su per le piazze».
Della devastazione dell’Aquila fu testimone oculare
Buccio de Ranallo cronista e poeta aquilano che
raccontò nella sua cronaca in maniera dettagliata il
momento: «Subitamente venne sì grande terremuto
dalla morte de Cristo non fo mayure veduto»; qui
subito Buccio ci declina lo sconvolgente sisma che
addirittura venne paragonato al sisma avvenuto dopo
la morte di Gesù («E Gesù emesso l’ultimo grido
spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due
da cima a fondo, la terra scosse, le rocce si
spezzarono, i sepolcri si aprirono». Mt, 27:51)
e che sconvolse fortemente i presenti sotto la
croce. Era tipico per gli scrittori dell’epoca
equiparare l’imponderato con scene devastanti della
Bibbia, ma in questo caso Buccio ha evidenziato
qualcosa che non aveva mai sentito sottolineandone
la tragicità.
Appena furono destati dalla tragicità Buccio ci
comunica delle stime sui danni alle persone dove «ottocento
a Aquila fo stimate Che per lo terremuto foro morte
et otterrate». La realtà del sisma si fece molto
evidente e raccapricciante quando Buccio iniziò a
descrivere, come in un orrendo dipinto, lo scenario
circostante: «Chi se vedeva strillare et fare
pietate chi plangea lo fillio, chi mollie et chi lo
frate. Chi plangea la matre, chi patre et chi
sorella (…)».
Come in possesso di
una telecamera Buccio si mosse per le strade
raccontando la rovina circostante scrutando gente
che «se grattava lo petto et chi la mascella»,
persone che non avevano nessuna meta in preda allo
shock «et geano scommodando omne strada et ruella
per retrovare li corpi, con amara favella».
Nello girare per le strade Buccio assistette ai
crolli numerosi dopo il sisma e
quando «le case cadero
tanta era la polverina non vedea l’uno l’altro in
quella matina!».
Continua la diretta
Buccio mostrandoci quanti furono costretti a vedere
gli «edifitia et case derupate!». Dall’immane
catastrofe non scampò proprio nessuno e anche «le
ecclesie erano atterrate che fo lo maiure danno che
avesse la citate, salvo la morte delli homini ad
dire la veritate». Chi trovò la morte in città
trovò il conforto dei preti, talmente tanti da
essere paragonati ai detriti delle case. Per
liberare le strade furono chiamati i lavoratori del
contado che «non
jaceano in casa ma le logie fecemmo; più che nove
semane pu de fore jacquembo».
Per concludere il Trecento è stato un periodo di
profonda instabilità economica, politica e sociale
che ha colpito l’Europa. Caratterizzata da carestie,
epidemie, guerre e disordini generalizzati, la crisi
ha avuto un impatto duraturo sulla società
dell’epoca e ha contribuito al declino del sistema
feudale e alla transizione verso il Rinascimento. Fu
anche un periodo di profondi sconvolgimenti
climatici e geofisici che esulano dalla semplice
peste. In questi tre articoli ho voluto proprio
evidenziare gli aspetti più marginali ma che hanno
contribuito a sconvolgere un periodo che merita di
essere approfondito e studiato.
Riferimenti bibliografici:
Buccio
di Ranallo,
Cronica,
Galluzzo Editore, Firenze 2008.
Chronicon
Senense
di
Andrea Dei e Angelo Tura in
Rerum
Italicarum Scriptores, tomo XVI, a cura di Ludovico
Antonio Muratori,
Forni, Bologna 1978.
Historie
Fiorentine
di
Giovanni Villani in
Rerum
Italicarum Scriptores, tomo XIII, a cura di Ludovico
Antonio Muratori,
Forni, Bologna 1978.
Colafiore
G., I terremoti a L’Aquila in
Semestrale di Studi e Ricerche di Geografia,
Roma, fasc. 1, gennaio-giugno 2012.
Piccinni G., Il Medioevo, Mondadori, Milano
2004. |