[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

188 / AGOSTO 2023 (CCXIX)


ambiente

L’ALTRA CRISI DEL TRECENTO
II / LA CARESTIA SECONDO I CRONISTI TOSCANI
di Matteo Buzzurro

 

«La crisi del Trecento significa la fine di un lungo, lunghissimo ciclo di crescita di un mondo come quello medievale che per molti secoli era stato un mondo in straordinaria crescita, di innovazione, luce e ottimismo; secoli di crescita avevano fatto dell’Europa un luogo di concentrazione delle innovazioni, delle idee e delle ambizioni». Con queste parole lo storico Alessandro Barbero, nella lectio magistralis all’inaugurazione dell’Anno accademico presso l’Università degli Studi della Repubblica di San Marino, inquadrava con autentica lucidità la crisi del Trecento e basterebbero altresì queste parole a inquadrare e a esaurire il nostro discorso su un secolo così complesso e in profondo cambiamento.

 

L’Europa, dall’anno 1000 alla seconda metà del Duecento era un continente in forte espansione sia demografica, con un innalzamento deciso della popolazione ma anche tecnologica e finanziaria; le nuove metodologie di coltivazione come la rotazione dei campi e l’espansione del mercato del denaro avevano diretto l’Europa verso un’esplosione di ricchezza e di commercio. La ricchezza dei raccolti rese molti alimenti, un tempo inaccessibili, alla portata di tutti ma intorno al secondo quarto del Duecento, con un’espansione demografica inarrestabile, la disponibilità di alcuni alimenti divenne sempre più difficile e l’espansione agraria cominciò ad avere un brusco rallentamento restringendo l’equilibrio alimentare.

 

Il precario equilibrio tra aumento della popolazione e disponibilità degli alimenti portò, insieme al cambiamento climatico, a un deterioramento della stabilità che all’inizio del Trecento sfociò in una profonda quanto inesorabile carestia. In questo articolo, prendendo come trampolino di lancio l’elaborato sui cambiamenti climatici del mese scorso, si cercherà di indagare, attraverso le cronache medievali, della crisi alimentare e sociale che colpì il centro Italia nella prima metà del Trecento, facendo da cassa di risonanza per una crisi più diffusa che sarebbe stata di lì a poco universale.

 

Il primo fenomeno che diede il là alla situazione di crollo avvenne nel 1316 quando Firenze, insieme a molte altre città europee, fu colpita da «grande pestilentia di mortalità & di fame… E ‘l caro fu sì grande di vino, & di tutte vittuvaglie, che se non fosse che di Cicilia, e di Puglia per li mercanti vi si mandò per mare per lo guadagno, tutti moriano di fame». La situazione apparve chiara, il fenomeno del rincaro partì dalle regioni più a nord dove si fece sentire in maniera pesante il cambiamento climatico che impoverì prima il raccolto e poi ogni genere alimentare conseguente.

 

Passato un trentennio, dall’attestazione del 1316 la situazione degenerò in una serie di sciagurati e alquanto catastrofici eventi; tra il 1346 e il 1347 a causa di una serie di raccolti andati a male, dell’eccessiva piovosità e a un abbassamento improvviso delle temperature si arrivò al disastro.

 

La cattiva resa del grano portò il pane, elemento accessibile ai più, a scarseggiare facendo rimanere una grande fetta di popolazione senza cibo: «nel detto anno 1346, cominciandosi la cagione del mese di ottobre, e di novembre 1345, al tempo delle sementa, furono soverchie piove, sì che corruppono la sementa…» con queste parole il cronista Giovanni Villlani illustrò una crisi alimentare di immense proporzioni che portò «molta gente morio di fame, e a mangiavansi l’herbi salvatiche come se fosse stato pane. E per questa cagione nessuno re, né Signore facea guerra a nessun altro».

 

La scarsità del bene primario portò il pane, alimento alla portata di tutti, a essere un bene costoso tanto da valere «cinque libre il quartengo del grano del mese di marzo e aprile. E siccome fu caro grano in quest’anno, così fu cara ogni altra cosa da vivere, cioè vino, e carne, e foglia, e le guadagnarie tutte perdute».

 

Il rincaro del grano innescò una reazione a catena; il mangime di molti animali provenendo dallo stesso divenne di difficile reperimento costringendo a un aumento sconsiderato della carne, alimento accessibile per pochi, e del vino che risultò profondamente rincarato tanto da costringere la Toscana, regione trainante, a imporre prezzi che ne rendevano difficile la vendita. Il rincaro dei prezzi portò anche a un impoverimento del tessuto sociale che scaturì in indebitamenti sempre più frequenti tanto da costringere i comuni italiani a intervenire in maniera massiccia sul fatto: «… il Comune provide e fece dicreto adì 13 di Marzo, che niuno potesse essere preso per niuno debito di fiorini cento d’oro, o da indi in giuso infino a calende di agosto vegnente, salvo all’ufficiale della mercanzia da 25 lire in su».

 

Oltre all’indebitamento il comune di Firenze intervenne anche per evitare la speculazione nella vendita imponendo ai commercianti che «niuno potesse vendere lo stajo [recipiente di 24,36 litri] di grano più di soldi quaranta».

 

Secondo la cronaca del Villani, preziosissima fonte per leggere questa crisi, la carestia ebbe risvolti importanti anche per la politica carceraria; la scarsità di vettovagliamento implicò anche un taglio repentino del cibo per i detenuti, infatti il «Comune fece offerta di tutti i prigioni, ch’erano nelle carcere del Comune, che rihavessono pace da loro nimici, e stati in prigione da Calende di Febrajo adietro». La scarsità di cibo divenne un vero problema per i detenuti e fu stimato che «ogni dì morivano nelle carcere due o tre prigioni»; nel Medioevo il carcere non era, come oggi, un luogo di detenzione permanente ma doveva servire come luogo di transito per il rilascio dietro riscatto, come accadde a San Francesco dopo la battaglia tra Perugia e Assisi, o verso soluzioni più drastiche come punizioni corporali o condanne capitali.

 

La scarsità di grano portò anche a sconfinamenti e tafferugli come nella storia delle ruberie sul Monte Albano a opera del Signore di Volterra messer Ottaviano Belforti che causò lunghi tafferugli che culminarono con il saccheggio di Radicondoli. A Pisa, invece, per la mancanza di cibo i forestieri e i poveri furono costretti a mangiare l’erba incolta tanto che «non rimase in Pisa erba viva, che tutta si mangiò all’ortica».

 

La crisi alimentare come anche quella climatica, vista il mese scorso, e quella epidemiologica che di lì a poco avrebbe sconvolto l’intero continente europeo, portarono la popolazione a dover fronteggiare un nuovo “mostro”, il cambiamento, un genere di mostro che non lascia moltissime chance se non quelle di soccombere o resistere.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Annales Senenses di Nerio Donati filio in Rerum Italicarum Scriptores, tomo XVI, a cura di Ludovico Antonio Muratori, Forni, Bologna 1978.

Chronicon Senense di Andrea Dei e Angelo Tura in Rerum Italicarum Scriptores, tomo XVI, a cura di Ludovico Antonio Muratori, Forni, Bologna 1978.

Historie Fiorentine di Giovanni Villani in Rerum Italicarum Scriptores, tomo XIII, a cura di Ludovico Antonio Muratori, Forni, Bologna 1978.

M. Montanari, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Laterza, Roma 2019.

M. Montanari, L’Europa a tavola: storia dell’alimentazione dal Medievo ad oggi, Laterza, Roma 2019.

G. Piccinni, Il Medioevo, Mondadori, Milano 2004.

M. Buzzurro, L’altra crisi del Trecento: il cambiamento climatico secondo i cronisti toscani – Parte I, in “InStoria”, n. 187, (CCXVIII) luglio 2023.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]