N. 114 - Giugno 2017
(CXLV)
LA
MEDAGLIA
COMMEMORATIVA
PER
L’UNITÀ
D’ITALIA
SIMBOLO
DELLO
SPIRITO
PATRIOTTICO
di
Andrea
Checcucci
Il
valore
dell’unità
nazionale
può,
a
livello
simbolico,
essere
degnamente
rappresentato
da
una
medaglia
commemorativa
istituita
ad
hoc
da
Umberto
I di
Savoia
nel
1883 e
"rifondata"
da
Vittorio
Emanuele III
il
19
gennaio
1922
(per
il
compimento
dell’Unità
d’Italia
con
la
conquista
del
Trentino
e di
Trieste).
Tale
medaglia
per
la
storia
italiana
ha
un
valore
inestimabile,
in
quanto,
rappresenta
il
sacrificio
e
l’eroismo
di
tutti
quei
patrioti
che
hanno
combattuto
le
tre
Guerre
di
Indipendenza
e la
Prima
Guerra
Mondiale,
sia
che
essi
siano
stati
chiamati
alle
armi
per
dovere,
sia
che
essi
abbiano
aderito
volontariamente
per
spirito
risorgimentale,
e
dai
quali,
in
ogni
tempo
e
soprattutto
per
i
più
giovani,
sarebbe
indispensabile
carpire
quel
sentimento
di
amore
e di
unità
per
qualcosa
di
più
grande
di
noi.
Per
la
concretizzazione
del
valore
di
Unità
Nazionale
è di
essenziale
importanza
il
concetto
di
patriottismo,
soprattutto
nella
sua
accezione
etica,
in
quanto
ai
patrioti
è
molte
volte
richiesto
di
anteporre
il
bene
della
madrepatria
al
proprio,
il
che
equivale
anche
all’estremo
sacrificio,
massima
espressione
di
tale
sentimento.
La
componente
globale
di
ciò
è
frutto
di
una
prima
fase
di
crescita
di
tale
coscienza,
vale
a
dire
il
patriottismo
personale,
una
coscienza
intrinseca
che
fa
accettare,
senza
riserve,
quei
valori
morali
identificativi
di
un
popolo.
Un
patriota
è
diverso
dal
resto
della
comunità,
in
quanto
è
coscientemente
impegnato
a
rispettare
doveri
semplicemente
accentandoli
e
mettendoli
in
pratica
incondizionatamente.
Ripercorrendo
gli
episodi
essenziali
di
tutte
queste
campagne
militari
non
possono
che
non
catturare
l’attenzione
tutte
quelle
situazioni
nelle
quali
si è
evidenziato
l’eroismo
e
spesso
il
sacrificio
di
tutti
i
patrioti
che
hanno
scelto
senza
alcuna
forzatura,
ma
di
propria
iniziativa,
di
servire
una
causa
che
nel
corso
di
settanta
anni
avrebbe
portato
al
completamento
dell’Italia.
Ripensando
alla
Prima
Guerra
di
Indipendenza
non
può
che
venire
alla
mente
il
sacrificio
degli
studenti
universitari
toscani,
nella
Battaglia
di
Curtatone
e
Montanara,
il
29
maggio
1848,
nella
quale
come
volontari
dettero
il
loro
contributo.
Questi
giovani,
male
equipaggiati
e
contro
un
nemico
più
potente,
dimostrarono
in
toto,
la
forza
delle
loro
idee
e
della
nuova
gioventù
della
nascente
Italia.
Nella
Seconda
Guerra
di
Indipendenza
del
1859,
un
concreto
esempio
di
sacrificio
e di
abnegazione
per
gli
ideali
unitari,
ci è
stato
offerto
da
Giuseppe
Garibaldi
e
dai
suoi
Cacciatori
delle
Alpi
(Brigata
di
volontari
che
affluirono
dai
vari
ducati,
dal
Lombardo
Veneto
e
dal
Trentino).
Combatterono
tre
battaglie
(di
Varese,
di
San
Fermo
e
dei
Tre
Ponti),
nelle
quali
riportarono
importanti
vittorie
che
contribuirono
a
far
perdere
all’Austria
la
Lombardia,
dando
così
un
impulso
importante
al
Risorgimento
ed
alla
successiva
Spedizione
dei
Mille
del
1860.
A
tale
campagna
parteciparono,
come
volontari,
patrioti
del
calibro
di
Ippolito
Nievo.
Sempre
Garibaldi
e i
suoi
Cacciatori
ebbero
un
ruolo
importante
nella
Terza
Guerra
di
Indipendenza.
Sconfissero
gli
austriaci
nella
Battaglia
di
Bezzecca
(21
luglio
1866)
e
furono
fermati
mentre
stavano
puntando
su
Trento,
in
quanto
ricevettero
l’ordine
di
deporre
le
armi,
poiché
era
stato
firmato
l’armistizio
con
l’Austria,
dal
quale
il
Regno
d’Italia
riuscì
ad
ottenere
il
Veneto.
Il
Generale
rispose
con
un
telegramma
in
modo
sintetico
ed
essenziale
“Obbedisco”
ma
che
denota,
nonostante
il
forte
spirito
di
compiere
la
definitiva
Unità
nazionale,
con
l’annessione
di
tutti
quei
popoli
di
tradizione
italiana,
anche
l’inclinazione
al
rispetto
delle
regole
dettate
dall’istituzione.
Gli
esempi
che
abbiamo
nella
Prima
Guerra
Mondiale
sono
stati
molteplici
e di
forte
impatto.
I
caduti
italiani
nell’arco
di
tutto
il
conflitto
furono
di
oltre
650.000
unità
e
tra
loro
non
si
possono
tralasciare
patrioti
come
Enrico
Toti,
dipendente
delle
Ferrovie
dello
Stato,
al
quale
nel
1908
per
un
incidente
sul
lavoro
venne
amputata
la
gamba
sinistra.
Allo
scoppio
della
Grande
Guerra
cercò
di
dare
il
Suo
contributo,
presentando
tre
domande
di
arruolamento
che
vennero
puntualmente
respinte
per
la
sua
condizione
fisica.
Il
patriota
non
si
dette
per
vinto,
raggiunse
il
fronte
in
bicicletta
e fu
arruolato
come
civile
volontario
per
servizi
non
attivi.
Nel
1916,
grazie
all’interessamento
del
Duca
di
Aosta,
riuscì
a
farsi
arruolare
come
combattente.
Nell’agosto
del
1916
durante
la
“Sesta
Battaglia
dell’Isonzo”
a
quota
85
nei
pressi
di
Monfalcone,
lanciatosi
all’assalto
delle
trincee
nemiche,
fu
colpito
più
volte
ma
prima
di
cadere
al
suolo
riuscì
a
lanciare
contro
il
nemico
la
propria
gruccia
pronunciando
le
parole
“io
non
muoio”,
per
questo
atto
eroico
gli
fu
tributata,
da
Vittorio
Emanuele
III,
la
Medaglia
d’Oro
al
Valor
Militare
alla
Memoria.
Altro
esempio
di
puro
eroismo
ci è
dato
da
Patriarca
Giordano,
il
più
giovane
degli
arditi.
Rimasto
orfano
seguì
a
San
Daniele
del
Friuli
un
Reparto
di
assolto,
con
il
quale
combattendo,
riportò
due
ferite
in
battaglia.
Da
non
dimenticare
per
il
forte
spirito
patriottico,
la
vicenda
del
Caporale
degli
arditi
Giovanni
Rossi,
il
quale
colpito
a
morte
durante
un
assalto
dedicò
le
Sue
ultime
forze
ad
intonare
l’Inno
di
Mameli
prima
di
spirare
tra
le
braccia
dei
suoi
compagni
d’arme.
Lo
spirito
di
tale
riconoscimento
si
può
riassumere,
a
titolo
esemplificativo,
con
il
sacrificio
dei
patrioti
senza
però
dimenticare
tutti
i
caduti
dal
1848
al
1918
che
hanno
reso
possibile
la
costruzione
e la
successiva
unificazione
della
nostra
amata
Italia.
Come
riporta
la
motivazione
espressa
dall’Associazione
delle
madri
e
delle
vedove
dei
caduti,
in
merito
alla
Medaglia
Commemorativa
“…
sia
per
Te,
per
la
Tua
fede,
onestà
ed
operosità
questa
Italia
redenta
dal
sangue
del
nostro
sangue,
dal
Tuo
stesso
valore,
dal
Tuo
stesso
sacrificio,
sempre
più
grande,
più
forte
e
più
rispettata”.
Attualizzando
i
fattori
analizzati,
dal
1848
al
1918,
ai
giorni
nostri,
si
può
tranquillamente
affermare
che
al
di
fuori
delle
Forze
Armate,
esempi
di
coinvolgimento
legati
alla
nostra
storia
risorgimentale
sono
molto
difficili
da
trovare.
Per
esperienza
personale,
sia
in
Italia
che
nei
Teatri
Operativi
esteri,
si
può
asserire
che
la
parte
più
genuina
della
gioventù
italiana,
e
non
solo,
è in
uniforme.
I
nostri
uomini
credono
in
pieno
al
giuramento
prestato
e
sono
pronti
ad
onorarlo,
costi
quel
che
costi.
Sentimenti
come
spirito
di
corpo
e
amor
di
Patria
fanno
ancora
parte
di
questi
uomini
e
donne
in
armi.
Anche
a
livello
internazionale,
verso
le
Forze
Armate
dei
paesi
alleati,
con
i
quali
siamo
stati
chiamati
ad
operare,
godiamo
di
un’ottima
reputazione,
sia
sotto
il
profilo
prettamente
professionale
che
di
attaccamento
alla
nostra
storia
e
alle
nostre
origini.
Questa
situazione,
non
vale
sicuramente
per
tutti
quei
giovani
o
meno
giovani
che
si
trovano
a
lavorare,
in
ambito
civile,
a
parte
che
per
alcune
eccezioni.
Alla
stragrande
maggioranza
manca
il
contatto
diretto
con
tutte
quelle
tradizioni,
con
tutte
quelle
idee
e
con
quel
continuo
sentimento
di
reciproca
fratellanza,
vero
nutrimento
di
comunione
di
intenti
e di
comunanza
che
solo
un’esperienza
come
quella
militare
può
dare.
Sicuramente,
i
militari
potrebbero
essere
quelle
persone
con
le
quali
favorire
un
contatto
continuo
con
la
popolazione,
al
fine
di
riportare
questo
importante
spirito
all’interno
di
tutta
la
comunità.
Esempi
di
questo
genere
di
contatti,
fortunatamente,
ce
ne
sono,
infatti
spesso
sono
organizzate
giornate
di
apertura
delle
Caserme
verso
la
popolazione,
vere
occasioni
per
travasare
sentimenti,
esperienze
e
professionalità.
Altre
occasioni
di
contatto
con
la
popolazione
sono
i
famosi
tour
promozionali
dell’Esercito
rivolti
ai
giovani,
vere
risorse
sulle
quali
costruire
il
nostro
futuro.
L’Esercito,
il
Suo
contributo
verso
l’esterno
lo
sta
dando
in
modo
egregio
ed
encomiabile
e
sicuramente
con
il
passare
del
tempo
i
frutti
si
vedranno.
Il
grosso
freno,
contro
cui
ci
si
trova
a
combattere,
è da
ricercare,
soprattutto
nel
fatto
che
la
nostra
società,
rispetto
al
passato,
sta
vivendo
un
periodo
di
transizione.
I
nostri
nonni
hanno
lavorato
duro
per
ricostruire
l’Italia
nel
secondo
dopoguerra.
A
livello
materiale
mancava
tutto
e
hanno
dovuto
lavorare
materialmente
per
garantire
un
tessuto
economico
e
sociale
di
tutto
rispetto.
I
bisogni
da
soddisfare,
in
quei
periodi,
erano
essenzialmente
materiali.
Anche
oggi
vi
sono
molti
bisogni
materiali
da
soddisfare
ma
un
qualcosa
è
cambiato,
specialmente
negli
ultimi
decenni,
con
l’avvento
dell’informatica
e
delle
nuove
tecnologie.
Tali
evoluzioni
hanno
fatto
sì
che
la
possibilità
di
comunicare
con
tutto
il
mondo
sta
spingendo
le
persone
sempre
di
più
a
ricercare,
perdendo
però
i
punti
di
riferimento
essenziali.
Il
vecchio
sistema
economico
industriale
era
stato
creato
per
soddisfare
bisogni
materiali,
legati
a
quei
tempi.
Oggi
i
bisogni
delle
persone
sono
diventati
per
lo
più
immateriali
e
questo
crea
confusione,
perché
tecnologia,
libertà
e
abbattimento
dei
confini
non
possono
dare
i
suoi
frutti
se
non
hanno
alle
spalle
le
idee
che
hanno
portato
a
creare
la
positività
di
quello
di
cui
godiamo.
Perdendo
punti
di
riferimento,
sia
ideologici
che
fisici,
e
lasciandoci
coinvolgere
dal
lato
non
positivo
della
modernizzazione
che
è
l’isolamento
dovuto
alle
nuove
tecnologie,
non
può
che
alla
lunga
portare
alla
perdita
di
identità
e di
unità.
La
giusta
via,
senza
ombra
di
dubbio,
è
quel
processo
che
le
Forze
Armate
stanno
portando
avanti
e
che
consiste
nell’aprirsi,
sempre
di
più,
alla
società.
Sicuramente,
darà
i
suoi
frutti,
nel
riportare
alla
luce
tutti
gli
ideali
dei
nostri
padri
fondatori
e
soprattutto
quell’apertura
verso
un
continuo
e
progressivo
contatto
fra
tutte
le
componenti
sociali,
vero
e
proprio
punto
di
partenza
per
la
ricostruzione
di
un’identità
nazionale
unica
e
condivisa.