N. 5 - Maggio 2008
(XXXVI)
MAX WEBER
ETICA PROTESTANTE E SPIRITO DEL
CAPITALISMO
di Francesco Arduini
Il Sociologo
Maximilian Carl Emil Weber, nato in Turingia, nella
città tedesca di Erfurt, nel 1864, crebbe in una
famiglia protestante che aderiva alla Evangelische
Kirche.
Fu
soprattutto la madre, Helene Fallenstein, a nutrire
profondi interessi religiosi e a ricoprire anche il
ruolo di “madre spirituale” nei suoi confronti; il padre
era un colto giurista attivo in politica, il quale, pur
ritenendo necessario impartire un'educazione religiosa
ai figli, mostrava invero una religiosità piuttosto
formale.
Cominciò la sua carriera accademica all’Università
Humboldt di Berlino; lavorò all’Università Albert
Ludwigs di Friburgo, all’Università di Heidelberg,
all’Università di Vienna e all’Università di Monaco, ed
è oggi considerato come un padre fondatore dello studio
moderno della sociologia.
Morì
prematuramente di polmonite nel 1920 a Monaco. La sua
opera più famosa è il saggio L’etica protestante e lo
spirito del capitalismo, con il quale iniziò le sue
riflessioni sulla sociologia della religione.
La
tesi di Weber
Weber
sosteneva che la religione era una delle ragioni,
certamente non l'unica, per cui le culture
dell’occidente e dell’oriente si sono sviluppate in
maniera diversa, e sottolineava l’importanza di alcune
particolari caratteristiche del Protestantesimo ascetico
che portarono alla nascita del capitalismo, della
burocrazia e dello stato razionale e legale nei paesi
occidentali.
Egli
affermò che “la religione cristiana non è solo fede ed
esperienza personale, è anche un potente fattore di
civiltà su cui poggia tutto ciò che di grande è stato
creato in questo tempo. Non c'è aspetto della civiltà
dell'intero genere umano che non ne risenta l'influenza.
Mai le menti ed i cuori degli uomini, da quando nel
mondo c'è un pensiero, sono stati riempiti e mossi da
qualche cosa, come dalle idee della fede cristiana e
dell'amore cristiano”.
Queste furono le riflessioni che lo portarono a
chiedersi se la mentalità calvinista avesse delle
relazioni con
il
capitalismo genuino, caratterizzato essenzialmente dal
profitto e dalla necessità di reinvestire quanto
guadagnato. Queste relazioni, avrebbero potuto spiegare
il ritardo del capitalismo nei paesi rimasti cattolici
rispetto a quelli dove si diffuse la Riforma? Di questo
egli si convinse sempre più fino alla pubblicazione,
per la prima volta nel 1904-1905 su rivista, dello
scritto che fu successivamente edito in volume come
parte integrante della postuma Sociologia della
religione (1920).
Weber
non era un economista ma un sociologo. L'obiettivo delle
sue ricerche non era la descrizione del fenomeno
storico-religioso del protestantesimo ma la comprensione
del capitalismo moderno; egli cercò “di spiegare come si
fosse formato e diffuso nell'età moderna un tipo di
condotta economica che si distaccava decisamente dai
modelli dell'agire tradizionale e si commisurava invece
ai principi della razionalità rispetto allo scopo, che
si esprimeva evidentemente nel calcolo".
Subì
l'influenza di Karl Marx, ma ne criticò molti aspetti:
respinse, ad esempio, la concezione materialistica della
storia e attribuì una minore importanza al conflitto di
classe. Per Weber, lo “spirito del capitalismo”, affonda
indubitabilmente le sue radici nel terreno della
religione. Il credente che vive il Protestantesimo,
convinto che la sua salvezza o la sua dannazione siano
decretate da Dio e non dalle sue opere, cerca una
conferma della grazia divina, e la trova nel successo
economico. Concetti come “operosità”, “zelo”, “rigore”
si caricano di significati religiosi che si traducono in
vocazione professionale e in una appassionante metodica
lavorativa.
Da
ciò nasce, secondo Weber, il capitalismo moderno. Sir
William Petty, economista e filosofo inglese, viene
citato da Weber a sostegno della sua tesi. Egli affermò
che “il potere economico olandese nel secolo XVII si
spiegava col fatto che i dissenters (calvinisti e
battisti) colà particolarmente numerosi fossero persone
che consideravano come proprio dovere verso Dio il
lavoro e l'impegno diligente”.
Weber
ne era sempre più certo: “l'apprezzamento religioso del
lavoro professionale indefesso, continuo, sistematico,
come mezzo ascetico supremo e sommo, e insieme come
comprova più sicura e visibile della rinascita della
persona e dell'autenticità della sua fede, doveva infine
essere la più potente leva dell'espansione di quella
concezione della vita che qui abbiamo chiamato
spirito del capitalismo”.
Le
ragioni teologiche
Nel
vivo delle dispute teologiche che animarono il XVI
secolo, fu chiesto a Calvino se l'usura fosse moralmente
consentita. Anche Lutero era stato interpellato
sull'argomento ma, mentre quest'ultimo aveva risposto
con un “no” deciso e indiscutibile, Calvino sostenne che
guadagnare dal denaro un interesse che consenta di
vivere o di accrescere le proprie ricchezze, non era
condannato da alcun testo biblico.
L'antichità cristiana e molto più il Medioevo sono stati
nettamente ostili a qualsiasi profitto si volesse
ricavare dai capitali mobili, le vecchie prescrizioni
canoniche vietavano formalmente qualsiasi forma di
interesse sul denaro: dalla prescrizione del concilio di
Nicea del 775 al concilio di Vienne del 1311, con la
conferma di molti pensatori e filosofi quali San Tommaso
d'Aquino, che affrontò la problematica dell'interesse
sulla moneta in una delle fondamentali questioni della
sua Summa Theologica. Ma Calvino fu pronto a
rimettere in discussione tutto e non esitò nell'esporre
le sue contrarie conclusioni.
A
parere del riformatore, un esame attento del Nuovo
Testamento non conduce alla conclusione che il prestito
ad interesse sia vietato. Nel vangelo di Matteo si può
leggere il chiaro invito del Cristo: “Dà a chi ti
domanda e a chi desidera da te un prestito, non voltare
le spalle”. Di contro, le parole dell'evangelista Luca
sarebbero sempre state male interpretate. Quando egli
scrive “Prestate senza sperare” non intende negare la
legittimità di un interesse ma condannare la tendenza
dell'uomo a ricercare solo il profitto. “Perciò le
parole del Cristo hanno lo stesso significato di un
imperativo a soccorrere i poveri piuttosto che i ricchi.
Egli ci ordina di prestare principalmente a coloro dai
quali non si spera affatto di riscuotere”.
Per
Calvino, anche l'Antico Testamento non vieta il prestito
ad interesse. Un attento esame del Pentateuco, dei Salmi
e dei Profeti, rivela che le parole usate per indicare
l'usura sono sempre dei termini che sottolineano un
torto causato volontariamente agli altri e non si
possono applicare ad un accordo fra le parti che
stabilisca la restituzione del prestato più l'interesse
pattuito. Ma che dire del passo del Deuteronomio dove si
legge: “Non farai al tuo fratello prestiti ad interesse
... Allo straniero potrai prestare ad interesse, ma non
al tuo fratello...”?
Calvino demolisce l'esegesi medievale anche di questo
versetto. Secondo lui questo passo non può avere valore
di “legge universale” altrimenti il divieto sarebbe
stato valido anche verso gli stranieri. Questa
interdizione rappresentava presso i giudei una misura di
ordine politico, non estendibile ai cristiani i quali
vivevano sotto diverse leggi civili.
L'intera esegesi di Calvino non mirava certo a condonare
l'usura eccessiva. Questa era sempre da considerarsi
fermamente condannata e contro lo spirito cristiano. E'
innegabile però che, grazie a Calvino, si diede il via a
processi di regolamentazione di una pratica che fino ad
allora veniva ufficialmente considerata contraria allo
spirito evangelico.
La
conclusione di Weber
Le
ragioni storico-teologiche appena esposte, stimolarono
quella ricerca che condurrà Weber a sostenere la conclusione di uno stretto rapporto tra lo sviluppo del capitalismo
moderno e l'etica economica del Protestantesimo.
Egli
si chiese: “Perchè mai gli interessi capitalistici non
operarono ugualmente in Cina e in India? Perchè mai né
lo sviluppo scientifico, né lo quello artistico, né
quello statale, né lo sviluppo economico vi imboccarono
quelle vie della razionalizzazione che sono proprie
dell'Occidente?”.
La
risposta che si diede fu: “Poiché il razionalismo
economico, nella sua genesi, non dipende solo dalla
tecnica razionale e dal diritto razionale, ma anche
dall'attitudine e disposizione degli uomini a
determinate specie di esistenza, di condotta pratica
razionale. Dove questo modo di vivere fu impedito da
ostacoli di carattere psichico, anche lo sviluppo di una
condotta economica razionale incontrò gravi resistenze
interne. Ora in passato tra i principali elementi che
davano forma alla condotta della vita c'erano ovunque le
forze magiche e religiose, e le idee etiche del dovere
legate a tale fede.”
Ecco
il “cuore” di tutta la questione: la “fede”. Weber ne
era convinto. Alla stessa conclusione giunse per via
negativa, mostrando negli studi sull'etica economica
delle religioni universali come in nessun'altra civiltà
che non fosse l'Occidente moderno si sia verificata una
correlazione come quella che si è stabilita tra etica
protestante e mentalità capitalistica.
Critiche conclusive
Le
tesi weberiane diedero vita ad una grande quantità di
posizioni critiche. Da quelle che avversarono singoli
punti ma approvarono la tesi principale (fra questi E.
Knodt, J. Kulisher, W. Gunsteren, P.Kock e altri) a
quelle che rifiutarono la sua impostazione nell'insieme
perchè sostanzialmente inadeguata (fra questi K. Fisher,
F. Rachfahl, L. Brentano, G. von Below, H. See, H.
Pirenne, H.M. Robertson, P.C. Gordon Walker e altri).
Weber
fu coinvolto nella controversia relativa al proprio
saggio fino al termine della sua vita. Rispondeva alle
critiche, aggiungeva nuovi dati, protestava contro i
fraintendimenti ma le critiche non si spensero mai.
Usando le parole di Gastaldi: “tutti gli autori che
vogliono restare sul terreno della storia dell'economia
respingono la tesi che una modificazione della coscienza
religiosa possa avere avuto delle conseguenze sensibili
sugli sviluppi dell'economia, e sono anzi inclini a
ritenere che siano stati i cambiamenti avvenuti sul
piano dell'economia a influire sui principali
comportamenti religiosi”.
Personalmente credo che non si possa oggi evitare di
focalizzare l'attenzione sul quadro storico in cui visse
Weber. Egli aveva scritto il suo saggio reagendo
consapevolmente all'interpretazione del capitalismo data
da Karl Marx. A mio parere, su questa base deve essere
intesa quella che reputo una sopravvalutazione della
consistenza e dell'efficacia dei fattori ideali delle
tesi weberiane.
Che una certa “fede” protestante abbia influenzato lo
sviluppo di una morale congeniale al capitalismo, è
possibile. Ma significa questo che lo spirito
capitalistico sia rimasto estraneo al cattolicesimo? Una
forma di capitalismo già nel Medioevo esisteva nei
Comuni italiani e continuò ad esistere nel '500 nelle
cattoliche Siviglia, Lisbona, Venezia. Secondo alcuni
storici “si trattava di un capitalismo commerciale che
entrò in crisi prevalentemente per lo spostamento, a
seguito della scoperta dell'America nel 1492, delle
rotte commerciali dal Mediterraneo all'Atlantico, e non
certo per motivi religiosi”.
Non è un caso se oggi gli studiosi preferiscono
reindirizzare l'attenzione spostandola dall'opera
scritta alla personalità stessa di Weber, ritenendo
assai più interessante ricercare in quest'ultima le
motivazioni profonde della prima. |