SULLA FILOSOFIA DI MAURICE
BLONDEL
AMORE E CARITÀ
di Riccardo Renzi e Federico
Renzi
Da sempre la filosofia si interroga
sulle questioni di amore, essere e
conoscenza. Risulta utile per
addentrarci in tale tema la
riflessione condotta dal filosofo
Virgilio Melchiorre in
Metacritica dell’eros: «In
che modo l’eros ha a che fare con
l’essere? La storia della filosofia
potrebbe essere trascritta, in buona
parte, come discorso sull’amore, da
Anassimandro ed Empedocle sino a
Platone e al neoplatonismo, da
Agostino alle scuole italiane del
rinascimento, da Spinoza alle
diverse scuole romantiche sino a
Hegel, a Kierkegaard, a Schopenhauer
o, per venire a noi, sino alle vie
più diverse del pensiero
contemporaneo, si tratti in positivo
o in negativo della riflessione
esistenziale o si tratti della
filosofia di Max Scheler, di Martin
Buber e via dicendo».
Dunque, stando al Filosofo, la
riflessione sul rapporto eros-essere
risulta un punto di snodo obbligato
di tutte le correnti filosofiche.
Nelle pagine seguenti Melchiorre
porta l’attenzione sulla riflessione
condotta da Maurice Blondel. La
riflessione ontologica blondeliana
conduce il lettore in una sorta di
attuazione della metafisica alla
seconda potenza, nella quale la
carità è il fondamento
dell’Universo. Dunque, partendo da
tale prospettiva, la domanda che è
necessario porsi è come l’essere ci
parla dell’amore?
Prima di addentraci nella
riflessione è opportuna una
digressione su Blondel e la sua
filosofia. Maurice Blondel nacque a
Digione il 2 novembre 1861. Il suo
primo lavoro, L'Action. Essai
d'une critique de la vie et d'une
science de la pratique,
pubblicato nel 1893 venne accolto
festosamente dai movimenti
anti-positivisti. Legato agli
ambienti del modernismo, dopo la
condanna del movimento da parte di
papa Pio X nel 1907, si chiuse per
un lungo periodo nel più assoluto
riserbo, non rinnegando il suo
precedente impegno e la propria
adesione di fondo a tale corrente
teologica e filosofica.
Nel suo pensiero trova ampio spazio
il primato della volontà che si
manifesta nell'azione, sulla
ragione. Con il 1934, a partire dai
temi volontaristici, andò elaborando
una filosofia cosmica centrata sulla
provvidenza e la redenzione. Egli
perseguì e porto avanti per quasi
tutta la vita la così detta
“Filosofia d’azione”, consistente in
una delle forme dello spiritualismo
moderno e i suoi presupposti si
basano su un modo peculiare di
intendere la pratica della
filosofia. Il pensatore deve volgere
lo sguardo dentro di sé, elaborare
una ricerca interiore e ricercare
l'interiorità spirituale; perciò il
campo di indagine è costituito dalla
coscienza e non certo dalla natura o
dall'esteriorità.
Per i filosofi dell'azione la
coscienza si esplica, soprattutto,
nella volontà, nell'attività pratica
e creativa nell'ambito della sfera
morale, religiosa, sociale, più che
nella pura contemplazione e nella
teoresi. Alla dialettica reale
frutto della ragione, di chiara
matrice hegeliana, Blondel
contrappone quella della volontà;
l'impulso dello sviluppo non è più
la contraddizione, bensì il
contrasto tra la volontà e la sua
realizzazione; da questo contrasto
fioriscono, sia l'insoddisfazione
della volontà sia la spinta
conseguente all'azione.
La vera scienza, secondo Blondel,
nulla deve alla ricerca esterna, ma
deve penetrare nel cuore stesso
dell'azione. L'azione è considerata
da Blondel come un'iniziativa a
priori: il mondo stesso e il corpo
dell'uomo non sono altro che
manifestazioni o concretizzazioni
della sua volontà. La coscienza
della fatica, la pena, il dolore
dell'azione, dovuti certamente dalla
natura e da fattori materiali, sono
causati dalla necessità di una
espansione sociale di una volontà
non omogenea.
L'azione forma dapprima l'anima e la
personalità dell'uomo, poi spinge
l'individuo verso gli altri per
raggiungere alcune basi fondamentali
quali la famiglia, la patria e
l'umanità stessa, che regolano e
limitano l'espansione. A questo
punto l'espansione prosegue nel
campo morale, producendo, ancora una
volta, un contrasto fra la volontà e
la realizzazione. Per far coincidere
l'azione alla volontà umana spesso
si ricorre alle religioni inferiori,
quelle basate sulle superstizioni e
sulle magie, ma l'esito di questo
utilizzo rimane illusorio. La via
della trascendenza, della rinuncia a
se stesso è l'unica che porta
all'adeguamento tra la volontà e la
sua realizzazione.
Blondel insiste nel sostenere
l'insufficienza dell'ordine naturale
e della storia; ecco perché la via
della trascendenza consente la
comprensione, contemporaneamente,
sia della natura dell'essere e sia
il proprio senso nell'infinito.
Per quanto concerne la riflessione
sull’amore, analogamente a Kant,
Blondel riconduce il fondamento del
fenomeno alla duplice attività
conoscitiva dei sensi e
dell’intelletto: è solo per la sua
sensibilità che l’uomo subisce
l’azione delle cose ed è per
l’intelletto che egli produce i
fenomeni. I fenomeni sono dunque il
frutto dell’attività e della
passività dell’azione conoscitiva: «Con
un’espressione che va spiegata, la
realtà del fenomeno è compresa tra
quei due raggi di cui essa è il
punto di convergenza, e che
riunendosi in noi la costituiscono
in sé stessa: le cose sono perché i
sensi e la ragione le vedono, e le
vedono in comune, senza che quel
doppio sguardo, ognuno dei quali a
parte sembra penetrarle
completamente si confonda in esse.
Se ne possono mostrare gli aspetti
irriducibili, ma non se ne possono
separare le facciate solidali. Noi
agiamo in loro e su di loro, esse
agiscono su di noi e in noi. La
conoscenza, attiva e passiva, che
noi abbiamo è, secondo quanto
dobbiamo pensare, il doppio
fondamento del fenomeno, sensibile e
reale».
A differenza di Kant, Blondel non
prosegue la propria speculazione a
proposito del fondamento dei
fenomeni verso un io trascendentale.
Egli protende invece verso un essere
storico e assoluto: «Essere
oggettivo significa quindi essere
prodotto e subito da un soggetto.
Infatti avere un’azione reale su un
essere reale significa essere reale.
Perciò, perché siano veramente, è
necessario che le cose agiscano;
perché agiscono, è necessario che
siano percepite e conosciute».
Il vertice del discorso ontologico
si dipana intorno alla seguente
precomprensione fondante e
fondamentale: la realtà è tale e non
fenomeno e apparenza solo se,
prodotta da un atto creatore e
generatore, è capace di agire sul
creatore medesimo che, dal suo
canto, l’accoglie volontariamente
tale quale è. Dunque la realtà non è
una fenomenica apparenza in quanto
frutto di una forza generatrice.
Tutto ciò ci spinge a pensare che i
fenomeni sono realtà non solamente
in quanto visti da un’intelligenza
divina, ma anche in quanto capaci di
azioni nei riguardi di chi la posti
in essere in quanto tali. Dunque,
essi sono ed esistono solo grazie a
una kinosi divina: «Infatti
perché le cose che sono percepite
siano percepite così come sono, non
basta una conoscenza percettiva o
passiva, ci vuole una conoscenza
razionale e produttiva. Ma non è
sufficiente neanche una conoscenza
produttiva o razionale, ci vuole una
conoscenza percettiva o passiva. La
realtà delle cose è quella di essere
mediatrici tra quel doppio profilo.
Esse quindi esistono a condizione
che la loro variegata molteplicità
agisca su colui che le percepisce e
le subisce, esistono a condizione
che quelle percezioni molteplici e
passive, ricondotte all’unità di un
pensiero in grado di abbracciarle
tutte, si fondino su una volontà
che, mentre le produce così come
sono, le accetta così come appaiono».
In tale testo si rileva la base del
discorso eucaristico di Blondel, ove
tutto ruota attorno a una volontà
creatrice che crea per forza di
carità. Il Filosofo può affermare
che il reale è tale grazie a colui
che «volendo diventa a sua volta
ciò che conosce», e perché,
nella carità, l’altro lo si lascia
essere in quello spazio che si apre
davanti alla contrazione di sé.
Tutto ruota attorno a una carità
generatrice e a una carità alla base
dell’equilibrio cosmico. Blondel può
essere riassunto anche, e
soprattutto, come filosofo della
carità.
Riferimenti bibliografici: