N. 84 - Dicembre 2014
(CXV)
GIACOMO Matteotti
Delitto e retroscena
di Francesco Marrara
Fin
dal
Risorgimento,
Londra
esercita
una
fortissima
influenza
su
tutto
il
territorio
italiano
poiché,
oltre
ad
avere
da
sempre
avuto
contatti
con
ambienti
legati
alla
massoneria,
alla
politica,
all’industria,
all’informazione
e
alla
cultura
italiana,
gli
interessi
della
City,
si
sono
sempre
protratti
su
quello
che
viene
considerato
dagli
ambienti
di
“Sua
Maestà”
il
“British
Lake”.
Il
Mediterraneo
dunque,
rappresenta
e
rappresentava
per
la
Gran
Bretagna,
uno
sbocco
geopolitico
di
vitale
importanza,
in
quanto
indispensabile
a
garantire
non
solo
l’ormai
consolidato
ruolo
di
dominatrice
degli
oceani,
ma
anche
e
soprattutto
l’accesso
diretto
alle
risorse
petrolifere
del
Golfo
Persico,
necessarie
alla
propria
sopravvivenza.
Perché
è
stato
ucciso
Matteotti?
Il 6
aprile
1924,
si
svolsero
le
elezioni
politiche,
con
l’obiettivo
di
rafforzare
il
governo
presieduto
da
Mussolini.
I
partiti
della
sinistra,
nonostante
si
fossero
presentati
divisi,
avevano
conseguito
un
notevole
risultato.
La
vigilia,
infatti,
era
stata
caratterizzata
dall’introduzione
del
nuovo
sistema
elettorale
(Legge
Acerbo)
e
dai
durissimi
scontri
che
caratterizzarono
la
campagna
per
il
voto.
Matteotti
e i
socialisti
unitari,
avevano
ottenuto
24
seggi,
presentandosi
così
come
i
maggiori
esponenti
della
“sinistra”,
poiché
socialisti
massimalisti,
comunisti
e
repubblicani,
avevano
ottenuto
rispettivamente
22,
19 e
7
seggi.
Se
Matteotti
aveva
vinto
a
“sinistra”,
Mussolini
aveva
trionfato
a
“destra”.
L’obiettivo
del
nuovo
Capo
del
Governo
restava
però
quello
di
sganciarsi
dalla
“destra
economica”,
rappresentata
da
datori
di
lavoro,
agrari
e
industriali,
per
aprirsi
nei
confronti
del
PSU
e
quindi
a
“sinistra”,
verso
le
masse
operaie
e
contadine.
Palmiro
Togliatti
dopo
il
rifiuto
alla
vigilia
delle
elezioni
da
parte
di
Matteotti
di
aggregarsi
ad
un
“unico
fronte”
di
tutte
le
sinistre,
accuso
di
“filofascismo”
gli
Unitari,
mettendoli
in
difficoltà
di
fronte
al
proletariato
italiano.
Matteotti
reagì
pronunciando
il
famoso
discorso
alla
Camera
del
30
maggio
1924.
Lanciò
un
pesante
e
severo
attacco
non
solo
al
PNF,
ma
soprattutto
a
Mussolini.
Quest’ultimo
replicò
con
il
discorso
del
7
giugno
1924,
confermando
le
sue
intenzioni
di
collaborare
con
i
socialisti
unitari
ed
in
particolare
con
il
loro
leader,
appunto
Giacomo
Matteotti,
con
il
quale
Duce
aveva
avuto
un
passato
di
militanza
socialista,
caratterizzata
da
divergenze
teoriche
e
pratiche.
Certamente
in
quel
contesto
storico-politico
della
Nazione,
i
due
ex
compagni
avrebbero
potuto
trovare
un
punto
di
incontro,
mettendo
da
parte
ogni
rivalità
del
passato.
Il
10
giugno
Matteotti
fu
sequestrato
da
un
comando
di
squadristi,
i
quali
dopo
averlo
caricato
su
un’automobile,
lo
pestarono
a
sangue
e
dopo
averlo
accoltellato
lo
abbandonarono
privo
di
vita,
in
un
bosco
a
venticinque
chilometri
da
Roma,
dove
venne
ritrovato
poco
più
di
due
mesi
dopo,
il
16
agosto.
Dopo
numerose
inchieste
da
parte
della
magistratura,
l’ultima
poco
dopo
la
fine
del
secondo
conflitto
mondiale,
si
individuarono
gli
esecutori
materiali
(Amerigo
Dumini,
Albino
Volpi,
Giuseppe
Viola,
Augusto
Malacria
e
Amleto
Poveromo)
tutti
e
cinque
legati
a De
Bono,
quadrumviro
della
marcia
su
Roma.
Tra
questi,
spicca
la
figura
di
Amerigo
Dumini,
squadrista
fiorentino,
nato
negli
USA
a
Saint-Louis
e
con
molta
probabilità
agente
inglese.
Secondo
l’opinione
pubblica
italiana
del
tempo,
il
mandante
del
delitto
fu
Mussolini.
Il
capo
del
governo,
fu
messo
subito
sott’accusa
da
tutti,
in
particolare
dal
giornalista
Carlo
Silvestri;
quest’ultimo
insieme
a
Nicola
Bombacci,
sarà
poi
durante
la
Repubblica
Sociale
Italiana
(RSI)
il
maggiore
difensore
del
Duce
e
del
suo
presunto
coinvolgimento
nell’omicidio
Matteotti,
proprio
perché
a
seguito
di
indagini
condotte
in
prima
persona,
sia
Silvestri
che
Bombacci,
si
accorsero
che
non
esistevano
prove
che
potessero
identificare
in
Mussolini
il
mandante
dell’assassinio.
Un
ulteriore
prova
è
data
dal
fatto
che
la
moglie
del
deputato
socialista,
Velia
Titta,
era
al
corrente
della
collaborazione
tra
il
marito
ed
il
capo
del
fascismo,
tanto
che
dopo
il
crimine,
la
famiglia
Matteotti,
rimase
in
Italia
e
segretamente
ricevette
dal
Duce
sostegno
economico.
Il
giorno
seguente,
l’11
giugno,
Matteotti
avrebbe
dovuto
tenere
un
discorso
ancora
più
duro
di
quello
fatto
in
precedenza.
Cos’altro
voleva
denunciare
il
deputato
socialista?
Il
22
aprile
1924,
poco
prima
di
essere
assassinato,
Matteotti
si
recò
segretamente
a
Londra.
Qui
incontrandosi
con
alcuni
esponenti
del
partito
laburista,
aveva
raccolto
una
cospicua
documentazione
nella
quale
venivano
denunciati
i
finanziamenti
elargiti
a
Casa
Savoia
e al
Fascismo
da
parte
della
compagnia
petrolifera
americana
Sinclair
Oil.
Quest’ultima
era
entrata
in
conflitto
con
l’inglese
APOC
(BP),
affinché
il
governo
italiano
preferisse
il
petrolio
della
compagnia
americana
rispetto
a
quello
di
rapida
distribuzione
estratto
in
Iraq
e
Persia
e,
raffinato
dagli
inglesi
stessi
a
Trieste.
È
storia
ormai
nota
che
Mussolini,
pronunciando
il
discorso
alla
Camera
il 3
gennaio
del
1925
si
assunse
“la
responsabilità
storica,
morale
e
politica”
di
quanto
accaduto.
Ma
come
si
sarebbero
svolti
gli
avvenimenti
della
storia
se
giorno
11
giugno,
Giacomo
Matteotti,
deputato
del
Partito
Socialista
Unitario
(PSU),
avesse
pronunciato
quel
suo
fatidico
discorso?
Proviamo
adesso
ad
immaginare.
Mussolini,
fin
da
sempre
socialista
e
repubblicano,
aveva
fondato
il
23
Marzo
1919
i
Fasci
Italiani
di
combattimento,
movimento
rivoluzionario
nel
quale
confluivano
una
serie
di
forze
e
correnti
di
pensiero
variegate:
pensiamo
agli
anarchici,
ai
futuristi,
ai
sindacalisti
rivoluzionari.
Proprio
in
un
suo
intervento
durante
la
riunione
di
San
Sepolcro,
Mussolini
affermava:
“…
Dalle
nuove
elezioni
uscirà
un’assemblea
nazionale
alla
quale
noi
chiediamo,
che
decida
sulla
forma
di
governo
dello
Stato
italiano.
Essa
dirà:
repubblica
o
monarchia,
e
noi
che
siamo
stati
sempre
tendenzialmente
repubblicani,
diciamo
fin
da
questo
momento:
repubblica!
…”.
Da
ciò
si
evince
chiaramente
che
l’obiettivo
era
quello
di
dare
la
parola
al
popolo
per
esprimersi
in
un
probabile
referendum
“Monarchia/Repubblica”
una
volta
arrivati
al
governo
dell’Italia.
Avremmo
avuto
una
Repubblica
con
qualche
anno
d’anticipo
rispetto
al 2
giugno
1946?
Avremmo
avuto
con
qualche
anno
d’anticipo
la
Repubblica
Sociale
Italiana
e la
realizzazione
dei
18
punti
del
Manifesto
di
Verona,
in
particolare
della
cosiddetta
“socializzazione”
così
tanto
cara
a
Mussolini?
Avremmo
potuto
evitare
il
25
luglio
e
l’8
settembre,
se
Giacomo
Matteotti
avesse
reso
pubblici
gli
scandali
relativi
a
Casa
Savoia
e
agli
ambienti
fascisti
legati
a
doppio
filo
con
la
Corona
inglese
e al
Governo
di
Washington?
Queste
sono
solo
ipotesi
e
supposizioni,
gli
avvenimenti
storici
sono
ben
altra
cosa.