.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

.

filosofia & religione


N. 22 - Ottobre 2009 (LIII)

MATRIMONI MISTI nei secoli IV-VI
TESTIMONIANZE CRISTIANE E PAGANE

di Paola Marone

 

Nel Nuovo Testamento già si intravede il fondamento della sacralità e dell’indissolubilità del matrimonio (cfr. Ef. 5,22-32; Mt. 19,3-9; Mc. 10,2-12), ma troviamo scarsissime indicazioni sulla specifica questione delle unioni miste. I pochi elementi significativi compaiono nel corpus paolino, e riguardano il passo di 1 Cor. 7,12-16, in cui Paolo tratta di due coniugi pagani dei quali uno solo si converte al cristianesimo e il passo di 1 Cor. 7,39, in cui Paolo dà alle vedove il precetto di sposarsi tantum in Domino.

 

A partire dall’epoca di Costantino, però, su questo argomento furono presi vari provvedimenti sia in ambito religioso che in ambito civile. Per cui non è esagerato pensare che i matrimoni misti, che in questi ultimi decenni sono stati ampiamente studiati in relazione alle più recenti disposizioni del diritto canonico, già a partire dal IV secolo richiamavano notevole attenzione. Ma vediamo nel dettaglio le testimonianze di IV-VI secolo relative ai concili, alla letteratura cristiana e alle leggi imperiali.


I concili


La legislazione ecclesiastica più antica che riguarda il nostro tema è contenuta nei canoni 15 e 16 del concilio di Elvira (306), che sancivano una scomunica di cinque anni per quei genitori che violavano l’interdizione di far sposare i propri figli con pagani eretici o ebrei.


Poi, contro le unioni tra cristiani e pagani eretici o ebrei, a distanza di pochi decenni si pronunciarono vari collegi episcopali. In particolare il canone 11 del concilio di Arles (314) decise che dovessero essere punite con la scomunica le ragazze cristiane che sposavano dei pagani. I canoni 10 e 31 del concilio di Laodicea del 343, il canone 12 del concilio di Ippona del 393 e il canone 21 del concilio di Cartagine del 419 proibirono i matrimoni tra cristiani ed eretici, per cui un eretico poteva sposarsi solo se prometteva di convertirsi al cristianesimo. E ancora il canone 14 del concilio di Calcedonia (451) stabiliva che i lettori e i cantori non potevano sposarsi con delle eretiche, e a proposito dei matrimoni già contratti, decideva che i figli nati dall’unione di un cristiano e un’eretica dovevano ricevere il battesimo nella Chiesa e far parte comunque della comunità religiosa. Infine il can 13 del Concilio di Orléans del 533-541 proibì i matrimoni tra cristiani ed ebrei.


Dunque tra IV e VI secolo le autorità ecclesiastiche vietarono i matrimoni misti, senza però sancirne la nullità. Solo nel 691 il canone 72 del concilio di Trullo, prendendo in considerazione le unioni tra ortodossi ed eretici, introdusse esplicitamente l’impedimento dirimente sia di “matrimoni misti” che di “disparità di culto”. Per cui solo a quel punto tali unioni cominciarono a essere considerate nulle.


La letteratura cristiana


Certamente, come ha rilevato il D’Avack la singolare costruzione giuridica del sistema matrimoniale canonico è «caratterizzata innanzitutto dall’apporto della patristica, che ne gettò le basi morali» (p. 212). Nella fase classica della patristica vennero fissati i criteri fondamentali dell’istituto matrimoniale, che avevano a che vedere essenzialmente con la fedeltà reciproca (fides), con l’indissolubilità (sacramentum) e con la prole (proles), in modo che l’atto sessuale venisse a costituire, allo stesso tempo, sia un concubitus utilis, perché diretto alla generatio prolis, sia un “concubitus inseparabilis”, perché effettuato sempre con il proprio coniuge (cfr. Agostino, De nuptiis 11; Idem, De bono coniugali 24,32). Comunque i Padri della Chiesa, senza insistere più di tanto sulla sacramentalità, hanno riflettuto a lungo sugli impedimenti, e si sono soffermati anche sul caso della disparità di culto.


In ambito orientale già nel II secolo Ignazio di Antiochia fece uno dei primi interventi contro i matrimoni misti, invitando a coinvolgere il proprio vescovo nella scelta del coniuge (cfr. Epistola ad Polycarpum 5,2), ma nel secolo successivo con Origene venne molto ridimensionata quella posizione. Infatti l’Alessandrino che pure considerava un vero matrimonio solo quello tra due cristiani, sulla base di 1 Cor. 7,12-16 non riteneva giusto condannare completamente i matrimoni misti (cfr. fr. XXXV in 1 Cor. 7,8-12).


In ambito occidentale solo a partire dal III secolo vennero presi in considerazione i matrimoni tra cristiani e pagani. In particolare Tertulliano non ammetteva che un cristiano potesse sposare una persona che non conoscesse il Signore (cfr. A uxorem II,2; De corona 13). E qualificando i matrimoni misti come veri e propri stupra, invitava le vedove che avessero voluto sposarsi a seguire l’insegnamento di 1 Cor. 7,12-16, e dunque a farlo solamente con un uomo cristiano. Analogamente Cipriano ribadì i termini del divieto del “matrimonium cum gentilibus non iungendum” (Ad Quirinum III, 62), rifacendosi non solo al tantum in Domino paolino, ma anche al divieto dell’Antico Testamento di prendere in spose le cananee o comunque le donne non ebree (cfr. Gen. 24, Esd. 10, Iob. 4,12). Addirittura Cipriano associava i matrimoni misti ai peccati carnali e li riteneva una delle cause principali delle persecuzioni contro i cristiani.


Nel IV secolo ci furono altri autori occidentali poco favorevoli ai matrimoni misti. Ambrogio commentando il passo della Genesi nel quale Abramo invia il suo servo in Mesopotamia per trovare la moglie per Isacco, parlava della necessità del sacramento del battesimo per entrambi gli sposi (cfr. De Abraham I,9, n. 84). Inoltre nel suo epistolario esortava a condannare i matrimoni misti, qualificandoli come non veri sul piano teologico, in quanto profanazioni del corpo della Chiesa (cfr. Ep. 62 ad Vigilium). E ancora Girolamo nell’Adversus Iovinianum vietava di sposare un pagano in base al tantum in Domino paolino (Adversus Iovinianum libri duo, lib. 1, n 10).


Tuttavia la questione della validità delle unioni miste era ancora aperta nel V secolo, visto che Agostino, pur mettendo in risalto i pericoli che potevano comportare, evidenziava chiaramente che non erano proibite nel Nuovo Testamento e non potevano essere ritenute in alcun modo viziose (cfr. De fide et operibus 21). Certamente il fatto che nei primi secoli gli obblighi del matrimonio derivanti dalla fede non siano stati compresi nello stesso modo da tutti gli autori cristiani dimostra che nelle diverse situazioni contingenti nelle quali la Chiesa si venne a trovare non sempre vennero ritenute vincolanti le coeve deliberazioni conciliari.


Il diritto romano


Per quanto il matrimonio cristiano riproponesse molti degli elementi del matrimonio romano, le più antiche testimonianze cristiane sui matrimoni misti non si può dire che si siano ispirate alla cultura pagana. Viceversa in questo specifico ambito fu piuttosto la cultura cristiana a condizionare le leggi dell’impero. Del resto in età post-classica, grazie soprattutto all’influenza del cristianesimo, si andò affermando il matrimonio come negozio giuridico. Allora per il sorgere del vincolo non occorrevano più né l’usus, né il permanere dell’affectio maritalis, ma bastava il consenso iniziale degli sposi.


A seguito del cosiddetto editto di Milano del 313 gli insegnamenti del cristianesimo orientarono molte delle leggi del diritto privato. In particolare con Costantino cominciarono i primi provvedimenti a danno degli ebrei, e nel 339 Costanzo II, figlio di Costantino, punì con la morte i matrimoni misti, considerando l’unione tra ebrei e cristiani come flagitium e sottoponendo il trasgressore alla pena capitale prevista per l’adulterio (cfr. Codex Theodosianus 16,8,6). Tale disposizione venne poi ribadita da una legge di Valentiniano Teodosio e Arcadio del 388, riportata due volte nel Codice Teodosiano (cfr. Codex Theodosianus 3,7,2; 9,7,5) e accolta anche nel Codice Giustinianeo (cfr. Codex Iustinianeus I,9,6).


Inoltre dopo che in Siria, presso la città di Inmester, una celebrazione ebraica del Purim si era trasformata in un minaccioso raduno anticristiano, Teodosio II volendo rispondere con rigide regolamentazioni alla celebrazione del Purim, ordinò ai cristiani di non intrattenere rapporti intimi o personali con gli ebrei che potessero condurre a matrimoni misti (cfr. Codex Theodosianus 16,2,1).


Evidentemente tutte queste leggi che hanno contrastato il fenomeno dei matrimoni misti, rientravano tra quei provvedimenti civili, di chiara matrice antisemita, che avevano lo scopo di isolare gli ebrei dal resto della popolazione dell’impero. D’altra parte è verosimile pensare che, sotto l’influenza di un gruppo di potere ecclesiastico e con il favore di autorevoli vescovi come Ambrogio, il legislatore abbia voluto proteggere la comunità cristiana da quelli che potevano essere degli elementi estranei.


Conclusione


Le prime comunità cristiane elaborarono una concezione del matrimonio che comportava un rapporto interpersonale, fondato sull’affetto reciproco e sulla perdurante volontà di essere marito e moglie, ma prescindeva dalla specifica fede dei coniugi. Solo a partire dal IV secolo i matrimoni misti furono oggetto della riflessione conciliare. Tuttavia nei Concili di Elvira, di Arles, di Laodicea e di Calcedonia, che furono celebrati tra IV e V secolo, si trova già in germe la futura disciplina della Chiesa. Infatti quei concili non proibivano in modo assoluto i matrimoni misti, sia con gli acattolici battezzati (eretici), sia anche con i non battezzati, fra i quali i pagani e i giudei, però sanzionavano più o meno severamente chi li stava contraendo o li aveva contratti.


Per difendersi dalla propagazione di scismi ed eresie, la Chiesa sentì il bisogno di mettere in guardia i propri fedeli dal pericolo di un matrimonio nel quale ci fosse diversità di culto, fino al punto di pronunciare delle norme specifiche a livello di concili e sinodi regionali. Tali norme risentivano della letteratura cristiana prodotta nei primi secoli, ma lasciavano comunque trapelare una certa indeterminatezza. Solo in seguito all’incontro tra le deliberazioni conciliari e il diritto romano, che determinò lo sviluppo del diritto occidentale da un lato e del diritto della Chiesa dall’altro, si arrivò a una chiarificazione del concetto di validità del matrimonio. Infatti, se da una parte è vero che le deliberazioni conciliari sui matrimoni tra cristiani ed ebrei confluirono nelle leggi dell’impero, d’altra parte è vero anche che il concilio di Trullo arrivò a sancire per la prima volta l’invalidità dei matrimoni misti rifacendosi in qualche modo alle leggi dell’impero che equiparavano di fatto tali matrimoni all’adulterio.


Comunque la distinzione tra matrimonio misto di un cattolico e un non cattolico (con impedimento proibente) e matrimonio con disparità di culto di un cattolico e non cristiano (con impedimento dirimente) risale alla fine del XII secolo ed è legata all’attività dei giuristi Graziano, Pietro Lombardo, Bernardo di Pavia e Uguccione di Pisa. Agli albori del cristianesimo, non esistendo tale distinzione, il titolo di matrimonio misto qualificava tutti i matrimoni contratti tra cattolici e non cattolici.
 

 

Riferimenti bibliografici:
 

Bianchi F., La donna del tuo popolo. La proibizione dei matrimoni misti nella Bibbia e nel medio giudaismo, Roma 2005.
Cereti G., Inseparabilità fra contratto matrimoniale e sacramento del matrimonio. Un problema della chiesa cattolica romana, in Studi Ecumenici 11 (1993), pp. 299-308.
Ceccarelli Morolli D., I matrimoni misti alla luce dei Sacri Canones del primo millennio, in Nicolaus 12/2 (1995), pp. 137-143.
D’avack P.A., La copula perfecta e la consummatio coniugii nelle fonti e nella dottrina canonista classica, in Rivista Italiana per la Scienze Giuridiche 3/ 1-4, Milano, 1949.
De Bonfils G., Legislazione ed ebrei nel IV secolo. Il divieto dei matrimoni misti, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 90 (1987), pp. 389-438.
Idem, La terminologia matrimoniale di Costanzo II: uso della lingua e adattamento politico, in Labeo 42 (1996), pp. 254-266.
Gaudemet J., Il matrimonio in Occidente, Torino 1989.
Idem, Storia del diritto canonico: ecclesia e civitas, Cinisello Balsamo 1998.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.