[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

197 / MAGGIO 2024 (CCXXVIII)


arte

LA MASCHERA DI AGAMENNONE
un mirabile oggetto tra arte e storia
di Matteo Liberti


Il suo nome, in Occidente, è per molti legato a un celebre film d’animazione lanciato dalla Disney nel 1998, ma in Asia, e più specificatamente nel Paese d’origine, ovverosia la Cina, la sua figura è celeberrima già da parecchi secoli. Stiamo parlando di Mulan, leggendaria donna a cui è dedicata un’opera letteraria intitolata La ballata di Mulan il cui autore, pur a volte identificato in un tal Liang Tao, è tuttora ignoto. Così come l’intera storia di questa combattiva fanciulla, considerata tra le più grandi eroine nazionali dell’immaginario culturale cinese, resta ancora oggi, nonostante i numerosi studi sull’argomento, interamente sospesa tra realtà e mito.


Stando a quel che suggerisce la suddetta ballata, risalente all’incirca al VI secolo d.C. e il cui testo originale è purtroppo andato perduto (fatta eccezione per qualche frammento da cui sono scaturite molteplici versioni alternative della vicenda), l’eroina in oggetto – che sarebbe vissuta in un periodo imprecisato tra il IV e il VI secolo e il cui nome completo è solitamente riportato come Hua Mulan, traducibile con “fiore di magnolia” – indossò i panni della guerriera per prendere il posto di suo padre, un valoroso condottiero di nome Hua Hu, allorché questi, sebbene fosse ormai molto anziano e cagionevole di salute, venne richiamato dall’imperatore a combattere.


Nella fattispecie, al papà di Mulan, così come d’altronde a ogni capofamiglia, fu chiesto di dare una mano al proprio Paese per contrastare le crescenti pressioni esercitate da varie tribù di nomadi, ma a impedirgli di abbracciare nuovamente le armi fu per l’appunto la giovane e coraggiosa figlia, pronta a farne le veci sui campi di battaglia. Dopo aver lasciato il suo telaio, sul quale era solita trascorrere intere giornate esercitandosi nell’arte della tessitura, costei comprò un cavallo, una sella, delle staffe e dei vestiti maschili, così da fingersi uomo, e adottando il nome di suo fratello (più piccolo di lei e troppo giovane per combattere) si arruolò, salutando la famiglia per raggiungere il resto dei soldati in un accampamento militare dislocato in prossimità del Fiume Giallo, decisa a non tornare indietro se non da vincitrice. «Al mattino, dice addio ai suoi genitori, / La sera, è sulle rive del fiume Giallo. / Non ode più la voce dei suoi genitori / Che chiamano la loro figlia [...]», recitano a tal riguardo le trascrizioni di quanto è sopravvissuto di La ballata di Mulan.


La carismatica ragazza, che all’epoca doveva essere poco più che quattordicenne, iniziò presto a guadagnarsi entusiastici apprezzamenti per le notevoli doti belliche messe in mostra, già durante la fase di addestramento, senza che nessuno dei suoi superiori o degli altri soldati che s’allenavano con lei osasse sospettare alcunché circa la sua vera identità.


Pur in assenza di certezze assolute, e nell’economia di quello che rimane un racconto leggendario, è da più parti stato ipotizzato che lo scontro a cui avrebbe preso parte Hua Mulan fu quello che, nella prima parte del V secolo a.C., vide coinvolte le forze militari della potente dinastia dei Wei del Nord (che governò l’impero cinese dal 386 al 535) contro le agguerritissime tribù nomadi che andavano minacciando i confini settentrionali del Paese.


Stando alla ballata che ne narra la storia, il contributo offerto da Mulan, capace di calcare i campi di battaglia in modo pressoché ininterrotto per oltre dieci anni (prestando verosimilmente servizio per l’imperatore Taiwu, o Tuoba Tao, sul trono dal 423 al 451), risultò decisivo per la vittoria finale dei Wei del Nord, al punto che la giovane guerriera, in premio per la lunga serie di successi ottenuti, venne nominata prima generale e poi, addirittura, comandante, peraltro continuando sempre a essere considerata un uomo.


Una volta terminato il conflitto, anziché badare alla carriera militare, Mulan si affrettò a ritornare dai suoi cari, e una volta a casa smise i panni maschili e si riappropriò pienamente della propria natura femminile, a quel punto scoperta da alcuni dei compagni che erano stati in guerra con lei, tutti destinati a rimanere a bocca aperta, completamente increduli. «Si toglie le sue armi di guerra / Si rimette i suoi abiti di prima / Pettina i suoi capelli alla finestra / E si sistema davanti allo specchio. / Esce per vedere i suoi compagni, I soldati sono tutti molto sorpresi [...]», recita La ballata di Mulan.
A proposito delle reazioni di chi, meravigliato, scopriva la verità sul suo conto, si racconta che la combattente, quando era costretta a commentare la scelta fatta (nata, si ricordi, dall’esigenza di sostituirsi al padre per salvaguardarne la vita), usasse ricorrere a una brillante metafora ispirata al mondo della natura. In breve, a chi le chiedeva conto del suo comportamento, rispondeva: «La lepre maschio ha le zampe anteriori pesanti. La lepre femmina tende a socchiudere gli occhi. Ma quando corrono fianco a fianco, vicino al suolo, chi può dire quale dei due è maschio e qual è femmina?».


Una volta venuta a galla la vera identità di Mulan, tutti quelli che avevano combattuto insieme a lei, piuttosto che lamentarsi di esser stati circuiti, mostrarono nei suoi riguardi importanti attestazioni di stima, incluso un generale che, credendola uomo, aveva in passato provato a convincerla a sposare la propria figlia. Ormai ricongiunta alla propria famiglia e rinfrancata dal buon esito della guerra, Hua Mulan andò quindi incontro a un destino rispetto al quale non sappiamo sostanzialmente nulla, anche se c’è chi ipotizza che la versione originale della storia prevedesse per la guerriera una fine tragica, vedendola morire in battaglia dopo essere tornata a combattere, oppure suicida, per evitare di trasferirsi nel palazzo dell’imperatore, come avrebbe preteso costui.


Le modalità della reale uscita di scena di Hua Mulan, almeno nelle intenzioni dell’anonimo autore della primissima versione della ballata, restano in ogni caso un mistero, e allo stesso modo non si sa se tale coraggiosa eroina sia realmente esistita o se costituisca solo una figura leggendaria. Certo è che la sua vicenda, popolare già in epoca medievale, ha saputo ispirare nei secoli opere letterarie e poi artistiche e teatrali, fino a registrare, in tempi recenti, un boom di romanzi, film, serie televisive e videogiochi a lei dedicati. Peraltro, in molte ricostruzioni, la sua storia è andata arricchendosi con elementi tratti dalle vicissitudini di altre donne cinesi realmente esistite e capaci di distinguersi per le loro doti belliche.


Tra le suddette guerriere, sono da citare in particolare i nomi di Liang Hongyu e di Fu Hao, vissute rispettivamente nel XII e nel XIII secolo. Nata attorno al 1102, la prima era figlia di un comandante che l’instradò prestissimo verso il mondo militare, avviandola in particolare all’apprendimento delle arti marziali. La giovane divenne così un’imbattibile lottatrice, mettendo le sue doti al servizio della dinastia Song (al potere tra il X e il XIII secolo), per la quale combatté con valore e successo contro la rivale dinastia degli Jurchen, guadagnandosi il rilevante titolo di “signora protettrice della nazione”. La sua luce, tuttavia, si spense quando aveva solo trentatré anni, nel 1135. Per quel che riguarda invece Fu Hao, si sa che visse all’incirca tra il 1200 e il 1250 e che, dopo essere divenuta sacerdotessa, ottenne i gradi di comandante in ambito militare, combattendo una serie di tribù lungo i confini del Nord del Paese, proprio come secondo la leggenda aveva fatto secoli prima Mulan (nella fattispecie, Fu Hao si prodigò sui campi di battaglia per difendere i possedimenti della storica dinastia Shang, concentrati appunto nella Cina nordorientale). Ulteriori figure di donne guerriere cinesi sono rintracciabili tra l’altro in epoca moderna, come nel caso di Qin Liangyu (1574-1648), che combatté in prima linea, con ruoli di comando, in difesa della dinastia Ming, padrona di tutta la Cina dal XIV al 1644, quando fu spodestata dalla dinastia Qing (contro le cui forze si batté appunto la valorosa Qin Liangyu). E proprio tra le file dei Qing si distinse un’altra donna combattente associata di sovente alla figura di Mulan, il cui nome era Shen Yunying (1624-1661).


Di secolo in secolo, la leggendaria vicenda di Hua Mulan – già simbolo di rivalsa femminile – si è così andata alimentando, nelle versioni non ufficiali, con vari particolari desunti dalle gesta di altre donne, e ciò ha senza dubbio contribuito a rendere ancora più popolare la sua figura, in Cina e non solo, tanto che nel 1998 anche la Walt Disney Pictures si è appunto voluta cimentare in una propria versione della sua ardimentosa vicenda, destinata di lì a breve a una diffusione e a un successo di portata mondiale.


Nello specifico, gli autori del film d’animazione della Disney, intitolato semplicemente Mulan, pur traendo spunto dalla storia raccontata in La ballata di Mulan, variamente arricchita dalle narrazioni di epoca successiva, hanno introdotto nella vicenda ulteriori elementi di fantasia (tra cui un drago) e addolcito alcune parti (non prendendo per esempio in considerazione l’ipotesi del suicidio o della morte violenta in battaglia), cambiandone nel contempo altre. Il tutto, sempre però ispirandosi alle reali tradizioni cinesi e all’arte e alla cultura locali, così come avvenuto nella versione “live action” (ossia re-interpretata da attori in carne e ossa) dell’opera, lanciata col medesimo titolo nel 2020 (si è trattato della prima pellicola a marchio Disney con cast tutto asiatico). In altre parole, il lavoro di “rivisitazione” della nota casa di produzione statunitense, utile a far conoscere a livello globale la figura di Hua Mulan, destando curiosità circa la sua “vera” storia (con virgolette d’obbligo, vista la natura leggendaria del personaggio), è stato simile, nello spirito, a quello che nelle epoche passate avevano già compiuto diversi autori, intenti a sfaccettare il profilo di un’eroina la cui essenza, ancor prima che nella veridicità delle gesta da lei eventualmente compiute, è da ricercare – come in ogni mito – nel suo valore “simbolico”.


Nel caso di Mulan tale valore è direttamente connesso al suo essere una donna capace di stravolgere le tradizioni del tempo, affermandosi, alla stregua di un uomo, sui campi di battaglia piuttosto che davanti a un telaio (il suo nome, non a caso, è stato spesso evocato nell’ambito delle battaglie del femminismo, quale emblema di rivendicazione dell’uguaglianza tra i generi e della necessità di un aumento dei diritti delle donne).


Allo stesso tempo, la vicenda di tale guerriera sembrerebbe però voler insegnare anche come il vero eroismo, in guerra (e non solo), debba scaturire non da un puro spirito bellico, ma dal nobile amore per i propri cari: quello che indusse appunto Mulan – e altre donne dopo di lei – a vestire i panni della guerriera, nei quali appare tra l’altro ancora oggi, con aspetto fiero e orgoglioso, in varie statue a lei dedicate in terra asiatica.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]