[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

168 / DICEMBRE 2021 (CXCIX)


contemporanea

I MARTIRI DI BELFIORE

MORIRE PER UN IDEALE

di Raffaele Pisani

 

Undici persone, diverse per carattere professione e estrazione socialema unite nella difesa dei loro ideali fino al martirio, costituiscono un caso di coscienza che porta a una doverosa riflessione.

 

Appare strano che dei cittadini ben inseriti nel contesto economico-sociale siano disposti a sacrificare la vita per la libertà. Ancor più problematica è la presenza di sacerdoti fedeli al loro credo cristiano, oltre ai tre condannati ce n’erano degli altri, associati nell’azione proposta dal Mazzini, che pur aveva una concezione mistico-religiosa inconciliabile con il cristianesimo.

 

Sopportare lunghi mesi di dura carcerazione rimanendo saldi nella propria posizione richiede una forza d’animo ancora maggiore che combattere sulle barricate o sugli spalti, come alcuni di questi avevano fatto qualche anno prima, possiamo ricordare Speri, Zambelli, Frattini, Scarsellini e Calvi.

 

Se l’attuale storiografia risorgimentale tende a ridimensionare e a revisionare questo periodo, che per alcuni neanche si dovrebbe chiamare Risorgimento, l’episodio mantovano rimane un punto fermo di segno opposto. L’unificazione nazionale è stata certo un fenomeno complesso, con tanti soggetti che hanno operato talvolta alleandosi e talvolta contrapponendosi. La narrazione per così dire agiografica dei primi decenni post-unitari ha lasciato il posto ad analisi e critiche più solidamente fondate; ora si corre il rischio di esagerare nel senso opposto, vale a dire: destituire di ogni valore ideale gran parte del Risorgimento.

 

Le coordinate spazio temporali dell’evento sono riferibili al Regno Lombardo-Veneto, in particolare la città di Mantova ma anche Verona, Brescia, Milano e Venezia negli anni che vanno dal 50 al 55 dell’Ottocento. Dal 1818 fin alle soglie del Quarantotto, sotto la guida del viceré Ranieri d’Asburgo l’Austria aveva dato prova di moderazione, il vicereame e i parlamenti: senato politico e senato camerale, davano una vernice di indipendenza rispetto Vienna.

 

I moti rivoluzionari generarono disappunto nelle autorità austriache, che credevano i loro sudditi lombardo-veneti sufficientemente contenti della situazione. Vedendo minacciata la sovrana assoluta autorità in varie parti dell’impero, anche nella stessa Vienna, si cercò di porre rimedio con una più incisiva azione di controllo sulla popolazione.

 

La situazione si fece molto tesa, con un’oppressione fiscale e una repressione poliziesca di carattere punitivo. I danni materiali delle insurrezioni dovevano essere risarciti e i colpevoli puniti. Il generale Radetzky, che già prima si era dimostrato risoluto nel reprimere ogni segno di rivolta, vittorioso a Custoza e a Novara su Carlo Alberto di Savoia, espugnatore della Repubblica di Venezia, aveva assunto già dal 1848 la carica di governatore militare e civile del Lombardo-Veneto. È un periodo che gli Italiani hanno sempre considerato come molto oppressivo.

 

Dal suo esilio di Londra Giuseppe Mazzini proseguiva nella sua opera tesa a educare a uno spirito nazionale e anche ad agire concretamente nell’organizzazione di insurrezioni popolari. Nel 1850 aveva reso noto il suo “Programma per la futura insurrezione italiana”, alla guerra regia si doveva sostituire la guerra dei popoli per la libertà. Per far questo c’era bisogno di finanziamenti; l’idea di un prestito nazionale garantito da una patria futura ci fa capire l’audacia e anche una certa visione ingenua della realtà sociale italiana.

 

Sulle prime la cosa sembrò funzionare: cedole di taglio diverso, per consentire a tutte le classi sociali di poter partecipare, furono vendute clandestinamente in varie città del Lombardo-Veneto e cominciarono affluire cospicue somme di denaro. Il compito di tenere la cassa e il registro delle entrate e delle spese con i nomi dei vari sottoscrittori venne affidato a don Enrico Tazzoli, riconosciuto da tutti come leader di questo comitato clandestinofondato il 2 novembre del 1850.

 

Accettato non senza qualche riluttanza iniziale, il Tazzoli affrontò il delicato compito approntando un sistema cifrato. Da buon prete quale era associò le 245 lettere posizionate nel Pater Noster a dei numeri progressivi così da poter comporre dei nomi e delle operazioni contabili; si preoccupò pure, al fine di evitare ogni ambiguità, di stabilire una regola per i dittonghi latini. Un ipotetico ispettore che avesse controllato questi schedari si sarebbe trovato di fronte a tante cifre che nulla potevano dire.

 

Il primo a cadere nella rete fu don Giovanni Grioli, curato nella parrocchia di Cerese; aveva dato qualche spicciolo a due soldati ungheresi, tanto bastò per essere accusato di corruzione. Memore della rivolta capeggiata da Kossuth qualche anno prima, la polizia austriaca era particolarmente attenta al comportamento dei soldati magiari. Una successiva perquisizione portò a scoprire alcune cedole mazziniane fra le carte del parroco. Cercando ingenuamente di difendersi dicendo che le riteneva delle forme caritative per gli Italiani all’estero, ma evitando ogni riferimento a persone, affrontò la fucilazione il 7 dicembre del 1852.

 

Chi sperava che la questione fosse chiusa rimase deluso, era solo all’inizio. Il caso volle che da una perquisizione alla ricerca di banconote false nella casa di Luigi Pesci, esattore comunale a Castiglione delle Stiviere, venissero alla luce alcune cedole mazziniane. La polizia non ebbe difficoltà a far confessare al Pesci la loro provenienza, e venne fuori il nome di don Ferdinando Bosio, professore al seminario di Mantova. Quest’ultimo, dopo aver resistito a lungo in carcere a privazioni e minacce, fece il nome di don Enrico Tazzoli e anche di due seminaristi suoi allievi: Arrighi e Fantolini.

 

Ben più determinante fu la confessione di Luigi Castellazzo, figlio di Giuseppe commissario di polizia al servizio dell’Austria. Per salvare se stesso dalla forca e il padre dalla radiazione parlò del codice usato dal Tazzoli.

 

Da quel momento come una valanga l’inchiesta travolse tutto e tutti. Qualcuno avvertito in tempo ebbe modo di mettersi in salvo espatriando, qualche altro confessò e rivelò dei nomi e delle circostanze ottenendo in tal modo la clemenza della corte, ma il gruppo dei puri affrontò con coraggio e determinazione le sofferenze del carcere, il distacco dai parenti e dagli amici e la tragica e gloriosa fine.

 

Tradotto il Tazzoli nelle carceri mantovane, venne a sapere che la sua scrittura cifrata era stata scoperta. Pater Noster, gli disse ironicamente il carceriere, a cui Tazzoli rispose fiat voluntas tua, capendo perfettamente la situazione.

 

Seguirono altri arresti, a Venezia caddero nella rete Giovanni Zambelli, nel 1849 difensore fino all’ultimo della Repubblica Veneta, Angelo Scarsellini, volontario nella prima guerra d’indipendenza, e Bernardo De Canàl, pittore. A Mantova, prelevandolo dall’ospedale dove stava prestando servizio, venne arrestato il giovane medico Carlo Poma. Tutti cinque verranno impiccati il 7 dicembre del 1852, alla Valletta di Belfiore, poco fuori le mura di Mantova. Seguirono altre accuse e altre condanne, il conte veronese Carlo Montanari; l’indomito difensore di Brescia nelle famose dieci giornate di eroica resistenza, Tito Speri, e don Bartolomeo Grazioli, parroco di Revere.

 

Tutti e tre impiccati il 3 marzo 1853. Il 19 dello stesso mese subì la medesima sorte Pietro Frattini, un semplice fruttivendolo, che aveva accolto per qualche tempo dei cospiratori in una casa di sua proprietà. L’ultimo dei Martiri di Belfiore che la storia ricorda è Pier Fortunato Calvi, combattente per l’Italia nel biennio 1848-49, prima in Cadore poi a Venezia, fu catturato nel Trentino dalla polizia austriaca; rinchiuso nelle carceri che già avevano visto gli altri patrioti, venne impiccato nel luglio del 1855. Si narra che il proclama per la sua esecuzione venisse stampato contemporaneamente a quello dell’amnistia, che appena dopo fu resa pubblica; di questa beneficiarono coloro che avevano collaborato rivelando nomi di cospiratori.

 

Il vescovo di Mantova mons. Giovanni Corti, che invano aveva cercato almeno di evitare la sconsacrazione di Tazzoli e Grazioli, non fu ascoltato neanche nella sua richiesta di porre le loro salme in terra consacrata; sperava in una decisa presa di posizione da parte del pontefice Pio IX, che non venne. Tutte le salme dei condannati, sacerdoti o laici che fossero, vennero seppellite senza un segno. Alcune donne che avevano deposto fiori furono aspramente riprese dalle autorità. Solo nel 1872, a sei anni di distanza dall’annessione all’Italia venne edificato in Piazza Sordello il primo sacrario a loro dedicato, ora trasportato e ricomposto, si trova alla Valletta nel luogo del martirio.

 

L’intento del governo austriaco era stato quello di eliminare ogni traccia che potesse richiamare alla memoria. Anche la ricostruzione storica fu difficile e gli storici italiani, in primis Alessandro Luzio, trovarono spesso sbarrato l’accesso ai documenti ufficiali.

 

Dagli anni Ottanta dell’Ottocento, il riconoscimento reciproco tra Regno d’Italia e Impero Austro-Ungarico e i trattati di alleanza mutarono un poco la situazione, si poterono intervistare alcuni degli ufficiali che avevano avuto un ruolo nei processi; l’età avanzata consentiva loro molti “non so, non ricordo”. Presso gli archivi qualche funzionario si dimostrò collaborativo nella ricerca della verità storica, ma non fu possibile accedere agli atti ufficiali del processo all’Archivio centrale di Vienna prima del 1919.

 

Ora i martiri sono ricordati in un percorso della memoria: le case in cui si riunivano per attuare il loro piano, le carceri che li hanno accolti e il infine al luogo nel quale hanno reso la loro suprema testimonianza.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Giorgio Candeloro, Dalla rivoluzione nazionale all’unità 1849-1860, Feltrinelli, Milano 1966.

Martin Clark, Il Risorgimento italiano. Una storia ancora controversa, Rizzoli, Milano 2001.

Alessandro Luzio, I Martiri di Belfiore e il loro processo, Casa Editrice L.F. Cogliati, Milano 1905-1924. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]