N. 67 - Luglio 2013
(XCVIII)
Le stranezze di Moretti
giudizi sospettosi sulla "Sfinge delle Brigate rosse" - parte I
di Giuseppe Formisano
Molte
volte
in
cui
si
parla
degli
anni
di
piombo,
si
dice
che
alcuni
episodi
che
hanno
costituito
e
caratterizzato
quella
stagione
di
sangue
devono
essere
ancora
chiariti.
Trattare
di
tale
argomento,
quindi,
è
delicato.
Per
fare
storia
con
la
“S”
maiuscola
del
suddetto
periodo
bisogna
stare
molto
attenti
a
non
cadere
nella
dietrologia
con
tutti
i
suoi
aneddoti
tal
volta
anche
affascinanti.
Il
caso
Moro,
quel
coacervo
di
misteri
e
antimisteri
legati
al
rapimento
e
all’assassinio
del
Presidente
della
Democrazia
Cristiana,
rientra
pienamente
in
queste
vicende.
Mario
Moretti,
l’allora
leader
dell’organizzazione
terroristica
che
lo
sequestrò
(egli
stesso,
però
non
vuole
sentir
palare
di
leadership
nelle
BR)
è
sempre
stato
sospettato
di
essere
una
spia,
un
infiltrato,
insomma
un
falso
combattente
comunista.
Tenendo
presente
quanto
detto
sopra,
anche
scrivere
di
Moretti
e
della
sua
presunta
“ambiguità”
può
indurre,
se
si
tratta
l’argomento
con
faciloneria,
a
essere
storicamente
scorretti.
Proviamo,
allora,
a
trattare
del
caso
basandoci
sulla
fonte
orale
di
Alberto
Franceschini,
uno
dei
fondatori
delle
BR
(ricordando,
comunque,
che
non
sempre
una
fonte
orale
è
ritenuta
una
testimonianza
storica).
Franceschini
nel
libro
"Che
cosa
sono
le
BR",
nato
dalle
domande
che
il
giornalista
Giovanni
Fasanella
pone
all’ex
terrorista,
parla
non
poco
di
Moretti
e
delle
sue
«stranezze».
Un
capitolo
del
libro,
infatti,
si
intitola
proprio
"Le
stranezze
di
Moretti".
Lo
studio
di
questo
personaggio
meriterebbe
di
dare
attenzione
anche
a
giudizi
e
opinioni
“opposte”,
diverse
da
quelle
di
Franceschini
che
pur
se
autorevoli,
poiché
pronunciati
da
un
uomo
che
ha
ben
conosciuto
quella
realtà,
non
possono
essere
accettate
come
oro
colato,
verità
inossidabili,
ma
ricordandoci
che
in
queste
parole
potrebbe
esserci
molta
soggettività
che
-
non
necessariamente
in
malafede
-
possono
“inquinare”
i
fatti
e
allontanarli
dalla
verità
storica.
Prima
di
riportare
e
analizzare
i
fatti
di
seguito
raccontati,
è
importante
affermare
che
chi
scrive
non
vuole
assolutamente
difendere
a
spada
tratta
la
tesi
del
Moretti
infiltrato
ma
limitarsi
solo
a
riportare
quanto
ricordato
dal
fondatore
BR.
Franceschini,
reggiano,
nel
corso
delle
pagine
ricostruisce
la
sua
storia
politica
personale
che
l’ha
portato,
con
altri,
a
costituire
le
Brigate
rosse,
corredando
il
tutto
con
proprie
opinioni
e
giudizi.
L’organizzazione
nacque
dal
CPM,
il
Collettivo
Politico
Metropolitano
fondato
da
Renato
Curcio
e
Corrado
Simioni,
un
ex
iscritto
al
PSI
di
Milano
con
Craxi,
che
tenne
nel
novembre
1969
un
convegno
a
Chiavari.
A
questo
gruppo
si
avvicinò
quello
di
Franceschini,
i
ragazzi
dell’“Appartamento”,
come
li
chiamava
il
PCI
a
Reggio
Emilia.
Quelli
dell’Appartamento
e i
personaggi
del
CPM
avevano
all’incirca
la
stessa
concezione
della
politica:
entrambi
volevano
organizzare
la
lotta
armata
perché
convinti
che
questo
strumento
violento
non
fosse
solo
indispensabile
per
realizzare
determinati
progetti
ma
anche
giusto
da
utilizzare,
contrapponendolo
alla
violenza
di
Stato.
Nella
primavera
del
1970
le
discussioni
sul
passaggio
alla
clandestinità
erano
sempre
più
vive
e
contornate
da
serie
intenzioni.
Nel
CPM
c’era
anche
Margherita
“Mara”
Cagol,
moglie
di
Curcio
la
quale
con
questi
e
Franceschini
costituirà
il
trio
originario
delle
BR.
La
donna
faceva
parte
delle
cosiddette
“zie
rosse”,
una
sorte
di
organizzazione
semiclandestina
all’interno
del
CPT
e
concepito
da
Simioni
il
cui
compito
era
quello
di
uscire
dai
cortei
delle
manifestazioni,
«colpire
determinati
obiettivi
(…)
per
alzare
il
livello
di
scontro
nei
cortei»,
e
rientrarvi
mimetizzandosi.
Nove
mesi
dopo
la
strage
di
Piazza
Fontana,
nel
convegno
di
Pecorile,
vicino
Reggio
Emilia,
nell’agosto
del
1970,
avvenne
l’unione
tra
quelli
dell’Appartamento
e il
CPM,
dando
così
vita
al
collettivo
Sinistra
Proletaria.
L’anno
seguente
Franceschini
si
trasferì
a
Milano
prima
da
Curcio
e
Mara
poi
nella
comune
in
cui
viveva
anche
Simioni.
Entrambe
le
organizzazioni,
ormai
unite
-
come
detto
-
volevano
la
lotta
armata
ma
ciò
non
significa
che
non
ci
fossero
divergenze.
Franceschini,
infatti,
racconta
che
lui
(Simioni)
«proponeva
di
colpire
in
alto.
Noi
pensavamo
a
piccoli
atti
di
“giustizia
proletaria”,
legati
alla
realtà
delle
fabbriche
e
alle
lotte
operaie.
Per
lui,
invece,
il
punto
chiave
era
la
lotta
antimperialista,
da
condurre
con
azioni
eclatanti».
La
rottura
arrivò
quando
Simioni
fu
autore
di
alcune
«stranezze»
come
il
tentativo,
rifiutato
da
Franceschini,
di
sottoporlo
a un
questionario
molto
intimo
e
privato
(si
chiedeva
addirittura
se
si
praticasse
la
masturbazione)
con
il
fine
di
creare
una
struttura
clandestina
tutta
sua,
da
egli
gestita
e
controllata.
Ecco
alcune
cose
ritenute
sospettose
dall’ex
terrorista
reggino:
nel
settembre
del
1970
il
collettivo
tenne
una
riunione
in
Liguria,
ospite
di
Savina
Longhi,
presentata
da
Simioni
come
l’ex
segretaria
di
Manlio
Brosio,
ambasciatore italiano
e
dal
1964
al
1971
segretario
generale
della
NATO.
Il
posto
dunque
non
pareva
certamente
adeguato
a
ospitare
aspiranti
terroristi
comunisti.
Simioni
giustificò
il
tutto
dicendo
che
la
donna
era
stata
una
sua
infiltrata
in
quell’ufficio;
l’ex
socialista
non
solo
organizzò
un
attentato
all’ambasciata
americana
ad
Atene
nel
quale
perse
la
vita
una
donna
senza
dir
nulla
agli
altri
compagni,
ma
nel
paese
ellenico
(in
quel
periodo
al
potere
c’era
una
dittatura
fascista)
aveva
dei
soldi
depositati
in
una
cassetta
di
sicurezza.
A
quel
punto
Franceschini,
la
Cagol
e
Curcio
decisero
che
avrebbero
preso
strade
diverse
da
Simioni.
I
due
uomini
e la
donna
chiamavano
l’organizzazione
che
Simioni
voleva
mettere
su
«superclan»,
cioè
superclandestino.
Simioni
fu
seguito
da
varie
persone
tra
cui
Prospero
Gallinari,
anch’egli
reggiano,
l’uomo
ritenuto
il
numero
due
del
sequestro
Moro
e
fidato
di
Moretti.
Paolo
Emilio
Taviani,
partigiano,
antifascista
e
anticomunista,
uno
dei
più
autorevoli
esponenti
della
DC
che
era
a
conoscenza
di
Gladio,
ministro
dell’Interno
dal
1962
al
1968
e di
nuovo
da
1973
al
1974,
ha
rivelato
nel
suo
libro
di
memorie
"Politica
e
memoria
d’uomo"
(Il
Mulino,
Bologna
2002)
cosa
gli
confidò
Dalla
Chiesa,
cioè
che
l’evasione
di
Gallinari
dal
carcere
di
Treviso
del
2
gennaio
1977,
fu
favorita
«con
lo
scopo
di
scovare
Moretti».
È la
teoria
dei
“rami
verdi”;
lasciare
libero
un
pesce
piccolo,
pedinarlo,
tenerlo
d’occhio
perché
prima
o
poi
avrebbe
sicuramente
portato
al
pesce
grosso,
appunto
Moretti.
Gallinarì
dalla
«Sfinge
delle
Brigate
rosse»
(così
Sergio
Flamigni
intitola
il
libro
della
biografia
morettina)
ci
andò
sicuramente,
tanto
che
con
altri
compagni
tenne
Moro
sequestrato
per
quasi
due
mesi.
É
legittimo
domandarsi:
il
piano
per
arrestare
Moretti
dove
andò
a
finire?
«La
fuga
di
Gallinari,
nel
1977,
fu
favorita
-
scrisse
Taviani
-
con
lo
scopo
di
scovare
Moretti».
E
continua,
«Purtroppo
ci
si
accorse
tardi
dell’importanza
del
ruolo
di
Moretti».
È
possibile
trovare
una
risposta
in
questa
frase?
Quale
ruolo
importante,
oltre
a
quello
di
leader
dell’organizzazione,
aveva
Moretti?
Ma
perché
dileguarsi
su
Simioni,
il
CPM,
l’“Appartamento”,
passando
per
Pecorile
se
l’oggetto
principale
è
Mario
Moretti?
Il
futuro
leader
(o
«dirigente»
come
si
definì
in
un’intervista
anni
fa,
rifiutando
di
essere
chiamato
capo
delle
BR),
faceva
parte
della
Sinistra
Proletaria
e si
allontanò
prima
della
rottura
tra
Simioni,
Franceschini,
Curcio
e
Cagol,
accusando
l’organizzazione
di
essere
pavida
e
non
rivoluzionaria.
Nella
primavera
del
1971
si
riavvicinò
al
gruppo
di
Franceschini.
Questi
è
fermamente
convinto
che
il
suo
ritorno
non
fosse
né
casuale
né
spontaneo:
«fu
Simioni
-
dice
-
che
non
aveva
accantonato
il
suo
progetto
di
egemonizzare
il
gruppo,
a
rimandarlo».
Con
il
suo
ritorno
ha
inizio
«l’escalation
della
violenza
brigatista»
e
c’è
il
primo
sequestro
di
persona.
La
vittima
è
Adalgo
Macchiarini,
un
dirigente
della
SitSiemens,
l’azienda
presso
la
quale
lavorava
allora
lo
stesso
Moretti.
Nella
primavera
del
1972
Franceschini
ha
in
mente
di
sequestrare
De
Carolis,
persona
importante
dell’area
più
conservatrice
della
DC.
Il
progetto
non
arriva
a
compimento
grazie
all’intervento
della
polizia
che
arresta
vari
personaggi
tra
cui
Marco
Pisetta,
proveniente
dai
GAP
di
Giangiacomo
Feltrinelli,
morto
tragicamente
proprio
in
quell’anno.
Con
lo
scioglimento
del
gruppo
armato
dell’editore,
Pisetta
chiede
di
entrare
nelle
BR.
Franceschini
è
convinto
che
già
con
i
GAP
fosse
un
infiltrato
e
per
tale
motivo
subito
dopo
il
suo
arresto
iniziò
a
collaborare
con
la
polizia.
In
occasione
del
blitz
che
portò
alla
scoperta
del
covo
nel
quale
sarebbe
stato
tenuto
prigioniero
De
Carolis,
Moretti
commise
un
errore
che
Franceschini
reputa
invece
la
prima
«stranezza».
Scampando
per
poco
all’arresto,
i
compagni
di
Moretti
scoprono
che
questi
non
aveva
distrutto
alcuni
negativi
di
foto
(ritraevano
le
mani
di
Franceschini
e di
un
altro
brigatista
che
puntavano
la
pistola
alla
testa
di
Macchiarini)
scoperti
nel
luogo
che
sarebbe
dovuto
essere
stato
il
covo
di
De
Carolis.
I
negativi
potevano
essere
pericolosi
e
compromettenti
ma
la
polizia
non
arrivò
a
loro,
anzi,
il
mancato
arresto
dei
tre
fondatori
più
Morlacchi
(un
altro
brigatista
coinvolto
nel
sequestro)
e
Moretti,
diede
«l’impressione
che
qualcuno
ci
proteggesse»,
afferma
Franceschini.
Dopo
questa
storia,
Moretti
diventa
un
brigatista
clandestino
perché
era
in
pericolo
di
arresto.
Franceschini
non
si
limita
a
ciò.
Oltre
a
parlare
di
altre
questioni
(come
l’abitazione
di
Moretti,
di
fronte
a
quella
di
Antonino
Allegra,
capo
dell’ufficio
Politico
della
Questura
milanese)
narra
un
fatto
molto
singolare
e
poco
conosciuto
che
tra
i
più
episodi
raccontati
è, a
mio
modestissimo
avviso,
il
più
sorprendente.
Giugno
1973:
il
dirigente
dell’Alfa
di
Arese
Michele
Mincuzzi
entra
nel
mirino
delle
BR.
Il
suo
sequestro
è
un’operazione
gestita
quasi
totalmente
da
Moretti
che
realizza
anche
la
classica
foto
del
prigioniero
con
il
simbolo
dell’organizzazione
su
un
cartello.
Nulla
di
anomalo
se
non
fosse
che
la
stella
delle
BR
non
ha
cinque
punte
ma
sei,
come
quella
di
Davide,
simbolo
dell’ebraismo
e
dello
Stato
d’Israele
«Noi
allora
pensammo
che
Moretti
fosse
un
po’distratto.
Oppure
che,
commettendo
quell’errore,
aveva
voluto
mandare
un
messaggio
a
qualcuno.
Che
cos’altro
dovevamo
pensare?
Molti
anni
dopo,
un
ufficiale
dei
carabinieri
che
ha
speso
la
sua
vita
a
indagare
sul
terrorismo,
mi
ha
detto:
«Moretti
voleva
mandare
un
messaggio
agli
israeliani:
guardate
che
cosa
sono
in
grado
di
fare,
comando
io».
Franceschini
non
fa
cenno
a
chi
fosse
il
carabiniere
che
pronunciò
questa
confidenza
né
fornisce
altri
riferimenti
ma
ciò
che
lascia
ancora
di
più
a
bocca
aperta
è
che
una
risposta
da
Israele,
ci
fu!
Nel
dicembre
dello
stesso
anno,
tramite
Antonio
Bellavita
e
Aldo
Bonomi
del
giornale
“Controinformazione”
che
fiancheggiava
le
BR,
i
servizi
segreti
d’Israele
chiesero
un
contatto
con
i
brigatisti.
Il
messaggio
proveniente
dal
medioriente
era
sostanzialmente
questo:
«Non
vogliamo
dirvi
che
cosa
fare,
a
noi
interessa
solo
che
voi
esistiate,
e
noi
vi
diamo
armi
e
danaro».
L’offerta
fu
rifiutata.
Il
tutto
rimanda
al
“Field
Manual”,
un
documento
americano
top-secret
del
1970
che
vede
i
terrorismi
di
diversi
colori
come
un
ottimo
strumento
da
utilizzare
per
fini
egemonici
e di
equilibri.
Equilibri
di
Guerra
fredda,
ovviamente.
L’importante
documento
definisce
il
terrorismo
un
«fattore
interno
stabilizzante»
profilando
una
nuova
teoria
dell’anticomunismo,
quella
di
«destabilizzare
ai
fini
di
stabilizzare»,
controllando
e
orientando
i
vari
gruppi
eversivi,
pilotandoli
con
l’inserimento
di
infiltrati
nei
loro
“organi”
decisionali.
Il
documento,
dopo
essere
stato
pubblicato
da
un
giornale
turco
e da
uno
spagnolo,
fu
pubblicato
in
Italia
il
27
ottobre
1978
dal
settimanale
“L’Europeo”.
Se
davvero
quanto
previsto
dal
documento
abbia
trovato
attuazione
in
Italia
significherebbe
che
le
BR,
italiane
di
nascita,
abbiano
poi
preso
una
strada
diversa
- o
meglio,
questa
strada
sarebbe
stata
fatta
prendere
- in
direzione
atlantica,
divenendo
strumento
in
mani
americane.
A
Israele
sarebbe
convenuto
avere
un
paese
come
l’Italia
- al
centro
del
mediterraneo,
con
un
forte
partito
comunista
da
controllare
-
instabile.
Gli
USA,
nella
gestione
del
medioriente,
si
sarebbero
affidati
più
ai
sionisti.
Vedi
anche:
LE STRANEZZE DI MORETTI
-
parte
II
Riferimenti
bibliografici:
P.E.
Taviani,
Politica
e
memoria
d’uomo,
Il
Mulino,
Bologna
2002.
G.
Fasanella,
A.
Franceschini,
Che
cosa
sono
le
BR,
BUR,
Milano
2007.