N. 49 - Gennaio 2012
(LXXX)
mario contro silla
alle origini della decadenza della res pubblica
di Paola Scollo
La
contrapposizione
tra
Mario
e
Silla
si
pone
all’inizio
di
quel
processo
storico
che
segna
il
passaggio
dalla
res
publica
al
principato,
dal
potere
assembleare
del
senato
a
quello
di
un
singolo
individuo.
Il
periodo
successivo
al
fallimento
dei
tentativi
dei
Gracchi
di
riformare
la
società
romana
è,
infatti,
segnato
dal
graduale
inasprimento
dei
rapporti
fra
nobiltà
e
senato.
Le
forti
tensioni
determinano
una
vera
e
propria
spaccatura
sociale
tra
ottimati
(optimates),
la
parte
più
conservatrice
della
nobilitas
che
gode
della
maggioranza
in
senato,
e
popolari
(populares),
espressione
degli
interessi
dei
cavalieri,
dei
proletari
e
degli
Italici.
Sul
fronte
della
politica
estera
la
situazione
si
presenta
poi
estremamente
complessa.
Motivo
di
forte
preoccupazione
è la
Numidia,
laddove
Giugurta,
fatti
uccidere
i
legittimi
eredi
al
trono,
conquista
il
potere.
Nel
112
a.C.
il
senato
di
Roma
è
dunque
costretto
a
dichiarare
guerra.
Dopo
un
primo
fallimentare
esito
della
spedizione,
da
Roma
viene
inviato
un
esponente
della
nobilitas,
Quinto
Cecilio
Metello,
che
riesce
a
riportare
una
significativa
vittoria
su
Giugurta.
La
guerra
si
conclude,
tuttavia,
soltanto
nel
107
a.C.,
in
seguito
all’elezione
del
console
Caio
Mario.
Questo
è
per
lui
soltanto
il
primo
di
una
cospicua
serie
di
successi.
Nato
ad
Arpino
da
famiglia
benestante,
Mario
non
può
vantare
nobili
antenati.
La
sua
carriera
è,
pertanto,
legata
alle
straordinarie
capacità
personali
e
militari,
oltre
che
all’appoggio
politico
dei
Cecilii
Metelli,
grazie
ai
quali
accede
alla
classe
senatoria,
alla
questura,
al
tribunato
e
alla
pretura.
Proconsole
in
Spagna,
nel
109
Mario
è
legato
di
Metello
in
Numidia
nella
guerra
contro
Giugurta.
Proprio
in
questo
contesto,
matura
l’idea
di
candidarsi
al
consolato,
venendo
così
in
contrasto
con
i
Metelli.
Mario
viene
eletto
console
per
la
prima
volta
nel
107;
la
carica
gli
viene
confermata
dai
comizi
centuriati
e
non
dal
senato
per
sei
anni
di
seguito.
In
questo
modo,
diviene
sempre
più
caro
ai
populares.
Durante
il
secondo
consolato,
Mario
ottiene
il
comando
della
spedizione
contro
Cimbri
e
Teutoni.
Si
tratta
dell’ennesimo
trionfo.
Dapprima,
sconfigge
i
Teutoni
alle
Aquae
Sextiae,
poi
i
Cimbri
ai
Campi
Raudii,
presso
Vercelli,
nel
101.
Intanto,
la
situazione
a
Roma
rimane
incerta.
Di
lì a
poco
scoppia,
infatti,
la
cosiddetta
“guerra
sociale”,
un
conflitto
tra
Roma
e i
suoi
ex
alleati,
i
socii
italici.
Il
conflitto,
che
si
protrae
per
diversi
anni,
è
sospeso
solo
quando
il
senato
di
Roma
comincia
a
estendere
la
cittadinanza
a
Latini,
Umbri
ed
Etruschi,
ossia
a
quelle
popolazioni
che
non
hanno
preso
parte
agli
scontri.
La
fine
della
guerra
è
dovuta
alla
violenta
repressione
a
opera
del
console
Lucio
Cornelio
Silla,
personaggio
che
comincia
a
emergere
sulla
scena
politica.
L’occasione
propizia
giunge
per
Silla
molto
presto.
Nuove
minacciose
nubi,
infatti,
si
addensano
all’orizzonte
dell’Urbe.
Nell’88
il
re
del
Ponto,
Mitridate
VI
Eupatore,
invade
la
provincia
romana
d’Asia
e il
senato
decide
di
affidare
il
comando
della
spedizione
al
luogotenente
di
Mario,
Lucio
Cornelio
Silla,
governatore
della
provincia.
Pensando
che
questa
scelta
avrebbe
comportato
un
esclusivo
vantaggio
per
gli
optimates,
cavalieri
e
popolari
riescono
ad
affidare
il
comando
all’anziano
ma
esperto
generale
Mario,
che
conosce
il
sovrano
e
che
gode
dell’appoggio
dei
populares.
Da
parte
sua,
Silla
non
accetta
la
revoca.
In
breve
tempo,
muove
il
suo
esercito
verso
Roma
e
ottiene
dal
senato
la
messa
al
bando
di
Mario,
che
riesce
a
fuggire.
Silla
può
tranquillamente
volgersi
alla
guerra
contro
Mitridate
in
Asia
Minore.
Tuttavia,
Mario
non
si
arrende:
sbarca
in
Etruria
e,
radunato
un
esercito
di
volontari,
insieme
a
Cinna
occupa
Ostia,
il
Gianicolo
e fa
il
suo
ingresso
a
Roma.
Il
1°
gennaio
dell’86
Mario
e
Cinna
assumono
insieme
il
consolato:
nell’Urbe
prende
il
sopravvento
il
partito
dei
populares.
Il
17
gennaio
dello
stesso
anno
Mario
muore
a
causa
di
una
pleurite.
I
disordini
riprendono
quando
a
Roma
giunge
la
notizia
del
ritorno
di
Silla
dalla
vittoriosa
spedizione
in
Asia.
Il
governo,
in
mano
ai
populares
guidati
da
Mario
il
Giovane,
figlio
di
Mario,
lo
dichiara
nemico
pubblico
(hostis).
Per
due
anni,
a
partire
dall’estate
dell’83
fino
alla
primavera/
estate
dell’82,
tutta
l’Italia
è
teatro
di
una
violentissima
guerra
civile
tra
i
sostenitori
di
Mario
e
quelli
di
Silla.
Nell’82
Silla
sconfigge
definitivamente
le
truppe
di
Mario
nella
celebre
battaglia
della
Porta
Collina
presso
Roma.
Sul
punto
di
essere
catturato,
Mario
sceglie
di
darsi
la
morte
ma,
prima
di
spirare,
detta
il
suo
epitaffio:
«Nessun
amico
mi
ha
reso
servigio,
nessun
amico
mi
ha
recato
offesa,
che
io
non
abbia
ripagati
in
pieno».
Quando
Silla
conquista
il
potere,
i
populares,
dispersi
e
privi
di
una
guida,
non
sono
più
in
grado
di
imporsi.
Ha
così
inizio
il
terribile
periodo
delle
proscrizioni.
Stando
al
racconto
di
Plutarco,
«le
proscrizioni
non
riguardavano
solo
Roma,
ma
tutte
le
città
d’Italia:
non
c’era
tempio
di
un
dio,
focolare
di
un
ospite
o
casa
paterna,
che
non
fossero
contaminati
dalle
uccisioni,
ma
si
scannavano
i
mariti
accanto
alle
mogli,
i
figli
accanto
alle
madri»
(XXXI
5 -
9).
Al
di
là
delle
stragi,
ogni
iniziativa
di
Silla
è
per
i
Romani
fonte
di
dolore.
Silla
si
fa
eleggere
dictator
allo
scopo
di
riformare
lo
stato
ma,
di
fatto,
diviene
padrone
assoluto
di
Roma.
Esercita
un
potere
sconfinato:
è a
capo
dell’esercito,
del
senato
e di
tutte
le
autorità,
ha
diritto
di
vita
e di
morte,
ha
potere
di
legiferare,
di
confiscare,
fondare
colonie
o
distruggerle,
di
sottrarre
o
attribuire
regni.
Infine,
priva
i
tribuni
della
plebe
del
diritto
di
veto
e
del
diritto
di
presentare
liberamente
proposte
di
legge
ai
comizi
centuriati.
Mantenendo
solo
formalmente
il
rispetto
delle
leggi,
Silla
è il
primo
a
porsi
a
capo
di
una
dittatura
politica,
non
militare.
Estremamente
fiducioso
nelle
proprie
capacità,
ordina
che
gli
venga
conferito
l’appellativo
di
Fortunato,
equivalente
per
significato
a
Felix,
e
sceglie
di
chiamare
i
gemelli,
avuti
da
Metella,
Fausto
e
Fausta,
in
quanto
i
Romani
definiscono
faustum
ciò
che
è
favorevole
e
propizio.
Protagonisti
della
scena
politica
all’epoca
della
decadenza
della
res
publica,
Mario
e
Silla
sono
due
personaggi
straordinari
ed
eccezionali,
sotto
ogni
punto
di
vista.
Personaggi
unici
e
irripetibili,
come
tutto
ciò
che
appartiene
alla
storia.
Su
Mario
e
Silla
la
tradizione
ci
ha
consegnato
memorabili
racconti
e
descrizioni.
Plutarco,
ad
esempio,
li
sceglie
come
protagonisti
delle
Vite,
mentre
Sallustio
ne
delinea
il
profilo
fisico
e
spirituale
nel
Bellum
Iugurthinum.
Cerchiamo
dunque
di
analizzare
queste
personalità
così
antitetiche
a
partire
dalle
testimonianze
letterarie
in
nostro
possesso.
Mario
è, a
tutti
gli
effetti,
un
homo
novus:
non
può
vantare
una
vetustas
familiae,
ovvero
nobili
natali,
per
cui
deve
trovare
dentro
di
sé,
nel
suo
modus
vivendi,
i
punti
di
forza
per
eccellere
e
distinguersi
dalla
superbia
della
nobilitas.
Sin
dall’adolescenza,
esercita
(sese
exercuit)
la
propria
personalità
attraverso
le
bonae
artes,
facendo
proprie
le
priscae
virtutes
che
hanno
determinato
la
grandezza
di
Roma
nel
passato:
la
severitas
dei
costumi,
l’industria,
la
duritia,
la
parsimonia,
la
patientia,
il
rifiuto
della
cultura
e
dell’eloquenza
greca
e,
soprattutto,
delle
urbanae
munditiae.
Mario
incarna
pienamente
l’ideale
catoniano
ispirato
a
morigeratezza,
laboriosità,
integrità,
rifiuto
dei
piaceri
mondani.
In
sintesi,
il
leader
dei
populares
è
simbolo
della
virtus
che
non
deriva
dal
genus.
Tuttavia,
come
precisa
sempre
Sallustio,
tali
virtù
vengono
ad
essere
attenuate
dall’irrefrenabile
avidità
di
gloria,
dall’ambizione
di
giungere
al
consolato.
Ed è
proprio
questa
vana
gloria
che
ne
determina,
successivamente,
la
caduta.
Veniamo
ora
a
Silla.
Silla
è un
aristocratico:
discende
dalla
gens
Cornelia,
una
famiglia
patrizia
caduta
in
rovina.
Come
osserva,
infatti,
Plutarco:
«I
suoi
discendenti
mantennero
sempre
un
tenore
di
vita
dimesso
e lo
stesso
Silla
fu
allevato
in
una
situazione
patrimoniale
tutt’altro
che
florida.
Nella
sua
prima
giovinezza
abitava
in
una
casa
in
affitto,
pagando
una
pigione
modesta,
come
gli
veniva
rinfacciato
in
seguito,
quando
la
sua
agiatezza
appariva
ingiustificata»
(Sull.
I 2
-
3).
Secondo
Sallustio,
Silla
«fu
profondo
conoscitore
del
latino
e
del
greco;
uomo
di
animo
grande,
assetato
di
piaceri,
ma
ancor
più
di
gloria,
dissoluto
nell’ozio;
tuttavia,
il
piacere
non
lo
distolse
mai
dai
suoi
impegni,
anche
se,
nei
rapporti
coniugali,
avrebbe
potuto
comportarsi
in
modo
più
decoroso.
Eloquente,
astuto,
affabile
con
gli
amici,
dotato
di
una
incredibile
capacità
di
simulare
e
dissimulare
i
suoi
piani
(ad
simulanda
negotia),
generoso
per
molti
aspetti,
ma
soprattutto
quanto
al
denaro.
Sebbene
egli
sia
stato
il
più
favorito
dalla
fortuna
prima
della
vittoria
nella
guerra
civile,
la
fortuna
non
superò
mai
i
suoi
meriti;
molti
si
sono
chiesti
se
egli
sia
stato
più
valoroso
o
più
fortunato;
infatti,
riguardo
a
quello
che
fece
dopo,
non
so
se
il
parlarne
susciti
più
vergogna
o
repulsione»
(Iug.
XCV
3 -
4).
A
differenza
di
Mario,
Silla
è un
uomo
colto,
istruito
nella
letteratura
greca
e
latina,
ed
è,
soprattutto,
amante
dei
piaceri.
Di
conseguenza,
intraprende
tardi
la
carriera
politica,
all’età
di
trent’anni,
quando
ritrova
una
certa
agiatezza
grazie
all’eredità
di
due
donne,
l’amante
Nicopoli
e la
matrigna.
Divenuto
questore
nel
108
a.C.,
si
reca
in
Africa
agli
ordini
di
Mario,
mostrando
già
le
doti
dell’ottimo
comandante
militare:
«Arrivato
all’accampamento
di
Mario
con
la
cavalleria,
pur
essendo
inesperto
e
ignaro
dell’arte
militare,
in
breve
tempo
divenne
il
più
capace.
Inoltre,
era
amichevole
con
i
soldati,
concedeva
favori
ai
molti
che
glieli
chiedevano,
ad
altri
li
accordava
spontaneamente,
li
riceveva
contro
voglia,
ma
li
ripagava
più
in
fretta
dei
debiti,
senza
chiedere
a
nessuno
nulla
in
cambio;
si
impegnava,
piuttosto,
perché
il
maggior
numero
possibile
di
persone
fosse
in
debito
con
lui;
trattava
scherzosamente
e
seriamente
con
i
più
simili;
era
sempre
presente
ai
lavori,
durante
la
marcia
e
nei
turni
di
guardia
e,
nel
frattempo,
non
offendeva
la
reputazione
del
console
o di
qualunque
altra
persona
in
vista,
come
è
invece
tipico
della
cattiva
ambizione;
soltanto
non
tollerava
che
qualcuno
lo
superasse
per
intelligenza
o
prontezza
ed
eccelleva
lui
stesso
sui
più.
Con
questo
comportamento
e
queste
doti,
in
breve
tempo
divenne
carissimo
a
Mario
e ai
soldati»
(Iug.
XCVI
1 -
3).
Secondo
Plutarco,
Silla
in
campo
si
mette
in
luce
in
ogni
occasione
e,
in
particolare,
la
vittoria
su
Giugurta
è
motivo
di
orgoglio.
Narra,
infatti,
il
biografo
(Sull.
III
8):
«Lo
stesso
Silla,
che
era
di
carattere
orgoglioso
e
che
da
un’esistenza
umile
o
oscura
godeva
allora,
per
la
prima
volta,
d’una
certa
considerazione
agli
occhi
dei
cittadini
e
gustava
il
piacere
d’essere
onorato,
spinse
la
sua
ambizione
al
punto
che
fece
incidere
la
scena
su
un
anello,
che
poi
portava
sempre
al
dito,
e
finché
visse
lo
usò
come
sigillo.
Vi
si
vedeva
Bacco
nell’atto
di
consegnarli
Giugurta
e
Silla
che
lo
faceva
prigioniero».
Ben
presto
Silla
si
rende
conto
che
i
suoi
successi
sono
malvisti
da
Mario,
«che
non
gli
offriva
più
volentieri
l’occasione
di
agire
e
anzi
ne
ostacolava
l’ascesa».
Di
qui
la
scelta
di
allearsi
con
il
collega
di
Mario,
Catulo,
«uomo
integerrimo,
ma
poco
vocato
alla
guerra».
Catulo
affida
a
Silla
gli
incarichi
più
importanti
e
delicati,
sicché
«la
sua
influenza
cresceva
di
pari
passo
con
la
fama».
A
differenza
di
Mario,
Silla
sembra
essere
destinato
a
regnare.
A
tal
proposito,
Plutarco
riferisce
che
«un
Caldeo,
che
faceva
parte
del
seguito
di
Orobazo,
dopo
aver
osservato
il
volto
di
Silla
e
averne
studiato
con
cura
i
movimenti
della
mente
e
del
corpo,
ne
esaminò
la
natura
alla
luce
dei
principi
della
sua
arte
e
concluse
che
era
inevitabile
che
quell’uomo
divenisse
grandissimo
e
che
si
stupiva
che
in
quel
momento
accettasse
di
non
essere
il
primo
fra
tutti»
(Sull.
V
11).
Occorre
comunque
sottolineare
che,
nell’immagine
di
Plutarco,
il
fatto
che
Silla
«sia
divenuto
primo
(protos)
in
uno
Stato
così
degenerato
non
prova
affatto
che
fosse
il
migliore».
Anzi,
per
il
biografo
Silla
diviene
exemplum
crudelitatis:
spinto
da
gelosia
e da
odio,
è
spietato
sia
con
i
nemici
sia
con
gli
amici.
Il
suo
atteggiamento,
specie
in
seguito
all’eliminazione
degli
amici
più
cari,
genera
orrore
e
paura.
Inoltre,
«la
passione
per
i
piaceri
e le
ricchezze
dimostra
che
Silla
si
comporta
da
tiranno:
né
da
giovane
modera
i
suoi
vizi
a
causa
della
povertà,
né
lo
fa,
divenuto
vecchio,
a
causa
dell’età,
ma
promulga
leggi
sul
matrimonio
e
sulla
temperanza
per
i
suoi
concittadini,
mentre
personalmente
si
abbandona
agli
amori
e
agli
adulteri,
come
dice
Sallustio».
Solo
per
quanto
riguarda
le
azioni
belliche,
Silla
sfugge
a
ogni
genere
di
confronto:
«Non
è
agevole
-scrive
Plutarco-
calcolare
quante
furono
le
sue
vittorie
in
battaglia
campale
e
quante
decine
di
migliaia
di
nemici
abbia
abbattuto»
(Sull.
V 1
-
6).
Nella
personalità
di
Silla
si
uniscono
e
ben
si
saldano
sia
i
vitia
della
nobilitas,
quali
cupiditas,
ignavia,
luxuria
e
dissimulatio,
sia
le
virtutes
militari
quali
coraggio,
generosità,
intraprendenza.
In
Silla
troviamo
tutti
i
comportamenti
aborriti
da
Mario,
primo
fra
tutti
l’amore
per
il
piacere
(philoedonía).
Non
sorprende
dunque
che
proprio
questo
personaggio
così
complesso,
insuperabile
sia
nel
compiere
il
bene
sia
nel
compiere
il
male,
sia
divenuto
espressione
della
decadenza
della
nobilitas
e,
in
qualche
modo,
della
res
publica
stessa.
Riferimenti
bibliografici:
H.
Bengtson,
Einführung
in
die
alte
Geschichte,
München
1977,
trad.
it.
Bologna
1990.
H.
Bengtson,
Griechische
Geschichte:
von
den
Anfängen
bis
in
die
römische
Kaiserzeit,
München
1977,
trad.
it.
Bologna
1989.
M.G.
Bertinelli,
M.
Manfredini,
L.
Piccirilli,
G.
Pisani
(ed.),
Plutarco,
Le
vite
di
Lisandro
e di
Silla,
Milano
1997.
T.
E.
Duff,
Plutarch’s
Lives,
Exploring
Virtue
and
Vice,
Oxford
1999.
A.
La
Penna,
Sallustio
e la
“rivoluzione”
romana,
Milano
19733.
A.
La
Penna,
Il
ritratto
«paradossale»
da
Silla
a
Petronio,
«RIFC»
104
(1976),
270
-
293.
A.
La
Penna,
Ancora
sul
ritratto
«paradossale»,
«RIFC»
NS 7
(1980),
244
-
250.
M.
Le
Glay,
J.-L.
Voisin,
Y.
Le
Bohec,
Histoire
romaine,
trad.
it.
Bologna
2002.
G.
Lipparini
(ed.),
C.
Sallustio
Crispo,
La
congiura
di
Catilina,
La
guerra
giugurtina,
Orazioni
e
Lettere,
Bologna
1987.
C.B.R.
Pelling,
Plutarch’s
Methods
of
work
in
the
Roman
Lives,
«The
Journal
of
Hellenic
Studies»
XCIX
(1979),
74 -
96.
C.B.R.
Pelling,
Plutarch:
Roman
Heroes
and
Greek
culture,
in
M.
Griffin,
J.
Barnes,
Philosophia
Togata,
Oxford
1989,
199ss.
K.
Ziegler,
Plutarch
von
Chaironeia,
in
RE
XXI
Stuttgart
1951,
trad.
it.
Brescia
1965.