SUL C.A.M.E.N.
QUANDO LA MARINA ITALIANA EBBE
L’AMBIZIONE DEL NUCLEAR
di Davide Sansò
Per oltre un ventennio nella
località di San Piero a Grado, una
frazione di Pisa a metà strada tra
la città e la costa del Tirreno,
sorse quello che ufficialmente
veniva indicato come un reattore di
ricerca. Siamo a metà degli anni
’50, e il momento storico merita una
piccola riflessione: l'Italia si
trovava sulla linea del fronte tra
Nato e Patto di Varsavia, e lo
scontro silente tra le due
superpotenze nucleari, ovvero Stati
Uniti e Unione Sovietica, era
all’apice; pertanto era necessario
comprendere appieno quali fossero le
intenzioni politicho-strategiche di
ogni Paese alleato.
Tuttavia si trattava di un reattore
a uso civile ed esportabile in
Italia nello spirito della
Conferenza di Ginevra del 1955, con
possibili sviluppi di carattere
militare. E fu proprio per
quest’ultimo motivo, che nel 1958 il
Ministero della Difesa lo acquistò
dal Comitato Nazionale per le
Ricerche Nucleari.
Le limitate conoscenze nel settore
indussero a costituire un centro di
studio e di sperimentazione,
avvalendosi anche dell’esperienza e
della capacità dei docenti
universitari pisani. Fu così che nel
1956 nasce, all’interno del
comprensorio dell’Accademia Navale
di Livorno, il C.A.M.E.N. (Centro
per le Applicazioni Militari
dell’Energia Nucleare) segnalato da
una targa di bronzo affissa alla
parete e simboleggiato da uno scudo
medioevale con al centro un atomo
stilizzato e sulla corona la
scritta: C.A.M.E.N.
Il personale operante all’interno
della struttura era sia militare che
civile, e a tal proposito è
necessario menzionale il Prof. Tito
Franzini, che fu il direttore del
gruppo dei fisici che si occuparono
dei progetti e degli sviluppi
tecnologici in ambito militare
all’interno della struttura.
Una stretta collaborazione fu
inoltre stabilita con l’Istituto di
Ingegneria Nucleare, allora diretto
dal Prof. Lucio Lazzarino. Infatti,
in quegli anni, diversi corsi di
specializzazione in Ingegneria
nucleare organizzati dall’Università
di Pisa furono tenuti presso il
Centro. La disponibilità di una
attrezzatura così particolare e così
rara, almeno per il nostro Paese,
diede l’impulso per ricerche
sull’applicazione dell’energia
nucleare anche in altri settori,
come quello medico e biologico.
Oltre all’allestimento presso il
Centro, di laboratori specializzati
per la radioprotezione e per lo
studio degli effetti delle
radiazioni ionizzanti su cellule e
tessuti viventi, furono organizzati
anche corsi di Medicina nucleare
presso la Clinica Medica
dell’Università di Pisa.
Sempre all’interno del Centro vi era
un simulatore di onda d'urto: si
trattava di un cannone lungo dieci
metri con una bocca di fuoco da
settanta centimetri, esso testava su
mezzi e materiali gli effetti di
un'eventuale esplosione nucleare. Al
centro vi era uno spiazzo, detto
poligono, attrezzato per simulare il
fall-out radioattivo sui carri
armati, oltre a un laboratorio di
radio patologia, che compiva
esperimenti su cavie e primati per
valutare gli effetti sanitari di una
guerra nucleare.
Nello specifico il Centro era
composto di tre divisioni nucleari
così suddivise:
- la Divisione Difesa, costituita
dalla Sezione Metrologia delle
Radiazioni Ionizzanti e dalla
Sezione Sperimentazioni R-N;
- la Divisione Protezione
Ambientale, costituita dalle Sezioni
Fisica Sanitaria, Igiene delle
Radiazioni, Controlli Radiometrici e
Studi ed Emergenze R-N;
- la Divisione Reattore, costituita
dalle Sezioni Reattore,
Radioprotezione Impianti e Gestione
Rifiuti Radioattivi e
Decontaminazione.
Le tre divisioni “nucleari”, oltre a
partecipare stabilmente a gruppi di
lavoro costituiti in seno all’UNICHIM,
UNICEN ed ENEA, fornirono consulenza
legislativa e tecnica rappresentando
il Ministero della Difesa presso
Enti interministeriali; esse ebbero
anche funzioni di consulenza
concernenti argomenti riguardanti la
protezione dai rischi derivanti
dalle radiazioni ionizzanti o lo
smaltimento di rifiuti radioattivi.
In tutti questi laboratori si
insediarono gruppi di ricerca di
grandi enti come Eni Agip Nucleare,
CNR, CNEN e industrie come FIAT,
MONTEDISON, ENEL – CISE e, oltre al
personale accademico dell’Università
di Pisa, altri ancora provenienti
dalle Università di Pavia, Bologna,
Siena, Parma e Torino.
Il reattore in dotazione era un
reattore sperimentale RTS-1 fornito
dalla ditta americana Babcok& Wilcox
del tipo “swimming pool”, della
potenza di 5 megawatt, a cui
corrispondeva un flusso di neutroni
temici di circa 3x10 alla 13
neutroni/centimetro
quadrato/secondo.
Il contenitore del reattore era
costituito da una piscina in
calcestruzzo baritico lunga 22 metri
e profonda 9 metri, alla cui sommità
vi erano le strutture per abbassare
e operare sul reattore. Il core era
composto da 21 elementi dei quali 19
contenenti uranio -235 e 4 barre di
controllo.
Il reattore RTS-1 era stato
progettato per prove di schermatura,
per prove di irradiazione su
materiali strutturali, misure di
parametri nucleari, produzione di
radioisotopi, etc.
La prima criticità avvenne il 4
aprile 1963 e la massima potenza fu
raggiunta il 14 febbraio 1966;
l’inizio dell’attività continuativa
(24 ore su 24), avvenne il 3 aprile
1967 e proseguì ininterrottamente,
salvo le interruzioni periodiche per
la manutenzione previste dal
Regolamento di Esercizio, fino al 7
marzo 1980 quando il reattore fu
definitivamente spento.
Vista aerea del reattore
Targa identificativa del reattore
RTS-1
La Marina Militare Italiana si
interessò seriamente su un possibile
impiego dell’energia nucleare nel
campo della propulsione navale, sia
di superficie che subacquea, impiego
che necessitava dello sforzo di un
Paese intero; e a tal proposito si
rimandano le parole che furono
pronunciate, qualche anno dopo
l’avvio del progetto dall’allora
Ministro della Difesa Giulio
Andreotti, che alla Camera dei
Deputati nel settembre 1963
dichiarò: «La costruzione del
sommergibile atomico resta
l'obiettivo finale a cui tutti
dobbiamo cooperare».
Il progetto ebbe inizio il 16 giugno
1957, con la costruzione del primo
anello di scafo del sommergibile
"Guglielmo Marconi", presso i
Cantieri Navali di Taranto, quale
costruzione n. 170; ma solo due anni
dopo, nel mese di Luglio 1959, il
Ministro della Difesa Giulio
Andreotti annuncia l'approvazione
del governo per il progetto
dell'S-521 “Guglielmo Marconi”, un
sommergibile nucleare da attacco
(SSN), quindi senza missili
balistici, ma questo portò a un
passo indispensabile per la
successiva costruzione di veri SSBN.
La propulsione doveva essere
affidata a un impianto nucleare ad
acqua pressurizzata da 30 MW di
potenza termica, derivato dal
modello S5W della Westinghouse e
studiato dal CAMEN, che alimentava
due turbine (alta e bassa pressione)
accoppiate a un diruttore. La
potenza massima erogata sull'unico
asse con elica a 5 pale era di
15.000 cavalli, cui doveva
corrispondere una velocità massima
continuativa di 30 nodi.
Fotografia dalla “Rassegna e
Bollettino di Statistica del Comune
di Taranto” di Novembre-Dicembre
1957,
che testimonia l'avvenuta
impostazione, il 16 giugno 1957, del
primo anello di scafo
del sommergibile "Guglielmo
Marconi", presso i Cantieri Navali
di Taranto.
La classe Marconi della Marina
Militare Italiana doveva essere
composta da due unità sottomarine d'attaccoa
propulsione nucleare: la prima delle
quali battezzata "Guglielmo Marconi"
la seconda "Enrico Toti", anche se
il nome della seconda unità non fu
confermato, costruite entrambe
presso Italcantieri (l’odierna
Fincantieri).
Avvalendosi anche delle esperienze
compiute dagli Statunitensi con il
sottomarino sperimentale "Albacore",
era stato progettato un sottomarino
d'attacco a propulsione nucleare,
che avrebbe dovuto avere un
dislocamento in immersione di 3.400
tonnellate e una velocità massima in
immersione di 30 nodi. La carena si
presentava come un solido di
riduzione (serie 58), che permetteva
lo sviluppo di elevate velocità in
immersione. La manovrabilità sarebbe
stata assicurata da superfici di
governo poppiere cruciformi (timoni
orizzontali e verticali), mentre i
timoni orizzontali di prora erano
posizionati sulla falsatorre allo
scopo di migliorare le prestazioni
di sensori elettroacustici.
Quattro paratie stagne delimitavano
il locale siluri (6 tubi da 533 su
due file orizzontali da 3 con 30
armi di riserva), il compartimento
destinato al controllo dell'unità e
ai locali di vita (su 4 livelli), il
compartimento reattore, il
compartimento dell'impianto di
distribuzione dell'energia elettrica
e del sottostante gruppo
diesel-generatore di emergenza, e,
infine, il compartimento del gruppo
propulsore e i due gruppi
turbo-alternatori con una potenza
unitaria di 1.800 kW.
La “bocca di fuoco” era costituita
da ben sei tubi di lancio, oltre al
progetto mai sviluppato
definitivamente (si trattava di soli
disegni e schemi) del missile
balistico Alfa: milleseicento
chilometri di gittata, l'equivalente
italiano del missile Polaris della
US NAVY, il tutto con una
peculiarità che avrebbe sicuramente
trasformato la capacità operativa
della Marina Militare Italiana di
quel periodo, ovvero dodicimila ore
di autonomia in immersione.
Fu pertanto necessario,per la
realizzazione del progetto, la
collaborazione degli Stati Uniti
d'America che, però, nel Luglio del
1963 rifiutarono di soddisfare le
richieste italiane e quindi di
fornire uranio e assistenza tecnica;
sulla base di una legge che vietava
il trasferimento all'estero di
conoscenze e tecnologie nucleari
utilizzabili a fini militari, e ad
altri impedimenti non molto chiari
di carattere politico. Il progetto
venne quindi bloccato e infine
abbandonato.
A tal proposito, è opportuno
ricordare che vi era anche una
“guerra strategica" tra le due super
potenze dell’epoca, e un possibile
trasferimento di tecnologia
strategica all’Unione Sovietica
tramite l’Italia era un errore da
non potersi permettere da parte
degli statunitensi; inoltre per lo
sviluppo del progetto era prevista
una spesa di trenta miliardi di lire
dell’epoca, cifra che rendeva
utopistico il proseguimento del
progetto, date le difficoltà di
bilancio delle FFAA.
DATI TECNICI:
- costruttore: Italcantieri
- ordine: luglio 1959
- dislocamento in emersione: 2.300 t
- dislocamento in immersione: 3.400
t
- lunghezza: 83 m
- larghezza diametro: 9,55 m
- propulsione: 1 reattore nucleare
CAMEN (derivato dal Westinghouse
S5W) da 30 MW di potenza termica
e15.000 hp, un’elica a 5 pale
- velocità: 30 nodi
- armamento: siluri: 6 tubi da 533
su due file orizzontali da 3 con 30
siluri complessivi.
A oggi sono presenti due
riproduzioni, uno presso palazzo
Marina a Roma e l'altro presso la
caserma “Scirè” di La Spezia.
Nella foto in alto si può notare lo
schema del sommergibile S251
“Guglielmo Marconi,
in basso il modellino presente
presso la caserma “Scirè” di La
Spezia.
Agli inizi degli anni Ottanta, un
riesame da parte del Ministero della
Difesa delle esigenze nucleari delle
Forze Armate porta alla
determinazione di ridurre l’impegno
in questo settore e quindi di
bloccare di fatto l’attività
principale del Centro.
Vengono quindi avviati studi per
l’individuazione di nuove potenziali
attività tecniche di interesse del
Ministero della Difesa, verso le
quali riconvertire il Centro. Dopo
una laboriosa gestazione, il 13
luglio 1985 un apposito decreto del
Ministero Difesa sancisce la nascita
del C.R.E.S.A.M. (Centro Ricerche,
Esperienze e Studi per Applicazioni
Militari).
Il nuovo Centro, posto alle
dipendenze del Capo di Stato
Maggiore della Difesa, amplia la sua
sfera di interesse verso nuovi
settori: quali la Compatibilità
Elettromagnetica, l’Optoelettronica
e la Diagnostica dei Materiali; pur
continuando a operare nel campo
della Sicurezza e della Difesa
Nucleare. È da ricordare l’impegno
del Centro durante la tragedia di
Chernobyl, che lo pone come punto di
riferimento nazionale per la
Protezione Civile.
Il 28 aprile 1994, con Decreto del
Ministro della Difesa, viene quindi
istituito il C.I.S.A.M. (Centro
Interforze Studi per le Applicazioni
Militari), ente di supporto per le
Forze Operative, sempre alle
dipendenze del Capo di Stato
Maggiore della Difesa. Il 20 gennaio
1998, infine, con il Decreto
Ministeriale il C.I.S.A.M. passa
alle dipendenze del Capo di Stato
Maggiore della Marina.
Interessante per comprendere al
meglio quello che fu il progetto del
C.A.M.E.N. per il personale operante
è sicuramente il libro redatto dal
Cav. Amerigo Vaglini, operatore del
reattore RTS-1, e una menzione
speciale merita la descrizione
dell’ultima accensione effettuata
prima della dismissione definitiva,
riporto di seguito un estratto
tratto proprio dal suo libro Il
nucleare a Pisa” edito nel 2009:
«Il tozzo cilindro dell'edificio di
contenimento spuntava appena sopra
le cime dei pini. Sul fianco
svettava il camino, l'unica uscita
dell'aria contenuta all'interno. Tra
le nubi si aprì un varco e il sole
fioco illuminò la facciata a
mattoncini blu del basamento
quadrato. La pioggia discontinua
minacciava tempesta e bagnava la
tesa del cappello e i fregi sulle
spalline dell'ufficiale che
camminava solitario lungo il viale.
Era solo capitano di vascello, ma
era il più alto in grado del centro.
I suoi predecessori erano stati
tutti generali o ammiragli. Il
personale aveva afferrato
immediatamente il senso di
quell'avvicendamento e non l'aveva
presa bene. Le guardie sotto la
tettoia d'ingresso scattarono
sull'attenti quando lo videro
attraversare il piazzale.
L'ufficiale, scuro in volto, passò
senza degnarli.
All'interno si lasciò ispezionare
con il contatore Geiger, le norme di
sicurezza lo imponevano anche in
entrata. Salì la scala metallica,
attraversando i piani come i ponti
di una nave fino al vestibolo del
vano piscina. La porta si richiuse
alle sue spalle e rimase per alcuni
secondi nella camera di
decompressione. Nelle orecchie sentì
un lieve fastidio finché la porta
successiva si aprì con un sibilo. La
sala vasche gli ricordava la cupola
di una cattedrale. Le pareti azzurre
circolari, il tetto bombato e
tutt'intorno il ballatoio del
corridoio visitatori. Al centro la
piscina. Ventidue metri di lunghezza
e nove di profondità. Poteva
contenere un palazzo di tre piani.
Una delle due estremità si allargava
in una forma arrotondata e sopra
poggiava immobile il carroponte. Sul
corrimano un salvagente con la
scritta "Galileo Galilei", come se
fosse una nave e qualcuno potesse
veramente cadere in acqua.
L'ufficiale non ne aveva mai colto
l'involontaria ironia.
Percorse il pavimento di linoleum
rosso fino alla cabina di comando,
una struttura di metallo e vetro che
si affacciava sulla piscina. Il
capoturno, in camice bianco, salutò
l'ufficiale superiore. Avrà avuto
meno di trent'anni. Capelli corti
sulla nuca e scriminatura come
tagliata con il bisturi.
"Siamo pronti", esclamò il giovane
ufficiale.
Due pareti erano coperte di
strumentazione. Quadranti a
lancette, spie luminose, pulsanti,
interruttori, manopole.
Alla consolle di comando era seduto
un tecnico. Un altro fissava un
rullo di carta che scorreva dietro
un vetro. Il pennino tracciava una
riga nera rettilinea.
"Procedete pure", ordinò l'ufficiale
con voce diretta e autoritaria. Nel
vano piscine si accese un
lampeggiante. Il tecnico alla
consolle azionò un interruttore. Una
lancetta cominciò a ruotare
lentamente. Il pennino sul rullo si
mosse.
"Stiamo estraendo le barre di
controllo" spiegò il capoturno,
pentendosi subito di aver aperto
bocca e di aver usato quel tono. Non
si spiega a un superiore, tutt'al
più si informa. Ma il tecnico sapeva
bene perché avevano mandato lì
quell'ufficiale, un militare di
carriera senza nessuna competenza in
campo nucleare.
Il capitano di vascello si avvicinò
al vetro che dava sulla piscina.
Tutta quella tecnologia lo metteva
in soggezione.
Lui preferiva il mare, per questo
era diventato ufficiale di marina.
Sul pelo dell'acqua vide alzarsi le
barre. Una spia luminosa sulla
consolle si rifletté sul vetro.
"Reattore critico", dichiarò il
tecnico che fissava il rullo. La
voce tradiva una nota di emozione.
Era iniziata la fissione dell'uranio
contenuto nelle barre di
combustibile dentro la piscina. Una
luminescenza azzurrognola
rischiarava l'acqua. L'effetto
Cherenkov. Una luce che esiste solo
dentro un reattore nucleare. Poche
persone al mondo l'hanno vista,
perché pochissimi sono i reattori a
piscina aperta come l'Rts-1.
Ma l'ufficiale non condivideva
l'entusiasmo dei suoi tecnici per
quella visione. In fondo, per lui,
era solo una luce blu.
"200 chilowatt in crescita", avvertì
il tecnico alla consolle mentre
muoveva rapido manopole e
interruttori.
Sudava. Il pennino sul rullo
sobbalzava. Sulla parete dietro si
accesero le luci delle pompe.
L'altro tecnico ruotò un paio di
interruttori. L'acqua scaldata dalla
fissione veniva ora estratta e
portata allo scambiatore a fasci
tubieri all'esterno dell'edificio.
"5 megawatt", dichiarò infine il
tecnico. Era la massima potenza. Un
rombo sordo proveniva dalla stessa
struttura dell'edificio, come se una
forza primordiale nelle viscere
della Terra lo scuotesse.
Dallo scambiatore a un centinaio di
metri dalla cupola si alzava una
nube di vapore, quasi
indistinguibile dal cielo plumbeo
che la sovrastava.
Per ventiquattro lunghi minuti il
reattore ruggì come una bestia
ferita.
"Giù le barre!", ordinò infine il
capoturno, con lo stesso tono con
cui avrebbe ordinato di fare fuoco a
un plotone di esecuzione.
Aveva gli occhi bagnati di lacrime.
"Spento", fece il tecnico alla
console dopo pochi secondi.
L'orologio a muro segnava le undici
e nove minuti. Era il 7 marzo 1980.
L'ultima accensione del reattore. La
missione del tenente di vascello era
chiudere le attività del centro.
Nessun'altra sperimentazione, nessun
ulteriore studio o sviluppo.
L'Italia aveva firmato il trattato
di non proliferazione. Si era
impegnata a cessare ogni ricerca
nucleare in campo militare» (vaglini,
2009).
Difatto con Decreto Ministeriale del
13 luglio 1985 firmato dall’allora
ministro della Difesa Giovanni
Spadolini, veniva soppresso il
C.A.M.E.N. e sostituito con il
Centro Ricerche Studi Applicazioni
Militari (CRESAM), e forse con
questo sogno svaniva anche la
speranza di avviare uno studio serio
e costruttivo sulla possibilità di
sviluppare anche in Italia, come del
resto è accaduto in diversi Paesi
limitrofi, una possibilità di
includere quella nucleare tra le
fonti energetiche attualmente
disponibili.
Riferimenti bibliografici:
A. VAGLINI, Il nucleare Pisa. CAMEN,
CRESAM, CISAM, Quaderno di
memorie storiche, Edizioni ETS,
Pisa 2009.