N. 66 - Giugno 2013
(XCVII)
MARGARET THATCHER
LA LADY DI FERRO AL GIUDIZIO DELLA STORIA - PARTE II
di Massimo Manzo
Sul
piano
della
politica
estera,
il
governo Thatcher
segnò
il
deciso
ritorno
della
Gran
Bretagna
tra
le
protagoniste
del
panorama
internazionale.
Assecondando
il
sentimento
popolare
allora
imperante
ed
intuendo
una
delle
peculiarità
del
carattere
del
popolo
inglese,
le
sue
azioni
furono
caratterizzate
da
una
sorta
di
“risveglio”
dei
sentimenti
patriottici,
in
realtà
mai
troppo
sopiti.
Il
caso
della
guerra
con
l’Argentina
per
la
riconquista
delle
isole
Falkland-Malvinas
ne
fu
un
esempio
emblematico.
Nell’aprile
del
1982
la
giunta
militare
al
potere
nel
paese
sudamericano
decise
con
un
colpo
di
mano
di
prendere
possesso
di
questo
piccolo
arcipelago
dell’Atlantico
meridionale,
formalmente
parte
dei
domini
britannici.
Mettendo
il
governo
inglese
di
fronte
al
fatto
compiuto,
i
militari
argentini
si
illusero
di
acquisire
un
facile
trionfo,
acquisendo
il
controllo
di
isole
considerate
da
sempre
parte
del
proprio
territorio
nazionale.
La
reazione
della
Thatcher
fu
però
diversa
da
quella
che
gli
argentini
si
aspettavano.
Sull’onda
di
una
generale
indignazione,
il
Primo
Ministro
inglese
non
esitò
a
dispiegare
la
flotta,
vincendo
una
breve
ma
sanguinosa
guerra
e
contribuendo
alla
successiva
caduta
del
regime
militare
argentino.
Fu
quello
uno
dei
momenti
in
cui
la
sua
figura
raggiunse
l’apice
della
popolarità.
Un
altro
aspetto
essenziale
della
politica
estera
thatcheriana
fu
il
rapporto
privilegiato
con
gli
Stati
Uniti,
con
i
quali
vi
fu
una
sintonia
perfetta
nella
strategia
di
contrapposizione
all’Unione
Sovietica.
Già
prima
della
sua
elezione
alla
carica
di
Primo
Ministro,
l’avversione
che
la
Thatcher
nutriva
nei
confronti
del
blocco
sovietico
era
palese.
E
non
poteva
essere
altrimenti.
Lo
scontro
con
l’Urss
,
per
lei,
rispecchiava
la
sfida
tra
due
modelli
opposti
e
inconciliabili:
uno
democratico,
attento
al
rispetto
delle
libertà
individuali
e
del
liberalismo
economico;
l’altro
statalista,
oppressivo
e
totalitario.
Questa
visione
emerge
cristallina
in
uno
dei
suoi
discorsi
più
celebri,
pronunciato
il
19
gennaio
del
1976
al
Kensington
Town
Hall
di
Londra.
La
Thatcher,
all’epoca
leader
dell’opposizione,
si
esprimeva
in
questi
termini
riferita
alla
Russia:
“l’Urss
è
governata
da
una
dittatura
paziente,
uomini
decisi
e
lungimiranti
che
stanno
rapidamente
facendo
del
loro
paese
la
prima
potenza
navale
e
militare
del
mondo.
Non
stanno
facendo
questo
esclusivamente
per
motivi
di
autodifesa.
Un
enorme
paese
come
la
Russia,
in
gran
parte
privo
di
sbocchi
sul
mare,
non
ha
bisogno
di
costruire
la
flotta
più
potente
del
mondo
a
guardia
dei
propri
confini.
No.
I
russi
sono
decisi
a
dominare
il
mondo
e
stanno
rapidamente
acquisendo
i
mezzi
per
diventare
la
nazione
imperiale
più
potente
che
il
mondo
abbia
mai
visto.
Gli
uomini
del
Politburo
sovietico
non
devono
preoccuparsi
per
il
flusso
e
riflusso
della
pubblica
opinione.
Hanno
messo
le
pistole
prima
del
"burro",
noi
abbiamo
invece
messo
quasi
tutto
davanti
alle
pistole.
Sanno
di
essere
una
super
potenza
in
un
solo
senso,
il
senso
militare.
Loro
sono
un
fallimento
in
termini
umani
ed
economici”.
Dopo
queste
affermazioni,
il
giornale
russo
Stella
Rossa
le
affibbiò
il
soprannome
di
Lady
di
ferro,
con
il
quale
passerà
alla
storia.
L’obiettivo
della
testata
sovietica
era
dispregiativo,
ma
sortì
l’effetto
contrario.
Fu
la
stessa
Thatcher
ad
accettare
quella
definizione,
tanto
da
affermare
con
orgoglio
poco
dopo:
“la
signora
di
ferro
del
mondo
occidentale?
Io?
Un
guerriero
della
guerra
fredda?
Beh,
sì.
Se
questo
è il
modo
in
cui
desiderano
interpretare
la
mia
difesa
dei
valori
e
delle
libertà
fondamentali
del
nostro
stile
di
vita”.
Nonostante
l’anticomunismo
viscerale,
che
la
fece
uno
dei
maggiori
affossatori
del
regime
sovietico,
al
momento
opportuno
la
Lady
di
ferro
non
esitò
a
dialogare
con
Mikhail
Gorbačëv,
in
accordo
con
il
cambio
di
atteggiamento
nei
confronti
dell’Urss
adottato
dall’amministrazione
Reagan.
Ma
erano
gli
ultimi
spasimi
di
un
conflitto
che
l’occidente
aveva
già
vinto.
La
perfetta
intesa
che
esisteva
tra
il
governo
britannico
e
l’amministrazione
statunitense
è
dovuta
anche
all’affiatamento
tra
il
Primo
Ministro
inglese
e il
Presidente
americano
Ronald
Reagan.
Qualcuno
ha
definito
questi
due
leader
vere
e
proprie
“anime
gemelle”,
sottolineando
la
loro
perfetta
convergenza
politica
ed
ideale.
Anche
in
campo
economico
vi
fu
una
simbiosi
totale:
entrambi
aderirono
infatti
alle
teorie
neoliberiste,
divenendone
i
maggiori
attuatori
politici.
Questa
fortissima
vicinanza
tra
Gran
Bretagna
e
Stati
Uniti,
rinsaldata
proprio
nella
stagione
della
Thatcher,
ebbe
importanti
conseguenze,
anzitutto
nei
rapporti
con
l’Europa.
Il
Primo
Ministro
britannico
fu
fortemente
contrario
al
processo
di
unificazione
europea
e
all’instaurazione
di
una
moneta
unica
tra
i
paesi
aderenti
alla
Comunità.
Il
suo
fu
un
dissenso
dovuto
a
varie
ragioni:
la
riluttanza
a
cedere
porzioni
sempre
più
consistenti
di
sovranità
a
istituzioni
non
democraticamente
elette
(come
la
Commissione
Europea);
il
timore
di
trovarsi
intrappolata
in
meccanismi
fiscali
ed
economici
difficilmente
gestibili;
la
preoccupazione
per
gli
effetti
che
la
riunificazione
tedesca
avrebbe
comportato
in
termini
di
bilanciamento
interno
all’Unione.
Il
tutto
ammantato
dalla
sfiducia
nella
capacità
dell’Europa
di
trovare
una
sintesi
tra
gli
interessi,
spesso
opposti,
dei
singoli
paesi.
Questa
ostentata
diffidenza
si
tradusse,
nella
pratica,
in
una
sorta
di
isolazionismo
britannico
nei
confronti
della
Comunità
Europea.
Condivisibili
o
meno
che
fossero
tali
scelte,
lo
scetticismo
del
Primo
Ministro
nei
confronti
dell’Europa
fu
sincero
e
decisamente
controcorrente,
tanto
da
causare
una
grave
frattura
tra
gli
stessi
conservatori.
Alla
fine
del
suo
ultimo
mandato,
le
dimissioni
del
Ministro
degli
Esteri
Geoffrey
Howe
furono
dovute
proprio
all’intransigenza
della
Thatcher
nel
rapporto
con
la
comunità.
Nonostante
siano
passati
più
di
vent’anni,
colpisce,
oggi,
constatare
l’attualità
di
molte
delle
questioni
poste
dalla
Thatcher
sull’Unione.
Alcune
di
esse
sono
considerate
alla
base
delle
odierne
difficoltà
politiche
dell’Europa.
Nel
1990,
dopo
aver
perso
inaspettatamente
il
timone
del
partito
conservatore
ed
in
seguito
ad
una
crisi
di
governo,
la
Lady
di
ferro
decise
a
malincuore
di
dimettersi,
abbandonando
definitivamente
Downing
Street.
Come
lei
stessa
sapeva,
in
quel
momento
la
sua
parabola
politica
era
definitivamente
tramontata.
Gli
inglesi,
pur
profondamente
divisi
sul
giudizio
da
dare
al
suo
operato
politico,
rimasero
(e
rimangono
tuttora)
ammirati
dalla
forza
e
dalla
combattività
della
Thatcher.
È
facile
spiegare
questo
strano
attaccamento
alla
sua
figura:
le
sue
doti
e i
suoi
difetti,
in
fondo,
coincidono
perfettamente
con
quelli
del
popolo
britannico.