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N. 120 - Dicembre 2017 (CLI)

IL MARESCIALLO PÉTAIN
dal fango di Verdun al fango di Vichy

di Marco Sigaudo

 

Una delle ultime immagini che la storia ci offre di Philippe Pétain è quella del processo tenuto contro di lui nel luglio 1945. Un uomo pieno di tic e di tremori, un uomo di 89 anni che, fino a un anno prima era osannato dai francesi, era ora visto come un traditore per aver consegnato la Francia alla Germania nazista. Complotto contro la Repubblica, tradimento, accuse gravissime quelle rivolte al Maréchal.

 

Ma chi era Pétain? Chi era l’uomo che andava a processo? Il condottiero vincente della prima guerra mondiale o il traditore della Repubblica che aveva consegnato a Hitler la Francia?

 

Philippe Pétain era nato nel 1856 da una famiglia cattolica del nord della Francia. Con una carriera anonima nell’esercito, nel 1914, alla vigilia del pensionamento con il grado di colonnello, egli venne richiamato a causa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Al comando di reparti francesi sul fronte belga, il neo generale di brigata ottiene buoni risultati e viene così promosso a generale di corpo d’armata. Nel 1916 gli fu affidata la zona del fronte di Verdun; qui, con una buona condotta strategica, riuscì a sconfiggere le truppe tedesche. Questo importante successo gli valse il bastone di Maresciallo e ne fece il nuovo eroe dei francesi.

 

Al termine della Grande Guerra il Maresciallo si ritirò a vita privata e venne chiamato dalla Terza Repubblica solo per incarichi di rappresentanza fino al 1934 quando, a seguito di momenti di tensione e di manifestazioni violente, nel mese di febbraio si formò un nuovo governo guidato da Gaston Doumergue che chiamò Pétain in qualità di Ministro della Guerra.

 

L’esperienza di governo durò poco e la vittoria di Blum alle elezioni del 1936 fu un duro colpo per Pétain che considerava il comunismo, gli scioperi e le rivendicazioni sociali come fonti di disordine. Progressivamente in questo periodo egli mostrò una crescente simpatia nei confronti dei movimenti e dei regimi di estrema destra.

 

Prese posizione in favore delle Croix de Feu del Colonnello de la Rocque in Francia e non nascose l’approvazione per il nazionalismo e l’autoritarismo messo in atto da Hitler e Mussolini pur non accettando l’antisemitismo nazista. A tal proposito, il 16 novembre 1938, poco dopo la triste e tragica Notte dei Cristalli in Germania, Pétain firmò una protesta ufficiale contro le violenze naziste attuate contro gli ebrei.

 

Il 2 marzo 1939 l’anziano Maresciallo venne nominato ambasciatore francese in Spagna con la missione di convincere il governo iberico a non entrare in un eventuale conflitto europeo e soprattutto di non farlo a fianco della Germania di Hitler. Questa tappa spagnola della sua carriera ebbe un’influenza profonda su di lui. Il regime franchista instaurato dal Generale Franco era di fatto una dittatura di matrice nazionalista, basata sulla Chiesa, sul ritorno ai valori della terra e dell’agricoltura e sulla fedeltà al Caudillo.

 

Pétain era in Spagna al momento dello scoppio della Seconda guerra mondiale e aveva rifiutato incarichi di governo fino alla primavera del 1940 quando accettò di entrare nel governo Reynaud per tentare di dare una mano alla Francia ormai allo sbaraglio e travolta dalle truppe tedesche. Con 10 milioni di profughi in fuga sulle strade e la Wehrmacht dilagante, la sconfitta francese era ormai certa e nel giugno 1940 con la firma dell’armistizio ecco che per il Maresciallo si aprirono le porte del governo francese.

 

Pétain era rimasto una figura limpida, eroica e vincente della Prima guerra Mondiale e ora, dopo la sconfitta tremenda inflitta dai tedeschi, solo lui avrebbe potuto risollevare le sorti della Francia. Il Presidente Lebrun lo chiamò e l’Assemblée Nationale gli assegnò l’incarico con il sostegno di Pierre Laval. Il 17 giugno il nuovo governo fu formato nel pieno rispetto della Costituzione e, verso mezzogiorno, il Maresciallo Pétain annunciò alla radio l’intenzione di chiedere l’armistizio: «(…) je fais à la France le don de ma personne pour atténuer son malheur (…). C’est le coeur serré que je vous dis aujourd’hui qu’il faut tenter de cesser le combat (…)».

 

Le ostilità cessarono il 22 giugno 1940 e l’armistizio entrò in vigore dal 25 giugno. Gli accordi presi erano durissimi per la Francia dalla quale la Germania pretendeva anche l’occupazione di 3/5 del territorio francese, la collaborazione delle autorità francesi e l’impegno francese a mantenere le truppe d’occupazione con un’indennità pari a 400 milioni di franchi al giorno. Solo una parte del territorio francese veniva risparmiato dall’occupazione cioè quella che avrebbe avuto come capitale Vichy e che sarebbe stata divisa dal resto della Francia con la ligne de démarcation. Anche se formalmente libera, la Francia di Vichy avrebbe dovuto consultare le autorità tedesche.

 

In questa condizione estremamente umiliante e difficile il Maresciallo avrebbe dovuto traghettare la Francia verso una rinascita morale e politica. Nell’estate 1940 la Repubblica francese tramontava definitivamente davanti all’avvento dell’uomo della provvidenza, al progetto di France Nouvelle che Pétain aveva in mente.

 

Il progetto, il sogno del Maresciallo era quello di una rinascita e di un nuovo slancio del popolo francese attraverso tre pilastri principali: Travail, Famille, Patrie. Pilastri di un regime di estrema destra, ispirato dal movimento delle Croix de Feu di De la Rocque.

 

Pétain riteneva necessaria la fine della libertà sindacale, del concetto di lotta di classe, di capitalismo estremo, abbattimento dei principi tanto cari alla Rivoluzione francese del 1789. Il Maresciallo auspicava un ritorno al passato, a un Francia rurale, al mondo agricolo non corrotto dalla modernità. Pétain riteneva necessario il riavvicinamento del popolo francese alla Chiesa cattolica, vero esempio di stabilità. Anche il ruolo della donna doveva essere rivisto o, meglio, avrebbe dovuto ritornare a quello naturale di essere madre.

 

La Révolution Nationale era la controrivoluzione e un regime di repressione. Pétain era convinto che per rafforzare lo spirito dei francesi la sua persona avrebbe dovuto essere quella di guida, di padre, di uomo di sacrificio. La Francia rurale e legata alla Chiesa sarebbe rinata con alcune riforme epocali come il corporativismo, la riforma della scuola e soprattutto attraverso la pulizia da quei corpi estranei (mauvais français) della società. Proprio da quest’ultimo aspetto Pétain intendeva ripartire per rifondare la Francia.

 

Secondo il Maresciallo la sconfitta francese era dovuta al declino morale francese e ai nemici interni che avevano fiaccato la forza del paese. Iniziò così da subito la repressione verso la massoneria (Pétain affermava: La franc-maçonerie est la principale responsable de nos malheurs), con lo scioglimento di tutte le società segrete, verso i comunisti, accusati di essere traditori al soldo dell’Unione Sovietica e presto arrestati a centinaia per essere inviati nei campi di lavoro francesi.

 

Altri nemici della patria erano gli ebrei, colpevoli di aver spinto la Francia alla guerra contro la Germania. Il 3 ottobre 1940, senza pressione diretta dei tedeschi, il Maresciallo firmò lo Statut des Juifs. Da questo momento gli ebrei venivano esclusi dalla vita politica, dalla pubblica amministrazione, dal cinema e dalla stampa.

 

Alcuni giorni dopo, e precisamente il 24 ottobre 1940 a Montoire, Pétain incontrò Hitler in quello che sarebbe passato alla storia come l’incontro che sanciva la collaborazione franco-tedesca. Pétain era sempre più convinto che la Germania avrebbe vinto la guerra e per questo era necessario che la Francia si facesse trovare pronta per questo evento.

 

Nei piani di Hitler la Francia non avrebbe dovuto essere un alleato, ma subordinato alle richieste dell’economia tedesca. Alla Germania serviva delegare alcune funzioni di amministrazione alle autorità francesi soprattutto per liberare parte della Wehrmacht nella la guerra a est contro l’Unione Sovietica. Pétain era pronto ad accettare questo ruolo soprattutto in funzione antibolscevica. Però questo avvicinamento politico del governo di Vichy alla Germania nazista costò caro al Maresciallo che presto cominciò a subire le crescenti pressioni e richieste da parte delle autorità d’occupazione e anche le sue perplessità circa la deportazione degli ebrei non le poté sostenere con il necessario vigore.

 

Sul piano politico la situazione per il Maresciallo precipitò a partire dall’autunno 1942 quando Hitler diede l’ordine di occupare il territorio di Vichy (8 novembre 1942). Prima conseguenza di questa nuova situazione fu il ritorno di Pierre Laval, filo-tedesco, come primo ministro e una forte accelerazione delle politiche di deportazione degli ebrei e di stretta collaborazione con la Germania. Conseguenza di questa politica fu la deportazione di 65.000 ebrei di cui circa 20.000 francesi verso i campi di sterminio.

 

In questa fase confusa, i collaboratori di Pétain si divisero tra coloro che volevano continuare l’alleanza con la Germania e quanti invece vedevano negli Anglo-Americani il futuro vincente del conflitto. Al Maresciallo venne anche proposto di abbandonare la Francia per recarsi in nord-Africa dove ormai gli Alleati stavano spazzando via le forze dell’Asse. Pétain rifiutò di partire e vide la Francia libera occupata dalle truppe tedesche.

 

Il governo di Vichy diede l’ordine di affondare la flotta francese ormeggiata a Toulon per impedire che la Germania se ne impossessasse. Il governo del Maresciallo era ormai privo di qualsiasi autorità, senza esercito, con il territorio occupato e senza colonie, così, a prendere il sopravvento furono quei sentimenti più violenti e più vicine alla collaborazione con i nazisti. La Milice di Darnand divenne un importante braccio armato nella guerra contro i partigiani al fianco dei tedeschi.

 

E Pétain? Egli, pur consapevole di quanto stava accadendo perse di fatto il controllo della situazione e visse il suo ultimo grande momento nel 1944.

 

Era il mese di aprile il Maresciallo mise a segno l’ultimo colpo da maestro: a pochi mesi dalla liberazione di Parigi egli si recò in visita a Parigi con l’autorizzazione delle autorità germaniche. Nelle periferie parigine il Maresciallo rende visita alle città bombardate dagli Alleati e si reca negli ospedali per confortare i feriti. Il 26 aprile 1944 Pétain entra nella capitale francese accolto nella piazza dell’Hôtel de Ville da una folla in delirio.

 

Il suo discorso, molto banale e semplice, colpì al cuore la gente presente: «Je viens vous faire une visite. Je ne peux pas m’adresser à chacun de vous en particulier, c’est impossible, vous etes trop nombreux. Je pense à vous beaucoup, mais soyez sures que des que je pourrais je viendrais et alors ce sera une visite officielle. Alors à bientôt j’éspère».

 

Questo discorso ebbe l’effetto di una scossa per la folla che tirò fuori nuove energie e iniziò a intonare la Marseillaise, vietata da 4 anni ormai dalle autorità tedesche. Il tutto si concluse con un grido della gente: Vive le Maréchal! Vive la France!.

 

Pétain era stato e rimaneva un eroe, una nuova Giovanna d’Arco, qualcuno cui dare fiducia e che, agli occhi dei francesi, aveva un ruolo marginale nelle politiche di collaborazione e di deportazione degli ebrei e di altri francesi.

 

Poche settimane dopo, nella città di Nancy, ci fu un altro bagno di folla per Pétain e i francesi celebrarono questo evento issando il tricolore sul tetto della Prefettura, 4 anni dopo la sconfitta. Persino il 6 giugno 1944, mentre gli Alleati sbarcavano in Normandia, a Saint-Etienne, il Maresciallo fu accolto da una folla in delirio.

 

La storia si era come interrotta, Pétain appariva come in un mondo parallelo dove i francesi sembravano ignorare la realtà delle cose. A Saint-Etienne il Maresciallo apparve come colui che aveva resistito alla Germania, come colui che aveva avviato la liberazione della Francia.

 

Il colpo di scena finale avvenne il 20 agosto 1944 quando alle 6 del mattino, a l’Hotel du Parc, il Maresciallo venne svegliato da alcuni soldati tedeschi che per ordine diretto di Hitler avevano il compito di prelevarlo e portarlo via. Il timore dei tedeschi era infatti che il Maresciallo passasse al fianco degli Alleati. L’anziano Maresciallo venne portato nel castello di Sigmaringen insieme ad altri ministri del governo di Vichy. Ormai l’esperienza di Vichy nata nel 1940 dalla disfatta francese era da considerarsi conclusa con un epilogo quasi surreale.

 

Laval, Darnand (capo della Milice), e altri membri del governo di Vichy facevano parte di una Commission gouvernementale pur non essendo più a capo di nessuno Stato. Hitler aveva optato per questa soluzione nel tentativo di impedire a Pétain di fuggire e per tentare di creare una sorta di governo di Vichy nell’est della Francia che potesse organizzare qualche forma di resistenza all’avanzata Alleata.

 

L’esperienza surreale di questa Commissione si chiuse con la fuga dei vari membri con l’avvicinarsi delle truppe francesi del 1° Corpo d’armata del generale Béthouart.

 

Il 24 aprile Pétain entrò in Svizzera, ma subito chiese di poter tornare in Francia. Il 26 aprile l’anziano Maresciallo venne preso in consegna dalle autorità francesi. A 89 anni, l’eroe di Verdun era ora in carcere con accuse pesantissime: complotto contro la Repubblica, intesa con il nemico e alto tradimento.

 

Davanti alla Haute Cour de Justice nell’estate 1945 andò in scena uno dei processi più importanti della storia francese. Un uomo, un soldato, un eroe, il nuovo Giovanna d’Arco era ora seduto in tribunale ad assistere al processo nei suoi confronti.

 

Il 15 agosto i giudici lo condannarono all’indegnità nazionale, alla confisca dei beni e soprattutto alla pena di morte. In merito a quest’ultima sentenza il tribunale si raccomandò di non applicarla in quanto si trattava di un uomo anziano.

 

Il generale De Gaulle, capo del governo provvisorio, commutò la pena in prigione a vita. Pétain venne trasferito nel carcere dell’île d’Yeu dove rimase fino alla morte sopraggiunta il 23 luglio 1951 all’età di 95 anni.



 

 

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