Mar "Rosso fuoco"
La sfida degli Houthi al commercio
globale
di Gian Marco Boellisi
Di tutte le conseguenze che
l’invasione israeliana di Gaza ha
avuto sul sistema internazionale, la
crisi del Mar Rosso causata dagli
Houthi yemeniti è risultata di gran
lunga la più inaspettata. Portando
ad un rapido panico delle principali
potenze occidentali, gli attacchi
alle navi mercantili transitanti
attraverso il Mar Rosso hanno
dimostrato ancora una volta in pochi
anni quanto le principali rotte
marittime siano cruciali per il
mantenimento della società globale
come la conosciamo oggi. Risulta
quindi interessante capire il perché
di questi attacchi ed in quale
maniera essi possano influenzare gli
equilibri geostrategici del
Mediterraneo allargato e non solo.
Partiamo dal comprendere chi sono i
protagonisti di questa storia. Con
il termine Houthi si vuole indicare
il movimento Ansar Allah,
letteralmente dall’arabo “partigiani
di Dio”. Il nome proviene dal primo
esponente dell’organizzazione,
Ḥusayn Badr al-Dīn al-Ḥūthī, ucciso
dalle forze armate yemenite nel
settembre del 2004. Il movimento
nasce come gruppo politico armato
nel nord dello Yemen riunendo sotto
la sua bandiera principalmente
zayditi, una confessione minoritaria
dell’islam sciita. Il gruppo
precursore degli Houthi nasce nel
1992 col nome di “Gioventù credente”
all’interno del governatorato di Sa’ada,
nel nord del paese. Il movimento si
pone come obiettivo quello di far
cessare la discriminazione degli
zayditi all’interno dello Yemen,
paese a maggioranza sunnita, per
arrivare all’obbiettivo ultimo di
rendere indipendente il nord.
Le tensioni con il governo centrale
crescono negli anni fino ad arrivare
ad un conflitto aperto con il regime
di Ali Abdallah Saleh, dittatore
dello Yemen dal 1990 al 2012. Gli
scontri proseguono dal 2004 fino al
2010, concludendosi con un
debolissimo cessate il fuoco. Nel
2011, in occasione delle primavere
arabe, riprendono le manifestazioni
in piazza e, ovviamente, in
brevissimo si riaprono anche gli
scontri contro le forze governative.
Di lì a poco ha inizio quella che
verrà conosciuta come Guerra Civile
Yemenita la quale, insieme alla
Guerra Civile Siriana, rappresenta
ancora oggi una delle più grandi
catastrofi umanitarie del nuovo
millennio. Durante la guerra gli
Houthi conquistano una fetta
consistente del nord del paese,
portando le forze governative ad una
perenne fase di stallo.
Con il passare degli anni il
conflitto yemenita si è sempre di
più configurato come una “guerra per
procura” tra potenze regionali.
Infatti, gli Houthi sciiti sono
sempre stati sostenuti dall’Iran,
mentre le forze governative sunnite
sono state supportate in primis
dall’Arabia Saudita più una serie di
paese appartenenti ad una Coalizione
internazionale. Questi, nonostante
il superiore grado tecnologico dei
mezzi a propria disposizione, non
sono riusciti a debellare gli Houthi
dopo quasi dieci anni di guerra
civile. Al contrario, gli Houthi
sono arrivati a perpetrare attacchi
usando droni kamikaze contro una
delle più importanti raffinerie
saudite appartenente alla compagnia
Aramco ed a cacciare il neo
presidente Hadi per farlo trasferire
nella città portuale di Aden. Quindi
tutto fuorché dei guerriglieri
sprovveduti.
Nonostante lo scarso interesse
dell’opinione pubblica mondiale nei
confronti di questo conflitto, i
riflettori si sono magicamente
riaccesi sullo Yemen non appena gli
Houthi hanno deciso di entrare a
gamba (più o meno) tesa all’interno
del conflitto israelo-palestinese.
Infatti all’indomani dell’invasione
israeliana di Gaza sono iniziati a
susseguirsi una serie di attacchi
alle navi mercantili transitanti
dallo Stretto di Bab el-Mandeb, il
quale conduce al Mar Rosso e da qui
al Canale di Suez. Gli attacchi si
sono verificati principalmente
tramite l’utilizzo di droni o di
missili da crocera, costringendo
molte compagnie di trasporto ad
optare per la circumnavigazione del
continente africano, portando ad un
aumento stratosferico dei costi e ad
un allungamento abnorme dei tempi di
consegna. È infatti importante
ricordare come il 12% circa del
commercio mondiale passi dal Canale
di Suez. Nel mondo esistono 4
principali colli di bottiglia senza
i quali il commercio globale
potrebbe andare in crisi: lo Stretto
di Malacca, il Canale di Suez, il
Canale di Panama e lo Stretto di
Hormuz. Gli Houthi, attaccando le
navi mercantili, hanno de facto
lanciato una sfida alla
globalizzazione stessa.
Prova ne sia, non appena sono
iniziati gli attacchi alle navi sia
Stati Uniti sia Gran Bretagna hanno
subito iniziato una campagna di
bombardamenti di dubbia efficacia
contro le postazioni degli Houthi in
Yemen. Infatti i raid contro i
mercantili non si sono fermati e non
hanno sortito neanche alcun effetto
le navi da guerra di svariati paesi
occidentali schierate nello Stretto
con lo scopo di proteggere le navi
portacontainer. La sola idea di un
attacco ad uno di questi colli di
bottiglia è uno dei peggiori incubi
a cui Washington potrebbe andare
incontro in un momento storico così
teso. Il processo di
globalizzazione, e quindi lo status
di prima potenza planetaria
statunitense, si regge sul
predominio dei mari, sia esso
militare o commerciale. Provare ad
intaccare la catena mondiale del
commercio equivarrebbe a bloccare
parzialmente questo predominio
costruito negli ultimi 70 anni, e
questo è qualcosa che Washington non
si può e non vuole permettere.
Un’altra importante sfida è stata
lanciata prendendo di mira un nuovo
dominio sottovalutato finora dalla
maggior parte degli analisti: quello
dei cavi sottomarini. Infatti lo
scorso 25 e 26 febbraio sarebbero
stati danneggiati 4 degli almeno 15
cavi sottomarini che si trovano sui
fondali del Mar Rosso. Questi sono
essenziali per le reti internet ed
in generale per le comunicazioni tra
Europa, Asia e Africa. In
particolare si tratterebbe dei cavi
Europe India Gateway (EIG),
Asia-Africa-Europe 1 (AAE-1), TGN
Eurasia (TGN-EA) e un cavo
dell’azienda SEACOM. La
particolarità di questa contingenza
è che gli Houthi non hanno
rivendicato gli attacchi, anzi hanno
smentito categoricamente qualsiasi
coinvolgimento nel danneggiamento
dei cavi a largo dello Yemen.
Il sabotaggio di queste
infrastrutture non sarebbe critico
solamente per alcuni paesi, ma
potrebbe esserlo per interi
continenti. Basti pensare a cosa
potrebbe portare l’assenza di
comunicazione per alcune ore tra le
varie borse del mondo, così come
banalmente alle transazioni
finanziarie internazionali, al
funzionamento di strutture sanitarie
o ai flussi energetici da un paese
all’altro. Collegando parti del
globo estremamente distanti tra
loro, è inevitabile che tali
infrastrutture passino attraverso
gli stretti strategici, rendendole
quindi estremamente vulnerabili ed
anche potenziali bersagli nel caso
di un conflitto asimmetrico tra
grandi potenze.
Ed è proprio qui che l’Iran entra
potenzialmente in gioco. Oltre a
fornire da anni armi, droni e
missili, Teheran potrebbe aver
fornito al movimento anche le
attrezzature necessarie per
effettuare un attacco sottomarino ai
cavi presenti nei fondali. Gli
Houthi di certo non possiedono mezzi
tecnologici per raggiungere
profondità così elevate e potrebbero
aver effettuato l’azione di
sabotaggio solamente se qualcuno
dall’esterno avesse fornito loro le
attrezzature necessarie. Un’azione
similare tuttavia avrebbe un enorme
potere destabilizzante. Infatti, per
quanto l’Iran stia tentando negli
ultimi anni di riguadagnare terreno
a discapito degli Accordi di Abramo
tra Israele e le varie potenze del
Golfo, un attacco ai cavi
sottomarini porterebbe il confronto
strategico ad un livello superiore,
tanto da innalzare la tensione
dell’area ancora di più rispetto a
quanto già sta succedendo a valle
degli attacchi di Hamas del 7
ottobre. Che siano stati gli Houthi
o meno, se i cavi diventeranno un
bersaglio al pari dei mercantili, le
azioni di paesi come Arabia Saudita
o degli stessi Stati Uniti e Gran
Bretagna potrebbero raggiungere un
ulteriore livello di escalation.
Fattore decisamente non necessario
in un’area già martoriata come il
Medio Oriente odierno.
In conclusione, gli Houthi yemeniti
stanno cercando in tutti i modi di
supportare la causa palestinese
danneggiando il commercio mondiale
attraverso lo Stretto di Bab
el-Mandeb. Per quanto possano
tentare, è improbabile che le forze
della Coalizione Internazionale
riusciranno a fermare nel breve
termine gli attacchi del movimento
sciita, vista la grande esperienza
degli Houthi in guerra asimmetrica
ed azioni di guerriglia. Fa tuttavia
riflettere come l’attuale crisi
abbia riportato i riflettori su un
conflitto che sembrava dimenticato
dalla maggior parte dell’opinione
pubblica mondiale e a cui,
probabilmente, smetterà di
interessare lo Yemen non appena il
flusso dei commerci avrà ripreso il
suo normale corso.