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N. 58 - Ottobre 2012 (LXXXIX)

Alessandro Manzoni

il cattolico liberale, IL MAESTRO
Tommaso Venezia

 

Il rapporto tra il Manzoni e la religione è molto profondo. Fu nell’età della sua maturità che ebbe una profonda conversione da quella che era la religione che lui apprese negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza.

 

In quegli anni la religione sembrava identificarsi con le pratiche del culto e con un formulario e dei precetti astratti, per di più l’esperienza della vita collegiale suggeriva facilmente l’opinione che il cristianesimo favorisse il privilegio, la disuguaglianza sociale, l’autoritarismo politico. Le istanze di libertà e di giustizia profondamente sentita dal giovane Manzoni sembravano inconciliabili con si fatto cristianesimo.

 

L’influenza del padre Eustachio Dègalo, un dotto sacerdote di tendenza giansenistica, lo spinsero a riesaminare al di fuori degli schemi convenzionali la dottrina cristiana. Lungi dal sembrare naturalmente alleata dai sovrani assoluti e dei ceti privilegiati, il cristianesimo si rivelava attraverso le parole del Dègalo un profondo e perenne messaggio di una solidarietà di giustizia di eguaglianza un messaggio già valido non solo per la vita sopranaturale ma anche per la vita terrena degli uomini e dei popoli.

 

Nella sua ricerca, il Manzoni approdava ad una concezione integrale del cristianesimo, inteso come condizione e misura di tutta l’esistenza umana e della storia, della cognizione della natura umana e del destino di caduta e di redenzione dell’uomo, all’interpretazione e alla intelligenza dei problemi politici, sociali e civili alla definizione del compito e della disponibilità della cultura e delle lettere.

 

Il primo effetto della conversione sul piano dell’attività letteraria fu la profonda trasformazione e la nuova dimensione che assunse nella coscienza del poeta la funzione dello scrittore. Se prima egli aveva aspirato alla gloria poetica ed aveva limitato l’ambito del pubblico dei lettori ad una ristretta elite di intellettuali, dopo la conversione si proponeva di svolgere con propri scritti un compito educativo e di rivolgersi al più vasto pubblico possibili di elettori. S’intende come questo impegno di democratizzazione della letteratura, egli si abilitasse ad aderire a partecipare con un sempre più spiccato ruolo di protagonista alle idee del gruppo romantico milanese.

 

Da questa esperienza intrinseca del Manzoni ebbe notevole riflessione sia nella sua attività poetica come già detto sia nell’ambito politico. Infatti l’elemento più importante della posizione che il Manzoni nel campo politico e alla quale si sarebbe conservato fedele per tutta la vita era il rinascimento del rapporto fra l’ideale liberale e il cristianesimo.

 

Si trattava veramente di un fatto fondamentale destinato ad incidere profondamente sul destino della storia politica oltre che sulla cultura italiana. Se precedentemente sembrava che la chiesa fosse naturale alleata dei troni e quindi della reazione e della tirannide, ora il Manzoni capovolgeva totalmente questa opinione restituendo alla chiesa il compito di promuovere e garantire il processo di liberazione dei popoli rispondente ad una inderogabile legge divina. Il superamento e l’antitesi fra chiesa e libertà, fra chiesa e progresso era la premessa di tutto il movimento di idee che avrebbe avuto largo e fecondo sviluppo nell’arco del secolo XIX e XX e che sul piano ideologico si espressa col neoguelfismo e sul piano politico con il liberalismo – moderato.

 

Oltre a ciò l’importanza del Manzoni con le sue opere e del suo cattolicesimo liberale costituirono le premesse di quella che fu inseguito chiamato la scuola manzoniana e movimento liberale lombardo -piemontese, tra gli esponenti ricordiamo Cesare Cantù, Antonio Rosmini - Serbati elementi e figure di spicco del cattolicesimo liberale. Il discepolo militante della scuola manzoniana fu Cesare Cantù.

 

Il Cantù si avvicina alla storia non solo politica ma alla storia come vita intera, intellettuale, religiosa, economica con tutto il complesso di criteri e dottrine che costituiscono la scuola.

 

Fu nel secolo XIX che si sviluppò la letteratura popolare, avendo bisogno di fare propaganda nelle classi meno abbienti, gli esponenti della scuola ruppero definitivamente con il latino e fecero guerra alla forma scolastica ed accademica, la quale era detta forma letteraria e si imponeva a tutti gli scrittori. Nel secolo XIX non si pose più il problema di difendere la cultura solo alle classi borghesi. Gli avvenimenti politici avevano tirato sulle scene una nuova classe, fino a quel tempo tenuta in disparte.

 

La propaganda che il secolo precedente rivolgeva alle classi borghesi fu applicata alle classi inferiori e sorse la letteratura popolare. Il problema fu di trovare il metodo più breve per cancellare l’analfabetismo ed un libro che istruisse ed educasse.

 

In questa linea troviamo un altro importante personaggio della scuola manzoniana Antonio Rosmini - Serbati. Il libro sull’”Unità italiana” esercitò grande influenza specialmente in quel partito liberale detto neo-guelfo o neo-cattolico, che ripone nel cattolicesimo riformato la pietra angolare nel nuovo edificio nazionale, ossia elementi abbastanza numerosi della destra che aspiravano alla formazione di un partito conservatore i cui fondamenti programmatici sarebbero stati la conciliazione tra stato e chiesa,una riforma più o meno profonda della chiesa stessa.

 

Riformare la chiesa in modo che sia riverita e rispettata, fare del papato non un ostacolo all’indipendenza ed alla libertà, ma una leva, si che entrambe si aiutano, conciliare i nuovi fatti con gli antichi fini, ecco il problema che si pone Rosmini quella della conciliazione.

 

La riforma della chiesa, la quale com’è non può andare, ciò che in Manzoni era una vaga idea, in Rosmini prende corpo, si applica alla società vivente. La chiesa per Rosmini non è il Papa, i Cardinali, i Vescovi, ma è la comunione di tutti i fedeli.

 

Tale era la chiesa primitiva vagheggiata dal Manzoni e dagli altri della scuola lombarda. In essa il popolo non è spettatore, partecipa alla vita della chiesa, paga, amministra, nomina il parroco e il curato, scegliendo uomini conosciuti nella circoscrizione o diocesi, con cui può avere confidenza, i Vescovi non sono estranei al popolo, ad esso rendono conto delle loro azioni, lo istruiscono personalmente.  

 

Il Rosmini mise il dito nella piaga, egli volle ricostruire la chiesa vivente, ristabilire la comunione dei fedeli fare come nella società civile, dove al potere assoluto s’è costituito il costituzionale, creare un elettorato religioso come l’elettorato politico.

 

Il Rosmini ritenne che la chiesa ha si l’appoggio del potere temporale ma ha perduto l’opinione pubblica, i Vescovi sono strumenti del principe non più un potere indipendente, il popolo considera il Vescovo come un magistrato, un generale dipendente al principe. Ha dunque Rosmini un base liberale, il popolo e un fine oligarchico, l’episcopato e il papato rinforzato nel potere da quella base.

 

Non dobbiamo meravigliarci che qui si trovi una destra e una sinistra.

 

La destra è la chiesa presente, che proclama il “Sillabo” dichiara il Papa infallibile, cioè quello che il Rosmini crede di riformare.

 

La Sinistra, ossia quelli che vogliono una chiesa primitiva avvicinare la chiesa al popolo, si che il personaggio più importante della chiesa non è il Papa,il Cardinale e il Vescovo ma il parroco del paese più vicino al popolo.

 

Il pensiero del Rosmini e degli altri della scuola manzoniana e lombardo – piemontese, ebbero poca efficacia sul popolo e sui personaggi politici dell’epoca.

 

Gli Ideali dei Cattolici liberali lombardi furono di grande aiuto alle generazioni future e nel capire il variegato mondo cattolico.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

F. De Santctis, La scuola liberale e il romanticismo a Napoli, a cura di C. Muscetta e G. Candeloro, Einaudi, Torino 1953.

G. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, ed. Riuniti, Roma 1961.

M. Santoro, Disegno Storico della civiltà Letteraria Italiana, Le Monnier, Firenze 1985.

B. Iorio, Per la rivoluzione liberale, Loffredo Editore, Napoli 2002.



 

 

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