RICORDANDO MANZONI
SUI 150 anni DALLA MORTE
DEL GRANDE ROMANZIERE
di
Marina Migliavacca Marazza
Il 2023 è stato un anno di
ricorrenze storiche e letterarie: i
cent’anni dalla nascita di Italo
Calvino, i sessant’anni dalla
scomparsa di Sylvia Plath, i
quattrocento anni dalla nascita di
Molière, e infine, ma non per
importanza, un secolo e mezzo tondo
dalla morte di Alessandro Manzoni,
il 22 di maggio, per le conseguenze
di una caduta sui gradini della
“sua” chiesa di San Fedele a Milano,
sulla piazza dove ora c’è la sua
statua, realizzata dal Barzaghi.
Val la pena di ricordarlo, il nostro
Manzoni, tanto amato e odiato sui
banchi di scuola, ripercorrendo la
sua vita d’uomo prima che le sue
pagine.
Nato nel 1785, prima della
Rivoluzione francese, da una mamma
illustre, quella Giulia Beccaria che
fu figlia di Cesare, l’autore di
“Dei delitti e delle pene”, donna
vivace di ingegno e di costumi, dal
momento che il padre di Alessandro
non fu il di lei marito, Pietro
Manzoni, ma il di lei cicisbeo, il
brillante e charmant cavaliere
Giovanni Verri, fratello dei grandi
illuministi. Del resto Pietro
Manzoni, vedovo da un primo
matrimonio, aveva 26 anni più della
sua mogliettina Giulia e bisogno di
un erede, per cui accetta di buon
grado quell’unico rampollo, prima
che Giulia si separi da lui quando
Alessandro è ancora bambino e inizi
la sua storia con Carlo Imbonati, al
fianco del quale rimarrà fino alla
di lui morte nel 1805.
Alessandro ha due padri, uno
ufficiale e uno naturale, ma è come
se non ne avesse nemmeno uno, e fino
alla morte di Carlo Imbonati anche
mamma Giulia non è molto interessata
a lui. Poi nasce il sodalizio tra di
loro, e sarà mamma Giulia a
perfezionare il suo primo matrimonio
con Enrichetta Blondel, procurando
al figlio una mogliettina sedicenne,
e poi anche ad approvare il secondo,
quasi trent’anni dopo, con la
seconda moglie Teresa Borri, vedova
del conte Stampa, dopo che
Alessandro resterà vedovo di
Enrichetta, morta “di languore” dopo
15 gravidanze, indebolita dalla
tisi.
Nella sua lunga vita, Manzoni di
sposa due volte. è figlio, marito,
padre. Figlio di Giulia Beccaria e
di due padri, marito di due donne
ciascuna delle quali rimane al suo
fianco per quasi un quarto di
secolo, padre a sua volta di una
decina di figlioli e figliole venuti
al mondo e presto scomparsi. Le
figlie di Manzoni sono accomunate da
un destino ferale: hanno ereditato
dalla mamma, venuta mancare a poco
più di una quarantina d’anni, la
fragilità della tisi, e moriranno
tutte prima dei trent’anni, tranne
Vittoria. Sono seppellite a
Brusuglio, nel cimitero vicino alla
proprietà che era tanto cara a
Manzoni e che mamma Giulia aveva
ereditato da Carlo Imbonati.
Dalla proprietà di Brusuglio alla
casa di via Morone a Milano,
acquistata con l’eredità della prima
moglie Enrichetta, figlia di
industriali della seta, Alessandro
faceva avanti e indietro a passo di
carica, da quel forte camminatore
compulsivo che era: i suoi “poveri
nervi” provavano sollievo con
l’esercizio fisico e lui marciava di
gran lena, mai solo, perché non
sopportava di uscire non
accompagnato. Soffriva di quelli che
oggi chiamiamo “attacchi di panico”
e temeva di ritrovarsi inerme in
balia di sconosciuti.
Uomo complicato, Alessandro.
Balbuziente, ma con grazia, schivo,
poco portato alla soluzione pratica
dei problemi, molto autoironico,
come tutte le persone intelligenti,
e dotato di un vivace appetito
sessuale, sarà il pater familias di
una famiglia che oggi definiremmo
forse disfunzionale, con le due
mogli che si susseguono al suo
fianco e che muoiono prima di lui,
come la maggior parte dei figli.
Neanche i maschi Manzoni non
erediteranno il suo talento, la sua
passione per lo studio, la sua
capacità di analisi e di scrittura:
combineranno poco, si ficcheranno in
affari sconclusionati dilapidando
patrimoni, uno di loro finirà anche
in prigione per debiti.
Quando Alessandro viene a mancare il
22 maggio del 1873 per le
conseguenze del trauma cranico
dovuto alla caduta ha 88 anni, una
bella età per il suo tempo, ed è
ancora un gentiluomo dalle basette
bianche e dalla schiena dritta. Non
è stato solo ritratto dai pittori,
ma anche fotografato, anzi “dagherrotipato”.
Anche il suo figliastro Stefano
Stampa, figlio di primo letto della
sua seconda moglie Teresa, si
dilettava di fotografia, e ci sono
rimasti documenti visuali.
Enrichetta e Teresa se ne sono
andate prima di lui, Enrichetta nel
1833 e Teresa nel 1861. Nella sua
lunga vita, spesso Alessandro ha
dovuto scrivere epitaffi per i suoi
cari. Per le due mogli, per le
figlie, per gli amici, come Rosmini
o Grossi. Gli sopravvive la figlia
Vittoria, che è andata a vivere in
Toscana, la quale diventerà la
vestale del suo ricordo, l’unica
rampolla di Enrichetta che non è
destinata a morire giovane.
Agorafobico e claustrofobico,
nevrotico e contradditorio,
sensibile e acuto, gran consumatore
di cioccolata (aveva capito molto
prima che i nutrizionisti ce lo
spiegassero scientificamente che la
cioccolata del pasticcere Nava di
via Corsia dei Servi era un vero
toccasana per il suo umore),
Alessandro Manzoni si rivela nella
sua umanità dalle lettere, dai
memoirs, dalle testimonianze dei
suoi contemporanei. Un’esperienza
emozionale unica ritrovare nei
documenti a disposizione la sua
quotidianità, i modi di dire, le
frequentazioni, gli amici cari, i
detrattori, il Risorgimento che
tesse la tela dell’unità d’Italia e
la Milano in gran spolvero delle
prime della Scala, delle Cinque
Giornate, dei grandi nomi della
cultura riuniti nel salotto della
contessa Maffei.
Ho raccontato Manzoni in questa luce
più privata nel romanzo Le due mogli
di Manzoni, edito da Solferino e
vincitore del Premio Acqui 2023 per
il romanzo storico, con l’intento di
rendergli omaggio e di mostrare
quanto, nella sua natura di genio
imperfetto, sia tanto simile a noi
uomini e donne moderni. In fondo,
una bibliografia essenziale di 120
titoli dove ritrovare don Lisander e
il suo tempo.
Riferimenti bibliografici:
M. Marazza, Le due mogli di
Manzoni, Solferino, Milano 2022.