N. 48 - Dicembre 2011
(LXXIX)
una Manovra da 4.5
un voto basso per Tagli e tasse ai soliti
di Giuseppe Formisano
Premessa: io non sono un economista. Ho conoscenze in economia come potrebbe averne un uomo qualsiasi che cerca di informarsi in materia quanto è più possibile, ed è quindi in conformità a nozioni generali e ridotte che mi permetto di giudicare una finanziaria importante fatta da un governo presieduto da un economista. Non vorrei peccare di presunzione ma provo lo stesso a dare un giudizio.
Ecco
gli
aspetti
della
manovra
finanziaria
che
a
mio
modestissimo
parere
sono
positivi:
la
quasi
abolizione
delle
Province
e la
tassazione
dei
capitali
rientrati
con
il
cosiddetto
“scudo
fiscale”.
Le
province
sono
costose,
le
loro
funzioni
potrebbero
benissimo
essere
trasferite
alle
Regioni
e ai
Comuni.
Se
sparissero
completamente
(Monti
ha
spiegato
nella
conferenza
stampa
di
domenica
4
dicembre
che
l’esecutivo
non
le
può
abolire
senza
il
lungo
iter
parlamentare,
poiché
si
tratta
di
istituzioni
previste
dalla
Costituzione),
si
risparmierebbero
gli
indennizzi
per
le
giunte
e i
consigli.
La
tassazione
dei
capitali
scudati
è
pari
al
1,5%
e
ciò
è
positivo
per
due
motivi:
primo,
il
governo
si
distanzia
dalle
politiche
dei
condoni
e,
secondo,
fa
rientrare
dei
soldi
nelle
casse
dello
Stato,
ma
ha
anche
un
aspetto
opinabilmente
fruttuoso;
il
tasso
dell’1,5
è
troppo
basso
visto
che
sono
soldi
portati
all’estero
con
lo
scopo
di
nasconderli
all’erario
italiano.
Gli
aspetti
negativi,
come
era
facilmente
immaginabile,
sono
la
maggioranza:
il
ritorno
all’ICI
(che
ora
si
chiama
IMI),
le
pensioni
e il
mancato
aumento
dell’IRPEF
sono
le
decisioni
più
contestate.
è
vero
che
l’abolizione
dell’ICI
fu
una
furbata
di
Berlusconi
annunciata
all’ultimo
giorno
di
campagna
elettorale
nel
2008,
ma
era
popolare,
ovviamente,
per
gli
italiani
non
pagare
più
l’imposta
comunale
sulla
casa
che
contemporaneamente
mandò
molti
comuni
sul
baratro
del
crollo
finanziario,
tant’è
che
anche
alcuni
sindaci
di
centrodestra
criticarono
tale
decisione.
Le
pensioni
sono
state
rese
più
chiare
senza
le
quote
che
sommavano
l’età
contributiva
e
l’età
anagrafica,
però
quarantadue
anni
per
gli
uomini
e
quarantuno
per
le
donne,
sono
davvero
improponibili
per
gli
ha
già
dato,
almeno
che
a
questi
sacrifici
per
i
lavoratori
non
vengano
affiancati
anche
sacrifici
per
chi
fin’ora
l’ha
fatta
franca.
C’è
ancora
la
possibilità
di
cambiamenti
del
testo
in
parlamento
pur
se
Monti
ha
dichiarato
a
“Porta
a
Porta”
che
sono
“strettissimi”
i
margini
per
cambiare
il
decreto.
Che
i
ceti
più
abbienti
siano
stati
toccati
solo
lievemente
si
evince
dall’IRPEF:
giorni
prima
dell’approvazione
del
decreto
da
parte
del
Consiglio
dei
Ministri,
era
stato
sbandierato
l’aumento
dell’imposta
sui
redditi
maggiori
ai
55.000
e
75.000
euro,
ma
alla
fine,
sorpresa!
Il
previsto
aumento
dal
41%
al
43%
e
dal
43%
al
45%
non
è
stato
inserito
nel
decreto.
è
da
apprezzare,
comunque,
il
rifiuto
del
Presidente-Professore
di
rinunciare
allo
stipendio
da
capo
del
governo
e
ministro
dell’Economia
e
delle
Finanze,
ma
che
sarà
dello
stipendio
da
Senatore
a
vita?
Il
governo
doveva
e
deve
ancora
tagliare
dove
c’è
da
tagliare:
portare
lo
stipendio
da
parlamentare
alla
media
nazionale,
imporre
tutte
queste
tasse
(che
sono
pari
a
diciotto
miliardi
della
finanziaria,
i
restanti
dodici
sono
di
tagli)
anche
alla
Chiesa.
Nel
1992
le
dure
manovre
finanziarie
di
Giuliano
Amato
(una
prima
di
trentamila
miliardi
di
lire
e
una
seconda
di
ben
novantamila
miliardi)
con
quella
fatta
da
Prodi
nel
1996
resero
possibile
il
rispetto
dei
criteri
imposti
dal
trattato
europeo
di
Maastricht
e
l’ingresso
nella
moneta
unica.
L’Italia
fece
un
gran
sacrificio,
anzi,
gli
italiani.
Ora
bisogna
solo
sperare
che
anche
questa
finanziaria
possa
dare
il
via
ad
una
crescita
economica
del
paese,
per
proseguire
poi
sulla
strada
delle
vere
riforme,
parola,
ormai,
in
uso
nel
vocabolario
dell’attualità
italiana
dagli
albori
della
Repubblica.
Per
rimanere
in
ambito
economico,
le
riforme
da
attuare
devono
riguardare
una
dura
e
seria
lotta
alla
corruzione,
all’evasione
e
alle
mafie.
Quest’ultima
è
importante
sia
per
l’economia
nazionale
sia
per
la
civiltà
e
democraticità
del
paese.
Monti
si
presentò
da
capo
del
governo
con
tre
parole:
equità,
sviluppo
e
rigore.
Per
ora
non
ci
sono.
Gli
italiani
attendono
e
osservano,
ma
possono
anche
agire.