SULLA MANIPOLAZIONE DEL LINGUAGGIO
BREVI RIFLESSIONI
di Giovanna D’Arbitrio
Come insegnante da tempo avevo già
notato l’uso sempre più limitato di
alcuni termini e uso poco
appropriato di verbi e tempi ben
coniugati, con conseguenziali
inferiori capacità di esprimere
emozioni, minor possibilità di
elaborare un “pensiero complesso”
caro a Edgar Morin, sempre
più ostacolato dalla povertà del
linguaggio.
Più povero è il linguaggio, meno
esiste il pensiero, come hanno
evidenziato Georges Orwell
nel libro 1984 e Ray
Bradbury in Fahrenheit 451,
in cui le dittature riescono a
manipolare le menti riducendo il
numero e il significato delle
parole.
Il libro La nuova manomissione
delle parole, di Gianrico
Carofiglio è centrato sul tema
dell’importanza della parole e
soprattutto sull’uso che se ne fa,
poiché dare senso alle parole
significa costruire una società più
civile, capace di garantire
democrazia, libertà e pace, di cui
in verità abbiamo tanto bisogno
mentre spirano pericolosi venti di
guerra in Europa.
Il libro viene così presentato: «Rosa
Luxemburg diceva che chiamare le
cose con il loro nome è un gesto
rivoluzionario. In un’epoca come la
nostra, quando la democrazia vacilla
e la sfera pubblica deve contenere i
canali labirintici dei social, l’uso
delle parole può produrre
trasformazioni drastiche della
realtà. Attraverso il linguaggio si
esercita il potere della
manipolazione e della
mistificazione. Perciò le parole
devono tornare a aderire alle cose.
Manomissione, certo, significa
danneggiamento. Ma nel diritto
romano indicava la liberazione degli
schiavi. […]
Questo libro si misura con tale
ambivalenza: del nostro linguaggio
indica le deformazioni, ma anche la
possibilità delle parole di
ritrovare il loro significato
autentico. È la condizione
necessaria per un discorso pubblico
che sia aperto e inclusivo. […]
La manomissione delle parole era
apparso nella sua prima edizione
undici anni fa. Era un’altra epoca
e, allo stesso tempo, era l’inizio
di questa epoca. Il linguaggio era
quello dell’ascesa di Berlusconi,
che è divenuta la premessa di nuove
manomissioni. Perciò il testo è
stato storicizzato e aggiornato, con
le nuove torsioni della lingua
prodotte dall’avanzata populista.
[…]
Sono sei i pilastri del lessico
civile che questa guida anarchica e
coraggiosa riscopre: vergogna,
giustizia, ribellione, bellezza,
scelta, popolo. A partire da queste
parole chiave Gianrico Carofiglio
costruisce un itinerario profondo e
rivelatore attraverso i meandri
della lingua e del suo uso pubblico.
[…]
In un viaggio libero e rigoroso
nella letteratura, nell’etica e
nella politica, da Aristotele a Bob
Marley, scopriamo gli strumenti per
restituire alle parole il loro
significato e la loro potenza
originaria. Salvare le parole dalla
loro manomissione, oggi, significa
essere cittadini liberi. Le parole,
nel loro uso pubblico e privato,
sono spesso sfigurate, a volte in
modo doloso, altre volte per
inconsapevolezza».
Leggendo il libro di Carofiglio, un
testo colto e ricco di citazioni, mi
è venuta in mente la frase «Le
parole sono importanti» pronunciata
da Nanni Moretti nel film
Palombella Rossa e poi anche il
libro di L. Pregliasco Il
Crollo. Dizionario semiserio delle
101 parole che hanno fatto e
disfatto la seconda repubblica.
E senza dubbio con l’avvento della
“politica d’immagine”, in effetti le
parole hanno ceduto il posto a
slogan e immagini persuasive che più
delle parole s’imprimono con forza
nella memoria, in particolare di
coloro che non sono stati educati a
pensare con spirito critico.
«Il numero delle parole
conosciute e usate è direttamente
proporzionale al grado di sviluppo
della democrazia e dell’uguaglianza
delle possibilità. Poche parole
poche idee, poche possibilità e poca
democrazia; più sono le parole che
si conoscono, più è ricca la
discussione politica e, con essa, la
vita democratica » (Sulla
lingua del tempo presente
di Gustavo Zagrebelsky).
Con tale citazione, Carofiglio ci fa
riflettere sui pericoli che corrono
democrazie e libertà. Basti pensare
al fascismo e il nazismo che ridusse
la lingua a strumento di potere con
espressioni razziste e slogan,
proprio come avviene ancora oggi con
il cosiddetto hate language.
Simile era la lingua del Terzo
Reich, come ci ricorda Victor
Klemperer in La lingua del
Terzo Reich. Taccuino di un
filologo, lingua ricca di parole
violente che alteravano la verità. E
in una recente ricerca scientifica è
stato dimostrato che i ragazzi più
violenti sono quelli che non sanno
dialogare, né comprendere le loro
emozioni.